Non parliamo quindi di personalità riconducibili ad “una sinistra che si muove su posizione preconcette ed insostenibili” quanto piuttosto dei rappresentanti di una classe politica che fino a ieri ha ritenuto necessario seguire le posizioni statunitensi schierandosi, nel conflitto, in difesa delle violazioni israeliane. Proprio per questo motivo, se possibile, le parole scritte nella lettera risultano costituire effettivamente un possibile cambio di rotta nelle relazioni con “l’unica democrazia del Medio Oriente”.
Sin dalla vigilia della sua rielezione, è parso evidente anche ai meno attenti che, se possibile, questo nuovo mandato di Netanyahu avrebbe fatto rimpiangere il primo. Oltre alla continua espansione delle colonie in territori occupati (annunciata la costruzione di 900 nuovi alloggi a Gerusalemme Est) e la perpetua violazione dei diritti umani che ne consegue, il leader del Likud aveva annunciato che, in caso di vittoria, non ci sarebbe stato alcun riconoscimento dello stato palestinese. Un blocco, quindi, ai negoziati che di certo non verrà contrastato dal partito di coalizione al governo, La Casa Ebraica, una formazione di destra religiosa e nazionalista.
E le conferme nei giorni dopo la formazione in extremis di questo nuovo governo di centro-destra non si sono fatte attendere. Degne di nota le dichiarazioni di Ayelet Shaked, parlamentare della Casa Ebraica, partito di governo, che sui social network ha affermato che “Dietro ogni terrorista stanno decine di uomini e donne, senza i quali egli non si coinvolgerebbe nel terrorismo. Sono tutti nemici combattenti e il loro sangue dovrebbe essere versato sulle loro teste. Ciò include le madri dei martiri, che li hanno mandati all’inferno con fiori e baci. Esse dovrebbero seguire i loro figli, niente sarebbe più giusto. Dovrebbero andarci, in quanto dimora fisica in cui hanno allevato i serpenti. Altrimenti, altri serpenti saranno allevati”.
Possiamo anche ricordare la nuova ondata di repressione dei falasha, gli ebrei etiopi che, nonostante siano in gran parte arrivati in Israele oltre trent’anni fa, ancora vengono pesantemente discriminati e che per un terzo ancora vivono sotto la soglia di povertà. Per non parlare poi del tabù sulle condizioni dei palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza che pare si stia, piano piano rompendo. Gli standard di vita e i diritti dei palestinesi sono percepiti come scioccanti anche dai firmatari della lettera alla Mogherini e il Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, ha ritenuto necessario mettere in guardia il governo dal presentare informazioni non affidabile nella fase delle indagini preliminari sui possibili crimini di guerra compiuti a Gaza.
È evidente che qualcosa si sta smuovendo. Vero è che fino a quando Israele non verrà toccato nei suoi interessi più profondi, sicurezza e relazioni economiche con i paesi occidentali, non ci saranno veri incentivi a cambiare politica ma lo è anche il fatto che oramai la mediazione statunitense ai negoziati di pace non è ritenuta, da più parti, più affidabile: si potrebbe, veramente, presentare un’opportunità per l’Europa di mostrare da che parte sta.