Che sia questo uno dei motivi che ci ha portato, nuovamente, a fare una figura che avremmo fatto meglio ad evitare agli occhi dell’opinione pubblica mondiale? Ieri, venerdì 27 febbraio 2015, la Camera dei Deputati avrebbe dovuto riconoscere formalmente lo Stato di Palestina, unendosi così ai molti governi europei che hanno dato il proprio appoggio (anche se solo formalmente) all'Autorità Nazionale Palestinese.
La votazione avrebbe dovuto avere luogo lo scorso 17 febbraio, data in cui venne rimandata per problemi nella stesura degli ordini del giorno dei lavori. Movimento Cinque stelle, socialisti e SEL avevano presentato mozioni con le quali si richiedeva esplicitamente il riconoscimento dello stato palestinese, attaccando fortemente l’operato israeliano. Se la mozione di Sel era stata sottoscritta anche da una trentina di deputati del Partito Democratico, che rischiava così di spaccarsi, sul fronte opposto di è collocata, senza suscitare meraviglia, la Lega Nord, che ha richiesto di non dare alcuno spazio al riconoscimento ufficiale dello stato palestinese.
Le carte in tavola nella nottata tra giovedì e venerdì sono state completamente mescolate quando la mozione di Locatelli dei socialisti è stata ritirata e SEL ha deciso di seguire il PD (“non ha bisogno di piantare bandierine ma è interessato a una mozione sostenuta da una ampia maggioranza”) in vista di un completo appoggio alla mozione elaborata dal PD. Gli accordi prevedevano anche una mozione presentata dall’area popolare, Nuovo Centro Destra con l’appoggio di UDC: le due mozioni sarebbero state votate entrambe dai deputati in vista del riconoscimento.
Il punto è che i deputati hanno, sì, votato entrambe le mozioni ma non le hanno lette: quella presentata dal Partito Democratico prevede che l’Esecutivo si impegni "a continuare a sostenere in ogni sede l'obiettivo della Costituzione di uno Stato palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo stato d'Israele, sulla base del reciproco riconoscimento e con la piena assunzione del reciproco impegno a garantire ai cittadini di vivere in sicurezza al riparo da ogni violenza e da atti di terrorismo" e a "promuovere il riconoscimento della Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967 e con Gerusalemme quale capitale condivisa, tenendo pienamente in considerazione le preoccupazioni e gli interessi legittimi dello Stato di Israele". Contrastante è quella di area popolare che richiede un impegno “a promuovere il raggiungimento di un'intesa politica tra Al-Fatah e Hamas che, attraverso il riconoscimento dello stato d'Israele e l'abbandono della violenza, determini le condizioni per il riconoscimento di uno stato palestinese".
Ovviamente, l’ambasciata israeliana a Roma non ha tardato nel far pervenire al Governo le proprie valutazioni positive sull’accaduto: “Accogliamo positivamente la scelta del Parlamento italiano di non riconoscere lo Stato palestinese e di aver preferito sostenere il negoziato diretto fra Israele e i palestinesi, sulla base del principio dei due Stati, come giusta via per conseguire la pace”.
Perché, purtroppo, hanno ragione loro: per quello che è lo stato delle cose, continuare ad insistere sui negoziati tra Al Fatah e Israele come unica via di uscita dal conflitto, significa rassegnarsi allo stato di cose presenti. Questo perché i negoziati si fanno tra due entità, due stati, in questo caso, che si rispettano e che hanno pari difese e modalità di “attacco”. Il conflitto israelo-palestinese vede invece uno stato imperialista, sostenuto da tutto l’Occidente, che occupa territori, affama e allaga (leggi qui) una popolazione inerme contro uno stato che nemmeno è riconosciuto dalla comunità internazionale, che non è in grado di riscuotere le imposte sul proprio territorio e né di difendere i propri cittadini dalle minacce esterne. Ecco, investire in modo prioritario su un negoziato del genere e non sul pari riconoscimento dei due stati significa lasciare le cose come stanno.
E questa valutazione dovrebbe essere elementare per i parlamentari di uno degli stati che, ahinoi, è tra i ferventi sostenitori del governo israeliano e delle sue politiche. Il Ministro degli Esteri Gentiloni può sgolarsi quanto vuole, in un'aula in subbuglio, per ribadire che il governo italiano ha riconosciuto lo stato palestinese e che si impegnerà quanto possibile nel raggiungimento della pace: i fatti contraddicono palesemente le sue parole.