I messaggi mandati dall’Unione Europea contro l’occupazione israeliana sono sempre piu’ chiari e forti: la scorsa settimana il Consiglio per gli Affari Esteri ha emanato una risoluzione che traccia, in modo netto, una separazione tra il territorio israeliano e i territori occupati nel corso dei decenni (leggi qui). Il Consiglio ha infatti affermato che “sono illegali in base alla legge internazionale, costituiscono un ostacolo alla pace e minacciano di rendere impossibile la soluzione dei due stati”. A cio’ si aggiunge anche un’importante rapporto stilato dall’ONG Human Rights Watch sulle imprese israeliane nei territori occupati (qui il testo).
Sembra quasi superfluo sottolinearlo, dal momento che sono anni che associazioni in difesa dei diritti umani lanciano l’allarme, ma la situazione nelle colonie peggiora di giorno in giorno. Parliamo oramai di circa 550mila coloni insediati illegalmente tra Cisgiordania e Gerusalemme Est e di milioni di profitti fatti da imprese israeliane violando apertamente i diritti dei palestinesi che vivono nell’area. Lo stato israeliano assicura infatti regimi fiscali agevolati, infrastrutture ed una legislazione che favorisca l’assunzione di coloni israeliani per le imprese che scelgono di investire in questi territori. A ciò si aggiunge una legislazione che permette di fatto la discriminazione dei lavoratori palestinesi, il cui lavoro è sottopagato e che sono continuamente vittime di abusi. Allo stesso tempo, la sussistenza dei palestinesi ancora residenti è messa a rischio dalla negazione di servizi pubblici (dal rifornimento idrico alla gestione dei rifiuti) e della distruzione sistematica delle attività prevalentemente legate alla terra, come agricoltura e pastorizia, che costituiscono le fonti di sostentamento principali dei palestinesi.
Non sorprende quindi che il clima che si percepisce porti a gesti esasperati, come gli attacchi ai danni dei coloni da parte della popolazione palestinese.
La prese di posizione prima dei singoli stati europei, con molti riconoscimenti da parte dei parlamenti nazionali dello stato palestinese, e poi della stessa Unione Europea, potrebbero quindi segnare una svolta. E’ però necessario cercare di dare concretezza alle condanne, evitando di appellarsi “solamente’ al diritto internazionale: di fronte all’azione di uno stato che perpetua sistematicamente la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e della normativa internazionale, gli appelli alla pace rischiano di restare mere parole. L’applicazione di provvedimenti economici che intacchino realmente gli interessi israeliani e l’inasprimento dei rapporti diplomatici con un governo criminale come quello di Netanyahu potrebbero far acquistare alla questione palestinese l’attenzione che merita. Non resta quindi che sperare che la nota ipocrisia con cui le nostre istituzioni si approcciano alle tematiche internazionali, siano questa la lotta all’Isis o la gestione delle ondate migratorie, lasci per una volta il posto alla volontà di fare qualcosa di concreto per un popolo costretto a sopportare soprusi da oltre cinquant’anni.