Il Migration Compact messo in campo proprio dall’Italia la scorsa primavera prevede un ampio spettro di strumenti di cooperazione con i paesi africani, dietro il quale si cela però un’attenta operazione di sfruttamento condotta da imprese che, agevolate dai finanziamenti statali che non mancano mai per certe operazioni, mirano alla costruzione di infrastrutture da cui ricavare profitti da rimpatriare. Un breve sunto lo si può trovare in questi video che mostrano i progetti della Salini-Impregilo in Etiopia nella politica energetica (leggi qui) e i legami stretti con il mondo della cooperazione internazionale e dell’interscambio (leggi qui).
Nel Migration Compact 2.0 che verrà in parte implementato come strategia europea per il contenimento dei flussi migratori troviamo infatti un sovvertimento totale di concetti fondamentali quali indipendenza e sviluppo dei paesi più in difficoltà. Infatti, le principali politiche dei paesi africani resteranno vincolate ai criteri fissati dai creditori europei per l’ottenimento degli aiuti. Dunque, nessun assorbimento della sovrappopolazione relativa in vista e quindi ecco emergere la necessità di politiche, sostenute in particolare da Germania e Francia (leggi qui), di incremento delle forze militari in questi paesi con l’espediente della lotta al terrorismo, di cui in realtà all’Occidente interessa molto poco.
Nel frattempo, l’unica politica economica che viene concretamente perseguita dalle potenze europee è quella della rapina delle risorse presenti sui territori e dello sfruttamento come unica soluzione di contenimento dei flussi migratori. Le elezioni in Germania si avvicinano, e i governi dell’intera Europa vengono incalzati da un senso comune che scivola sempre più a destra. Ecco quindi tornare in voga il vecchio colonialismo straccione degli stati subimperialisti che tentano maldestramente di controllare le periferie in assenza di risorse e con difficoltà crescenti nella sottomissione dei territori e nel controllo delle persone. Il ricorso a metodi in cui il tasso di violenza è crescente, come sta accadendo ad esempio in Mali, è sintomo di queste difficoltà. Per le potenze europee non resta quindi che accontentarsi della pirateria compiuta dalle imprese spalleggiate dallo Stato e dal tentativo, sempre ben accetto in una fase di crisi economica, di espandere il mercato interno con la conquista di interi settori e mercati esteri.
Una prima conclusione che si può trarre da questo ormai conclamato ritorno delle potenze europee in Africa deriva proprio dal deficit di dominio informale che, come sappiamo, era il principale strumento utilizzato nel secondo dopoguerra con il venir meno del classico colonialismo. Unitamente a questo fattore, il coordinamento a livello europeo di nuove politiche di dominio su larga scala fa pensare alla messa a punto di una nuova strategia, neocolonialista per l’appunto, di esternalizzazione dei costi non più sostenibili e di internalizzazione dei profitti da parte di una parte dell’imperialismo che si trova sempre più in difficoltà a livello economico. Indubbiamente, gli accordi presi con la Turchia di Erdogan rientrano in questa strategia che continua ad operare e viene estesa anche alle altre rotte migratorie in quello che Mogherini ha definito un Migration Compact 2.0, in cui rientra anche il cosiddetto Piano Juncker per l’Africa. Insomma, le anime belle che continuano a sostenere l’Unione Europea come unica alternativa all’Apocalisse (per citare Hillary Clinton che ha superato ogni frontiera del menopeggismo, rispolverando nientemeno che la Bibbia come George W. Bush) dovrebbero quantomeno interrogarsi sulla vera natura di questo paradiso in terra che tiene in piedi accordi con Erdogan e ne promuove altri in mezzo mondo.