Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.
Elliott Smith e l’eleganza del malessere
Il documentario Heaven Adores You ricostruisce la vita del più grande cantautore degli anni novanta
Forse per capire il senso profondo delle poetica di Elliott Smith si può far riferimento alla scena finale del documentario di Nickolas Rossi, Heaven Adores you (2014) che si chiude sulle note strazianti di Happiness (…”that al I want now is happiness for you and me”) introdotta da un conduttore radiofonico che chiede al musicista americano perché avesse scelto di mettere proprio quella canzone in fondo al suo ultimo album. La risposta di Smith è di una semplicità disarmante: “perché è una canzone felice”.
Il lungo periodo di depressione che ha caratterizzato i suoi ultimi anni di vita, e poi le tragiche circostanze della sua morte (avvenuta nel 2003 e causata da diverse pugnalate al petto, probabilmente auto- inflitte), non possono non rendere ancora più amara una risposta così positiva, apparentemente del tutto in antitesi con le vicende personali della sua travagliata vita. In realtà però l’appello alla felicità di Elliott Smith, anche in uno dei periodi più neri della sua esistenza, risulta perfettamente coerente coi suoi desideri e con le sue esigenze comunicative: il cantautore originario del Nebraska ha infatti sempre fatto della ricerca della felicità e della serenità d’animo la meta ultima della sua vita e della sua musica.
Forme architettoniche postmoderne aggressive ed esuberanti, spaziosi pavimenti dai colori sgargianti, altissimi soffitti con maestose volte d’acciaio e vetro, in un incontro continuo fra terra e acqua, oriente e occidente, è quello che si presenta agli occhi dello spettatore che non può non rimanere incantato di fronte alla abbagliante magniloquenza e ai continui richiami retro-futuristi del Dubai Mall, inaugurato sei anni fa nel cuore della città degli Emirati. Si tratta del più grande centro commerciale al mondo per superficie totale, uno sconfinato spazio contenente 635 negozi, un hotel con 250 camere di lusso, 22 schermi cinematografici e 120 fra negozi e ristoranti che, pur nella loro smisuratezza, impallidiscono al cospetto dell’enorme acquario e zoo sottomarino del mall, con i suoi 10 milioni di litri d’acqua e le centinaia di specie marine contenute o di fronte al grandioso parco tematico SEGA Republic, dedicato ai videogiochi della celebre casa produttrice giapponese.
L’involucro vuoto degli anni ottanta: il ritorno dei Tame Impala con Currents
Nell’epoca del continuo riciclaggio e del perenne ripescaggio, la tendenza postmoderna al pastiche, al mettere insieme influenze e stili diversi nella speranza di ricavarne qualcosa di originale e diverso è ormai la triste normalità. Il fatto che il rock stia attraversando uno dei momenti più neri della sua storia rappresenta oramai un giudizio storico sempre più condiviso, nonostante le tante buone (ma raramente eccellenti) prove e uscite discografiche degli ultimi quindici anni. I voti esageratamente alti (da parte di alcune delle principali riviste musicali come Pitchfork, NME, Drawned in Sound) con cui è stato accolto l’ultimo disco degli australiani Tame Impala, l’attesissimo Currents, uscito a luglio di quest’anno, sembrano confermare la tendenza della critica internazionale ad aggrapparsi alle poche novità interessanti e a conferire a queste ultime improbabili poteri taumaturgici in grado di generare una qualche forma di nuova catarsi rock.
Il futuro dell’Europa a tempo debito
C’è Possibile, il nuovo movimento fondato recentemente da Civati dopo la definitiva rottura col PD, dietro la kermesse di tre giorni (17-19 luglio) alla Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Tavoli di lavoro e conferenze aperte a tutti hanno reso il “Politicamp - Un altro mondo è possibile” un’esperienza di confronto su temi dell’innovazione e della partecipazione. Sullo sfondo, la necessità di fare un passo avanti verso un movimento unitario della sinistra italiana alternativa a Renzi e ai populismi e che possa contribuire a costruire una Unione Europea alternativa a quella del rigore e della finanza speculativa che sembra regnare sovrana sullo scacchiere geopolitico continentale.
Uno dei momenti più significativi è stata la conferenza di sabato sera intitolata “il futuro europeo a tempo debito” che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Sergio Cofferati, Paolo Ferrero, Marco Revelli e Maria Pia Pizzolante. La fuoriuscita dal PD Elly Shlein, in qualità di moderatrice, lancia nella sua introduzione alcuni spunti di riflessione, questioni aperte per il futuro dell’Europa riassumibili in quattro luoghi che simboleggiano la profonda crisi politica che l’Unione sta attraversando: Grecia, Ucraina, Lussemburgo e Lampedusa.
Sono venuto a New York perché è il più miserabile, il più abietto di tutti i luoghi. Lo sfacelo è dovunque, la disarmonia è universale. Le basta aprire gli occhi per accorgersene. Persone infrante, cose infrante, pensieri infranti. La città intera è un ammasso di rifiuti. […] Trovo che le strade siano una fonte infinita di materiale, un inesauribile emporio di cose frantumate.
P. Auster
Cosa resta del luogo metropolitano quando lo spazio è ormai compresso nel millesimo di secondo che occorre per portare a termine una transazione finanziaria da New York a Hong Kong? Cosa resta del tessuto urbano quando le relazioni concrete, i contesti locali di interazione vengono ristrutturati su infinite estensioni spazio-temporali? Cosa resta della prossimità cittadina quando un viaggio internazionale è più veloce di uno spostamento regionale? La neutralizzazione dello spazio, figlia di trasformazioni epocali nei trasporti e nelle telecomunicazioni, sembra aver reso il territorio insignificante e la densità demografica una variabile trascurabile.
Chi ha votato NO al Referendum Greco
La vittoria del “NO” al Referendum greco del 5 luglio scorso è stata giustamente salutata come un passaggio di enorme rilevanza nella storia recente della Grecia. Sebbene i cittadini ellenici siano stati semplicemente chiamati a votare se accettare o meno il piano dei creditori internazionali in cambio di un nuovo programma di aiuti, le implicazioni politiche del voto sono decisamente più ampie e riguardano l’idea di Europa e di società alla quale si vuole aspirare: da una parte chi ritiene che l’Europa della austerità e del primato della finanza non possa essere messa in discussione, dall’altra chi invece pensa che un progetto unitario vado costruito dal basso, mettendo al primo posto il benessere dei popoli e non quello degli istituti di credito.
Monsanto Years: il nuovo manifesto politico di Neil Young
Recensione dell’ultimo, impegnato album del cantautore canadese
“Monsanto/Let our farmers grow what they want to grow” – “Monsanto Permetti ai nostri contadini di coltivare quello che vogliono”, recita il ritornello di A Rock Star Bucks A Coffee Shop. Non poteva essere più diretto il messaggio di Neil Young, nella sua sincera indignazione nei confronti di una delle multinazionali più controverse nell’ambito dell’industria alimentare.
Dalla sanità pubblica alla salute individuale: la proliferazione dello stile di vita salutare
Michelle Obama che illustra il suo modo “green” e “light” di fare la pasta con la pentola a pressione, Ségolène Royal che critica la nutella per essere fatta con l’olio di palma. Son solo due esempi recenti di come l’alimentazione sia diventata un questione politica di primaria importanza. Se da una parte si affermano anche sul livello del decision-making questioni macroeconomiche e geopolitiche di vasta portata che attengono all’impatto degli OGM, al ruolo delle multinazionali del cibo, alla sostenibilità del sistema dell’industria alimentare, passando per il cibo biologico e per il commercio equo e solidale, dall’altra parte molto spesso la governance del cibo attiene molto più ai problemi individuali della “corretta” alimentazione, del mangiare in maniera sana ed equilibrata evitando calorie e grassi piuttosto che a quelli collettivi e sistemici.
I Crocodiles al Glue: report live
La band indie californiana chiude la stagione del locale fiorentino. Non poteva che finire così, come era iniziata: con una band internazionale in ascesa a calcare il palco. Se ad aprire la stagione del Glue sono stati i canadesi Pink Mountaintops, sabato scorso a chiudere un anno di ottima musica nel locale fiorentino è toccato agli statunitensi Crocodiles. I quattro musicisti di San Diego, con ben cinque dischi all’attivo in soli sei anni, sono emersi dalla scena indie californiana sul finire dello scorso decennio.
Estetica dei ricordi annebbiati: documentario sugli Slowdive
Recensione del documentario sull’influente gruppo inglese
C’è stata una breve ma intensa stagione musicale nel Regno Unito, schiacciata fra i fasti della new wave degli anni ottanta e la patina del brit-pop della decade successiva, a lungo rimasta piuttosto nell’ombra ma che nel tempo è stata profondamente recuperata e rivalutata: si tratta del movimento shoegaze, un genere interessato a mescolare il candore etereo del dream pop con il rumorismo riverberato della psichedelia.
Una delle più importanti magazine musicali, Pitchfork, ha da poco realizzato un interessante documentario (disponibile qua) lungo poco meno di un’ora su uno dei protagonisti di questa oscura ma eccitante scena musicale, ovvero gli Slowdive, formati a Reading nel 1989 dall’incontro artistico e sentimentale fra Rachel Goswell e Neil Halstead.
Un montaggio eccellente, unito alle lunghe interviste originali ai membri della band, al loro produttore e all’ingegnere del suono, contribuiscono a definire un documentario pregevole che rende giustizia a una delle più sottovalutate band inglesi degli anni novanta, a lungo assurdamente marginalizzata anche dalla critica alternativa della terra d’Albione.
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