Qualche giorno fa, e più precisamente il 27 gennaio, abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. Questa viene istituita con la legge 211 del 2000, al fine di “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Spesso però ci fermiamo solamente sul primo aspetto e quindi sullo sterminio degli ebrei, ma, a volte, è giusto ricordare anche il resto. Perché nei campi di concentramento ci venivano deportati anche gli zingari, i disabili, gli oppositori politici e gli omosessuali; tutti coloro, cioè, che non rientravano nella normalità, nel puro progetto della razza ariana. È importante ricordarsi di tutte le vittime senza particolari distinzioni, soprattutto oggi, che si sta sempre più tornando al concetto di normalità. Ma cos’è la normalità? È un preconcetto che ci viene imposto dal mondo esterno senza reali dimostrazioni e prove concrete, non esiste la perfezione ma tante peculiarità.
Come mai abbiamo tanto paura del diverso? Cosa ci spaventa? Vorrei per una volta concentrarmi sull’omocausto e dimostrare che è forse un tema più attuale che mai. Contraddistinti da un triangolo rosa cucito sulla divisa a righe, gli omosessuali affollavano i campi di concentramento sparsi in tutta Europa; il loro dramma fu duplice: da un lato le torture naziste, dall’altro l’isolamento degli altri prigionieri; i gay erano ultimi tra gli ultimi. Molti di loro venivano castrati, a volte anche su propria richiesta, per dimostrare che volevano guarire dalla loro “malattia”, altri venivano usati per sperimenti scientifici.
L’ossessione nazista per i gay si era palesata già con la notte dei lunghi coltelli. Per Hitler esisteva “una congiura omosessuale che minava la concezione normale di sana nazione.” Deliri che non stupiscono, purtroppo, nemmeno oggi, visto che in alcuni Paesi l’omosessualità è un reato, non ultima la Russia di Putin. Notizia di pochi giorni fa l’emanazione di una legge nazionale che vieta la propaganda omosessuale. Da oggi sarà, quindi, reato parlare in pubblico di diritti, amori e qualunque altra cosa inerente al mondo gay. Ovviamente il termine propaganda è volutamente vago, così da poter essere utilizzato dal giudice a suo piacimento, decidendo di punire i “colpevoli” con multe fino a quindici mila euro. Nel mirino ovviamente artisti, attori, cittadini e contestatori, e di conseguenza stop a concerti, eventi, manifestazioni, ma anche a semplici baci scambiati per la via. La Russia non è un paese per gay e neanche per chi protesta. Oggi, come allora, i gay sono vittime senza voce e senza giustizia.
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