Mercoledì, 08 Ottobre 2014 00:00

Omofobi in piedi

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Durante la giornata di domenica, in cento (in realtà cinquantaquattro, ma ne sono assurte agli onori della cronaca molte meno) piazze d’Italia si teneva la “veglia” per la «libertà d’espressione» delle cosiddette Sentinelle in piedi. Sul piano dell’immagine, la strategia comunicativa è semplice e perfetta: starsene in piedi in file ordinate, in silenzio, a leggere (o fingere di leggere) per un’ora; colpire l’attenzione dei passanti con la propria impassibilità e la propria purezza, anche spirituale, di belle statuine. Non fare «niente di male». Il silenzio e la tranquillità della manifestazione, tuttavia, non corrispondono ad altrettanto pacifici intenti.

Le varie “veglie” organizzate in giro per l’Italia sono nate in opposizione al DDL Scalfarotto, che introdurrebbe l’omofobia tra le ipotesi di aggravante di reato già previste dalla Legge Mancino-Reale – DDL, tra l’altro, subito fortemente depotenziato da un emendamento che consente la propaganda omofobica e transfobica ad organizzazioni politiche o religiose. In seguito, le rivendicazioni delle Sentinelle nelle varie città si sono estese al diritto di famiglia, pronunciandosi contro il matrimonio tra persone dello stesso genere e l’adozione (anche di fatto come la step-child adoption) di bambini da parte di coppie omosessuali; ai diritti riproduttivi, condannando la fecondazione eterologa come «contro natura»; e alla sfera educativa, opponendosi alla trattazione a scuola delle diverse preferenze sessuali, o anche solo di programmi per l’insegnamento della tolleranza e del rispetto delle differenze (ricordo, in particolare, il caso scoppiato attorno agli opuscoli realizzati dall’UNAR). Tutte queste istanze sono raccolte sotto l’ombrello della libertà d’espressione, a partire dall’opposizione pretestuosa al DDL Scalfarotto: libertà di proclamare e propagandare le proprie convinzioni omofobiche, di esercitare pressione sulle istituzioni contro qualunque processo legislativo volto a riconoscere diritti alle persone non eterosessuali. Obiettivi di discriminazione e ghettizzazione nei fatti, dunque, che travalicano decisamente l’ipotesi di autolegittimarsi con il proprio silenzio e la propria immobilità (per il tempo di un’ora).

A Pisa, come nelle altre città, la risposta è stata pronta e decisa: il tessuto antisessista e antifascista cittadino si è ritrovato in piazza Dei Cavalieri, luogo della manifestazione, in una contro-manifestazione più o meno spontanea. A qualche decina di Sentinelle si è opposto qualche centinaio di contestatori: una folla gremita, variegata, vivace contro i filari scialbi e inquadrati dei “veglianti”; cartelloni colorati con slogan irriverenti contro i libretti (ma anche volantini, fotocopie, fogli vari) tra le mani dei custodi dell’omofobia; musica e rime contro un silenzio arrogante. Per essere un “movimento apartitico e aconfessionale”, quello delle Sentinelle in piedi si è rivelato qui piuttosto confessionale, fra testi religiosi, preti con il distintivo collare, conversi scalzi, volti noti di Comunione e Liberazione; se, almeno in altre città, i partecipanti con espliciti riferimenti politici (segnatamente di Forza Nuova) sono stati dissuasi, a Pisa evidentemente nessuno si è sentito rappresentativamente soverchiato dagli espliciti riferimenti cattolici. L’età media era avanzata, anche se qualcuno aveva portato con sé dei bambini – idea non particolarmente buona, sapendo di andare sostanzialmente ad attirare insulti; infatti ad un certo punto qualche bambino era in lacrime.

La “veglia” è comunque durata poco: le Sentinelle non hanno saputo mantenere l’imperturbabilità richiesta dal ruolo, troppo presto si sono lasciate provocare dai cori, dalle domande e dalle beffe dei contro-manifestanti; così, tra un tentativo fallito di comizio al microfono e l’esplodere di battibecchi tra singole persone, la Digos ha finito per sciogliere la manifestazione, per ragioni di ordine pubblico, dopo solo mezz’ora dal suo inizio. Accerchiate dalla folla in protesta, le Sentinelle in parte sono state letteralmente cacciate dalla piazza, in parte si sono disperse in gruppetti a discutere con i contestatori.

Pisa si era rapidamente scrollata di dosso i mimi omofobi e la loro finta innocuità, ma un giro tra i capannelli litigiosi poteva ancora rivelare qualcosa. Tra fallacie logiche e bestialità filosofiche (tra cui l’intramontabile, purtroppo, ricorso al diritto naturale), mi ha colpita un giovane (uno dei pochi) che argomentava con calore contro la fecondazione eterologa, equiparandola all’acquisto in denaro di un bambino. Questo mi ha ricordato la gravità dell’errore che commettiamo scorporando la discussione sui diritti da quelle sul reddito, sul lavoro, sul welfare; l’abbaglio terribile che prendiamo quando esaminiamo il sessismo a prescindere dalla dialettica di classe. Perché chiunque faccia un figlio oggi, anche nel più naturale e approvato dalle Sentinelle dei modi, lo compra di fatto al sistema socio-economico in cui vive: lo compra in medicine, in vestiti, in alimenti, in libri scolastici. Anche per questo non basterà il DDL Scalfarotto nella sua forma originale, né una vera legge sulle unioni civili, o una riforma del diritto di famiglia che apra all’omogenitorialità: per concretizzare i diritti servono garanzie sulle condizioni materiali di vita, a partire dal lavoro e dai servizi.

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Ottobre 2014 00:08
Silvia D'Amato Avanzi

Studia scienze naturali all'Università di Pisa, dove ha militato nel sindacato studentesco e nel Partito della Rifondazione Comunista. Oltre che con la politica, sottrae tempo allo studio leggendo, scribacchiando, scarabocchiando, pasticciando, fotografando insetti, mangiando e bevendo.

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