Mercoledì, 11 Ottobre 2017 00:00

La bambina down rifiutata e la patente di bontà

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La bambina down rifiutata e la patente di bontà

Sta facendo scalpore il caso della bambina down rifiutata da ben 7 genitori adottivi, prima di riuscire a trovare un nido che la accolga. Giustamente dispiace leggere che proprio chi avrebbe più bisogno di amore e protezione si trovi davanti una corsa ad ostacoli per raggiungere un diritto imprescindibile, secondo i più.

D'altronde però se andiamo oltre, e credo sia indispensabile farlo, la prima impressione di pancia, ci rendiamo conto che crescere un bambino con una qualsiasi problematica richiede maggiori qualità da parte dei genitori, quindi è perfettamente normale che qualcuno non se la senta. Infatti accogliere un bambino nella propria famiglia non è una cosa momentanea, ma qualcosa che ti cambia la vita, tua e degli altri. È necessario, indispensabile, fare una seria riflessione sul perché e percome ci accingiamo a un tale passo, per capire se una cosa che fa per noi o che, al contrario, potrà avere delle conseguenze negative sul mondo che ci circonda.

Se tutto questo vale in una situazione normale, cioè in presenza di un bambino sano, a maggior ragione bisogna prendere delle precauzioni se si tratta di adottare chi è più sfortunato. È inutile farsi prendere dall'emozione, dal dire "poverino ha bisogno di una famiglia". Non stiamo adottando un cucciolo, stiamo accogliendo un bambino, un essere umano.

Dobbiamo riflettere non solo sul momento presente, ma a lungo raggio: è umano che l'idea di avere un bimbo da coccolare ci faccia piacere. Ma cosa accadrà quando questo bimbo crescerà, andrà a scuola, si dovrà misurare con i coetanei? E, andando ancora avanti nel tempo, cosa succederà quando dovrà lavorare? E' a tutte queste cose che dobbiamo pensare quando decidiamo di accollarci il peso di una bambina problematica (uso espressioni un po' forti, ma assolutamente adatte a descrivere la situazione).

È per questo motivo che ritengo assolutamente fuori luogo il caso sollevato da questo gran rifiuto: i mancati genitori non si possono assolutamente ritenere degli egoisti perché non se la sono sentita di accogliere la bambina. Anzi. probabilmente li definirei coscienziosi e generosi. Sì, generosi: infatti hanno anteposto la felicità della bambina al loro anche umano desiderio di diventare genitori. Non hanno secondo me ragione di essere le frasi sul "ma se nasce un bambino sano e poi si ammala che fai, lo ammazzi?". Qua non stiamo parlando di futuro, stiamo parlando del presente. Non di un'ipotesi ma della realtà dei fatti. Della necessità di fare i conti con una situazione che è e sarà quella per tutta la vita della bambina, non solo dei genitori.

L'eventualità di ammalarsi può accadere a tutti, anche ai genitori. Ma la bambina la sindrome di Down ce l'ha adesso, e ce l'avrà per sempre. È innegabile che avrà bisogno di attenzioni in più: certo, ci sono anche casi in cui queste persone riescono ad avere una vita pressoché normale, ma non sappiamo se è questo il caso. Quindi è inaccettabile accusare questi mancati genitori di egoismo perché non si sono sentiti di accogliere nelle loro vite una bambina giocoforza più problematica di altri. Non è vero che non volevano un "prodotto difettoso": non stiamo parlando di scarpe o vestiti, che uno può scegliere se acquistare o meno di seconda mano, magari per risparmiare. È addirittura offensivo il paragone, poiché si banalizza l'atto dell'adozione e soprattutto si toglie, proprio a quella bambina che a parole si vuole difendere, la sua umanità.

Dobbiamo fermarci a riflettere sul fatto che probabilmente queste coppie non si sono sentite in grado di andare in fondo all'adozione, temendo magari di fare un passo più lungo della gamba e di trovarsi in futuro con una bambina (e poi una ragazza e, alla fine, una donna) che non erano in grado di gestire e di darle quella vita serena cui sicuramente ha diritto.

Smettiamola quindi di montare un caso nazionale soltanto perché qualcuno ha avuto il coraggio di comportarsi secondo coscienza, senza pensare a "cosa dirà la gente". Perché la gente deve per forza dire qualcosa? In fondo, l'adozione di un essere umano non è una prova da superare per acquistare punti su una fantomatica "patente di bontà". Anzi, probabilmente se si fosse tutti un po' meno schiavi del benpensare anche la mamma biologica si sarebbe sentita più libera di seguire il suo istinto, anche se avrebbe voluto dire optare per l'aborto, e non avrebbe scelto di abbandonare la bambina.

Ultima modifica il Martedì, 10 Ottobre 2017 11:59
Elena Papucci

Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell'Arci.

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