Giovedì, 21 Marzo 2013 00:00

La scuola dopo la disfatta della sinistra

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Forse parlare di scuola all'indomani di una sconfitta elettorale può causare un certo disinteresse. Eppure questo crocevia sociale qualcosa ci racconta su come una strada alternativa sia possibile, fra le altre, nella ricostruzione di un fronte costituzionale ampio e di una sinistra di cambiamento. 

La discussione è certo spinosa e chiama in causa la riconnessione a strutture sociali primarie e derivate. La pubblica istruzione è centrale in un processo di riallacciamento a queste istanze: essa è un luogo di lotta e di lavoro (e spesso, ahimè, di lotta per il lavoro) e un servizio pubblico che interessa la totalità dei cittadini. Il suo utilizzo è stato sempre, per sua natura, ideologicamente connotato e spesso, in Italia, piegato alle esigenze del potere politico, almeno fino all'avvio della stagione dei Decreti Delegati, negli anni settanta.

Ripartire da un concetto gramsciano di lotta politica e andare oltre la sconfitta epocale dell'inseguimento socialdemocratico alle politiche liberiste che, anche in questo ambito, hanno piegato lo spirito creativo e critico alla logica produttivistica significa indagare a fondo, nel cantiere di produzione del futuro, sulle ragioni di una sconfitta anche tenendo in dovuto conto la dialettica
che questa cultura politica ha con ciò che è alla sua sinistra e con cui dialoga a livello sindacale e di politica locale.

Il centrosinistra ha balbettato contro tagli e durezze, contro i balzi indietro di scuola e università, non ha fornito un supporto concreto nella lotta contro l'asservimento di esse alle politiche di bilancio, in questo sdoganando anche i modelli dirigenziali più dispotici volendo sembrare più realista del re.

Ma questo re, purtroppo, è nudo. Nel senso che lo Stato non ha più risorse per finanziare le contrattazioni di istituto, con cui una serie di attività aggiuntive – anima creativa e senso pedagogico dell'autonomia scolastica - vengono pagate a docenti e ATA: i soldi vanno a copertura degli scatti di anzianità maturati nel 2011 e 2012 (sic) sullo sfondo di un contratto nazionale bloccato ancora per un anno (è scaduto nel 2009) e di una confusione normativa e programmatica che intasa continuamente la già non facile vita d'istituto.

Ecco che riprendere la continuità costituzionale su un percorso di autogestione e sburocratizzazione del sistema educativo può essere un momento di riduzione dello iato fra politica e società, ristrutturando la partecipazione dei cittadini alla gestione dei pubblici servizi e restituendo ai lavoratori della scuola la sovranità sul proprio lavoro, appannata – e non si tratta solo degli insegnanti, che pure hanno lasciato quarti di professionalità nelle controriforme scolastiche – da pratiche impiegatizie ed amministrative che, in nome del buon funzionamento delle istituzioni, fa apparire inevitabile ciò che è frutto di elaborazione ideologica.

È chiaro che una semplice revisione della mappa dei poteri non sarebbe sufficiente: occorrono idee organicamente forti, una visione d'insieme, un destino comune che antropologicamente leghi le diverse esperienze verso la soluzione di problemi storici -come l'abbandono scolastico o l'analfabetismo di ritorno- e quotidiani come la sicurezza negli istituti e le carenze economiche e di personale.

Questo perchè il neoliberismo è purtroppo, ad un tempo, un'idea forte e ingiusta e perchè la sola mobilitazione, scontrandosi con esso e coi suoi modelli economici, spesso soccombe a logiche aberranti sul cammino del superamento delle ideologie: gli esempi, anche con riferimento al galoppante grillismo, qui si sprecano.

Ma le idee forti ci sono: occorre rileggerle alla luce delle esigenze del tempo nuovo, immaginarle in movimento e adattarle ai problemi localmente percepiti nella singola scuola, città, quartiere, luogo di lavoro. Occorre rifuggire dal revisionismo e fornire, in termini di prassi, una risposta ai bisogni materiali -sempre più stringenti- e immateriali come la succitata partecipazione. Occorre attivare una democrazia diffusa, che tragga origine dalle idee di cittadinanza militante immaginata nella nostra Costituzione come cifra di un discorso progressivo e socialista a cui la Resistenza tendeva, dopo l'onta fascista.

In quella Carta non c'è il presidenzialismo surrettizio o il federalismo fiscale – c'è invece un impegno istituzionale alla rimozione degli ostacoli sociali, antitetica al liberalismo classico.

E vuoi vedere che riprendendoci gli spazi di discussione scompare, lentamente ed inesorabilmente come è stato abusivamente introdotto nel nostro ordinamento pure il porcellum e il suo portato culturale di voti utili e partiti personalistici?

Immagine tratta da www.enricopizza.it

Antonio D'Auria

Sono nato a Castellammare di Stabia, cuore operaio nel Golfo di Napoli, nel 1979. Sono educatore al Convitto Nazionale di Prato e militante in Rifondazione Comunista. Di formazione sociologica, il mio interesse è per il mondo della scuola, con particolare riguardo alle politiche culturali e alle implicazioni sociali.

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