Già, perché invece di spiegare come il nodo del referendum era la durata delle concessioni di quelle piattaforme non dismesse e che quindi il sì avrebbe costretto lo stato a far rispettare i contratti siglati con le compagnie petrolifere (dismissione delle piattaforme inutilizzate, pagamento delle royalties e, molto semplicemente, possibilità di estrazione solo fino al termine del contratto e non fino allo svuotamento del giacimento), è stato buttato su una generica e non specifica questione ambientale. Sembrava che dall'esito del referendum sarebbe dipesa la tutela del mare, dal momento che tutte le piattaforme sarebbero state eliminate. Di certo anche dall'altra parte non si sono risparmiati: di paragoni tra la politica di Renzi ed Enrico Mattei ne abbiamo sentiti a fiotti, come se il raggiungimento dell'autonomia energetica italiana passasse da questa consultazione.
Il grosso errore è stato, secondo il modesto parere di chi scrive, credere che sovraccaricando il significato di questo referendum, si avrebbe avuto un gioco più facile nell'avvicinare le persone e nel convincerle a votare. La palla è stata presa infatti al balzo (poi, per carità, magari l'atteggiamento sarebbe stato lo stesso in un contesti diverso) dal Presidente del Consiglio che ha aperto le danze con dichiarazione sull'inutilità del referendum ma che ha proseguito con frottole sull'impatto dell'abrogazione della legge sull'occupazione (operai e ingegneri che con le trivelle ci lavorano) e che ha concluso con l'invito all'astensione, creando un precedente abbastanza odioso (soprattutto se unito alle dichiarazioni di Napolitano e al profilo non basso, praticamente rasoterra, tenuto dal Presidente della Repubblica Mattarella).
Credo che a sinistra dovremmo deciderci, una volta per tutte, di finirla con queste scorciatoie, che tanto mi pare evidente che non ci portano a niente di buono.
Invece di provare a riflettere ed analizzare su una società che oramai è, almeno per metà, del tutto apatica, noi ci lanciamo nell'impresa, dopo questa, di altri undici referendum che avranno luogo in autunno. Per riprendere una riflessione fatta da Elisa Battistini ad un'iniziativa a cui ho partecipato lo scorso sabato, dobbiamo prendere atto del fatto che abbiamo a che fare con una società nella quale la logica puramente predatoria ha avuto la meglio. Nessun appello in difesa del bene comune avrà alcun effetto fino a quando non troveremo il modo per far capire alle persone che l'individualismo, l'agire per il mero interesse proprio, sono una delle grandi tragedie del nostro tempo e che soprattutto fanno il gioco di chi sta smantellando i nostri diritti. Continuiamo a comportarci come se gli ultimi quindici anni non ci fossero stati.
Ieri dopo le prime proiezioni sul voto ho visto i social network riempirsi di post su pieni di entusiasmo dato che, nel 1995, il quorum fu raggiunto partendo da proiezioni simili. Peccato che in questi ultimi vent'anni abbiamo visto astenersi quasi un italiano su due e dilagare un populismo becero per il quale “tanto non serve a niente, sono tutti uguali.
Date queste premesse, è stata davvero una sorpresa vedere che per molti di noi la partecipazione ad un referendum sia ritenuta inutile? Perché il punto è questo: Renzi può gridare ai quattro venti quanto vuole rivendicando che il mancato raggiungimento del quorum sia, l'ennesimo, atto di sostegno al suo governo ma in realtà è solo il frutto diretto delle logiche che guidano questa società. I flussi elettorali magari tra qualche tempo mi smentiranno, ma di tutte le persone che non sono andate a votare che ho incontrato io, nemmeno una che ha giustificato la propria scelta come fedeltà alla linea del governo.
Quindi mi viene spontaneo chiedere se siamo sicuri che l'enfatizzare lo strumento del referendum abrogativo (perché è quello concesso dalla nostra Costituzione) come l'unica modalità per riprenderci la democrazia sia una mossa vincente. Ci aspettano mesi molto duri, dove oltre al referendum consultivo sulla riforma costituzionale, tenteremo di raccogliere 500.000 firme per altri undici quesiti: siamo sicuri che andare a dire alle persone che è la loro possibilità di esercitare i loro diritti renderà la nostra causa più credibile e, passatemi il termine, allettante? Saremo credibili nella nostra campagna contro il governo (perché, volenti o nolenti, questo è il piano dello scontro imposto e noi non avremo i mezzi per spostarlo) proponendo solo la cancellazione di alcune norme (senza contare che uno dei quesiti tornerà ad interpellare gli italiani sulla gestione pubblica dell'acqua, dopo il fallimento della scorsa consultazione)?
Personalmente credo che non sarà abbastanza, dal momento che non li ritengo argomenti soddisfacenti per scalfire il nichilismo e l'egoismo che oramai muovono la nostra società. Credo che dovremmo puntare alla responsabilizzazione degli elettori, non solo tornando a ricordare che il voto è un dovere, ma anche che quando diciamo che in Italia il Parlamento è espressione diretta del popolo, questa affermazione coinvolge direttamente anche coloro che decidono di restare a casa. Dobbiamo smetterla con queste semplificazioni, che vanno dal dire che il referendum sulle trivelle era finalizzato ad evitare la catastrofe ambientale in Italia ma anche che questo governo è illegittimo perché nessuno lo ha mai votato, dato che fino a prova contraria la fiducia al governo la vota il Parlamento e non gli elettori. Dobbiamo trovare il modo per tornare a far ragionare le persone in termini di interessi comuni, magari di classe: poi, magari, una battaglia referendaria ci può stare senza problemi, ma se inserita in un quadro più ampio, che riesca a trasmettere un'idea di alternativa complessiva e di vita diversa.
Va da sé che io mi renda conto che tra il dire e il fare ci sta di mezzo il mare e che le difficoltà sono tantissime ma di sicuro il continuare a rincorrere a singhiozzo queste campagne singole non ci aiuterà a riacquistare la credibilità che abbiamo perso da un pezzo.