Già da una superficiale analisi sul radicamento del fenomeno mafioso non può non balzare agli occhi il legame con i trasferimenti del capitale nelle zone più sviluppate del paese, un legame che tende ad accentuarsi in una fase capitalistica sostanzialmente incentrata sull'incremento delle polarizzazioni e sulle crescenti disparità, anche geografiche (vedi Limes, cliccando qui).
Una altrettanto veloce ispezione dei settori economici ci dice che il contesto economico post-industriale venuto a crearsi dalla fine degli anni '70 non ha fatto altro che creare occasioni di profitto per le cosche mafiose, le quali hanno ben sfruttato il sistematico ritiro dello Stato da ampi settori dell'economia. Il conseguente collasso del welfare non sembra aver fatto altro che infoltire le schiere della manovalanza malavitosa, portando il vecchio proletariato industriale, sindacalizzato e politicizzato a seguire un processo degenerativo verso il sotto-proletariato militarizzato nei propri clan.
Le similitudini con le periferie statunitensi protagoniste delle sanguinose guerre tra clan degli anni '90 sembrano esserci e le difficoltà ad innestare un discorso di classe in simili contesti restano evidenti.
Poi, il sensazionalismo mediatico con cui questi argomenti vengono affrontati da alcuni personaggi certamente non aiuta né la lucidità dell'analisi né la presa di coscienza di chi vive questi contesti che sono innanzitutto imperniati sul degrado e sull'assenza di assistenza statale. Impossibile sperare in una ripresa di quest'ultima visto la natura neoliberista dei governi degli ultimi anni. Se poi si osa allacciare l'analisi al contesto storico si capisce ancor meglio quanto il vero problema sia l'assenza di una prospettiva anticapitalista nella lotta alla mafia. Da un ventennio a questa parte, su ogni progetto rivolto allo sradicamento del fenomeno mafioso è assente il riferimento alla lotta di classe, un tempo portato avanti sia nel PCI (ricordo tra i tanti Li Causi) e poi nei vari partiti a sinistra dello stesso (un nome che non ha bisogno di presentazioni è Impastato).
Oggi, si continua a ripetere, un po' retoricamente, che la mafia si sconfigge a partire dal singolo, e troppo spesso ci si dimentica che il singolo lasciato da solo davanti a un mercato sempre più feroce non ha altre possibilità che soccombere alla legge del più forte. La moralistica di sinistra sui giochi d'azzardo francamente poi è la peggiore, soprattutto quando è lo Stato stesso ad innescare il problema. M
a, oltre alla propaganda governativa spesso sterile, è utile allacciarsi all'ipocrisia di Confindustria che, se ha lanciato meritevoli campagne come quella di “Addiopizzo”, spesso si è poi ridotta insieme al Pd ad abbracciare governi alquanto discutibili sia a livello regionale (vedi Lombardo in Sicilia) che non. Certamente è un'ipocrisia che trovava il suo piccolo esempio nella regione siciliana, ma che oggi è tanto più confermata dall'ultimo governo delle “larghe intese” di Nitto Palma. L'evidenza del problema mafioso italiano nel principale partito di governo dell'ultimo ventennio non è mai stato un problema per gli industriali, il grave è che ora pare non esserlo neanche per quel che resta della sinistra.
Meccanismi di diffusione del capitale mafioso
Davanti a un quadro economico notevolmente peggiorato dal 2008 ad oggi e con la chiusura del credito bancario, le mafie continuano la loro incessante espansione: da un fatturato di 90 miliardi di euro l'anno che ammontava a circa il 7% del Pil, siamo passati a un fatturato di circa 150 miliardi, ossia l' 11% del Pil (rapporto annule Sos Impresa, XIII edizione, cifra confermata anche nell’audizione presso la Commissione parlamentare antimafia del vice direttore della Banca d’Italia). La mafia consacrata prima industria del paese in maniera sempre più stabile. I settori economici in cui fa affari sono tra i più disparati e vanno dai classici: edilizia, logistica e autotrasporto, appalti per grandi opere, droga, usura, estorsione, commercio sessuale e di armi; ai settori della new economy: energie rinnovabili, smantellamento dei rifiuti; fino ai fondamentali settori privatizzati: comparto sanitario e cura della persona, servizi di vigilanza privata, telecomunicazioni, scuole paritarie, lavoro schiavistico e tratta della manodopera migrante. Così, viene mostrato ancora più chiaramente che dove nascono nuove occasioni di profitto facile, dove lo stato si ritira, dove i diritti si rattrappiscono, interviene il mercato feroce che porta con sé il dominio della legge del più forte. Il settore finanziario assume poi un'importanza particolare, da trattare a parte, vista la necessità del riciclaggio del denaro sporco da parte dell'economia mafiosa e vista la normazione (o forse meglio la anormazione) dedicata dalla politica a questo particolare nodo del problema mafioso. Infatti, la deregolamentazione dei mercati, accompagnata da norme volte ad occultare la provenienza dei capitali (vedi segreto bancario), facilitano il cosiddetto “lavaggio” del capitale mafioso. In questo senso, l'economia mafiosa già in continuo aumento secondo le statistiche, potrebbe risultare parecchio sottovalutata proprio per la presenza di questi collaudati canali aperti dalla politica. E' poi noto che sono misurate solo alcune attività, mentre altre sfuggono completamente alle già difficili opere di catalogazione. Difficile pensare alla realizzazione di un concreto piano anti-corruzione partendo da presupposti simili, eppure la noncuranza del problema economico - evidente nell'ultima legge che dimentica di ripristinare il reato di falso in bilancio - che sta alla base del fenomeno mafioso ha indirizzato gli ultimi governi verso la medesima connivente strada.
Immagine tratta da www.navecorsara.it