L’omicidio Noce ha scosso l'immaginazione e le coscienza forse più di altri crimini simili.
Il giorno successivo della sua morte i mezzi di informazione ci hanno esibito immagini e notizie che mostravano una giovane gioiosa, in piazza, con un cartello che affermava “non sono in vendita", distruggendo cosi diversi stereotipi esistenti sulla violenza sulle donne.
In “Quello che resta” (Villaggio Maori edizioni), Serena Maiorana, giornalista e scrittrice, racconta la storia della giovane SEN militante di sinistra, con l’inequivocabile obiettivo di raccontare la storia delle donne in un’Italia evidentemente in ritardo rispetto alle altre nazioni, colma dei retaggi di una ingombrante mentalità maschilista e patriarcale purtroppo ancora egemone ed imperante in ogni sua forma, anche grazie al bene placido, ingenuo e spesso complice benestare di molte donne.
Serena, molto spesso si è convinti che la violenza sulle donne si sviluppi in contesti problematici, culturalmente bassi e che colpisca donne fragili e assertive. Questo caso è del tutto diverso, Stefania era indubbiamente una donna con una personalità forte, energica, determinata, con una profonda coscienza sociale, Stefania era evidentemente ed orgogliosamente, una femminista. Nessuna è quindi immune da questa mattanza silenziosa figlia del “dominio maschile sulle donne” quella che per Pierre Bordieu è “la più antica e persistente forma di oppressione esistente". E di conseguenza, che fare per prevenire questo tipo di violenza?
Senza dubbio nessuna è immune. La Storia di Stefania, più di altre, rende evidente ciò che qualsiasi statistica dimostra in maniera inequivocabile: davvero in Italia può accadere a tutte e difatti accade. Prevenire questo tipo di violenza è possibile solo grazie a piani mirati e corali, che interessino tutti diversi piani di intervento, da quello giudiziario all'assistenza sociale e al welfare.
Esistono differenti piani anti-violenza già messi a punto e sperimentati con successo in altri paesi, da quello spagnolo al cosiddetto “Metodo Scotland” inglese. Importantissimo è, inoltre, il cambiamento cultuale: troppo spesso percepiamo la violenza domestica come un fatto privato, relativo alla sfera privata delle persone coinvolte e in cui è preferibile non immischiarsi. Dobbiamo invece abituarci a ragionare in termini di reato penale, perché di questo si tratta, per tutelare la salute sociale e la dignità del nostro paese.
Il primo piano anti-violenza nazionale risale al 2010, è entrato in vigore solo legislativamente, ma non nella realtà. Attualmente in Italia le garanzie per la donna che spezza le catene del silenzio sono pressoché inesistenti.
Se pur restare succubi non da alcun vantaggio, bisogna ammettere che l’inadeguatezza dei meccanismi di protezione inducono molte donne a non denunciare. I centri antiviolenza coprono i vuoti lasciati dallo Stato. Le urgenze in Italia sono più legislative oppure più organizzative?
Le urgenze in Italia sono sia legislative che organizzative. La situazione non accennerà a migliorare fino a quando il contrasto alla violenza di genere non diventerà una priorità per il Parlamento e dunque per il paese intero. In questo momento invece si tratta solo di un argomento di facile propaganda, indipendentemente dalle politiche reali e, soprattutto, dalle reali competenze. E poi i finanziamenti: chi si occupa di queste problematiche sa bene che qualsiasi piano anti-violenza per funzionare deve avere finanziamenti certi sul lungo e lunghissimo periodo. L'instabilità politica italiana impedisce la continuità degli interventi e dunque ne compromette l'efficacia.
Il problema del sessismo, del machismo, del femminicidio si consuma trasversalmente alle classi sociali, segno tangibile di un’immensa incapacità di vivere serenamente il confronto e/o la relazione con una donna. E' una questione più ampia, che presumibilmente investe l'educazione sentimentale.
Le agenzie educative in che modo, o meglio, che ruolo possono avere scardinare un sistema che una cultura patriarcale ancora dura a morire ci ha lasciato?
L'importanza dell'educazione è fondamentale per cambiare la situazione e le agenzie educative devono assumersene la responsabilità. In Italia l'educazione al genere è più che trascurata, mentre altrove è quasi sempre trattata come una vera e propria disciplina di insegnamento. Questa situazione è molto grave, soprattutto per quanto riguarda l'educazione dei bambini e dei più giovani. Anche in ambito universitario però la situazione nel nostro paese è disastrosa: i corsi di laurea relativi agli studi di genere sono quasi inesistenti e, in questa fase di crisi, tendono ad essere ulteriormente ridotti.
Nel capitolo “Mamma, moglie, madonna. Oppure troia” è più che evidente il tuo tentativo di mettere in risalto un legame tra l’onnipresente presenza in Italia della Chiesa cattolica ed il ruolo soggiogato della donna; Stefania, in un articolo comparso su “La Bussola” scriveva “Le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tantomeno, di una religione."
La Chiesa appare quindi creatrice di ostaggi, sostenitrice di vecchi e di nuovi stereotipi di genere, ma soprattutto come fondatrice di ruoli come si può invertire la rotta e scardinare tutto ciò?
In questa cultura siamo tutti invischiati, per questo la rotta può essere invertita solo con il dialogo e il confronto costante, mettendo in discussione in primo luogo noi stessi e il nostro modo di giudicare gli uomini, le donne e i comportamenti degli uni come degli altri. A questo proposito l'esempio di Stefania è stato fondamentale per il mio lavoro.
Il dominio maschile e l'assoggettamento femminile riguarda anche culture parecchio differenti dalla nostra e riguarda l'ingessamento di ruoli legati al genere: la donna è mamma e addetta all'accudimento, l'uomo è il capobranco che si occupa del sostentamento della famiglia. In questo quadro però è indubbio che in Italia l'influenza della Chiesa abbia avuto un ruolo fondamentale, soprattutto nell'idealizzare modelli di donne buone (quasi sante) e cattive (quasi demoniache). La sedimentazione degli stereotipi e la propensione al giudizio si sviluppa di pari passo con l'invadenza del Vaticano in tutti gli ambiti della nostra vita, costituendo un grande ostacolo al cambiamento e rendendolo più difficile che altrove.
La carneficina delle donne per omicidi di genere è un fenomeno antichissimo, sociale, culturale e persino politico, viene adesso definita con un neologismo ben preciso: FEMMINICIDIO. Con l’omicidio Noce, per la prima volta, entra in una sentenza il concetto di femminicidio come reato specifico contro le donna; risale a questi giorni la “battaglia” sull’adeguatezza o meno del termine, a sostegno di questa termine si è schierata anche l’Accademia della Crusca.
Qual è la tua opinione la riguardo?
“Le parole sono importanti” diceva qualcuno. Io penso che siano importantissime. Sono una linguista e so che, in ogni lingua e in ogni cultura, a specifici fenomeni devono corrispondere specifici termini, capaci di indicarli e descriverli in maniera esaustiva (per questo, purtroppo, si è reso necessario il termine femminicidio, entrato in uso nell'America dei primi anni '90). Di conseguenza una discussione sensata dovrebbe sempre svilupparsi intorno al fenomeno e non riguardo alle presunte qualità del termine che lo indica.
Inoltre, in una società che ha fatto della competenza un inutile optional, troppo spesso manca l'umiltà necessaria ad informarsi e imparare prima di prima di proferire parola su un argomento che non si conosce. Capita così che una parola molto in voga come “femminicidio” venga spesso utilizzata o criticata a sproposito. È un fenomeno dannoso e grottesco, in questo senso il lavoro dell'Accademia della Crusca è stato fondamentale.
Gli italiani sembra si stiano cercando di confrontarsi finalmente con un tema ostico come il femminicidio, credi ci si stia finalmente risvegliando dal “sonno della ragione”?
Non sono così ottimista e più in generale non mi riconosco in modelli che prevedono il male e il bene, il sonno e la veglia. Penso, piuttosto, che ci siano ideali a cui tendere e risultati da perseguire. È nello spostamento verso la meta che si raggiunge il risultato. Mettersi in discussione, organizzarsi, cercare soluzioni, confrontarsi: questo è il metodo per il cambiamento, questo è ciò che manca oggi. Credersi giunti alla meta è il passo che precede un nuovo addormentamento. Per quanto riguarda il femminicidio, in particolare, credo che la strada da fare sia ancora lunghissima: è vero che se ne parla molto, ma troppo spesso male e a sproposito.
Sono molte le iniziative che sono nate e continuano a proporsi genuinamente in memoria e in ricordo di Stefania, ad esempio un’aula, al dipartimento di Lettere e filosofia dell’università di Catania, porta il suo nome, nella targa ai ragazzi del Movimento Studentesco Catanese piacerebbe che nella targa venisse scritto, sotto al nome di Stefania, militante femminista o anche solo femminista per ricordarla non solo come vittima, ma per ciò che Stefania con il suo impegno e la sua costante lotta hanno rappresentato.
Lei stessa nel 2005 scriveva: "Queste righe sono per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c'è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare". Parlare di lei, può stimolare anche le più restie ad impegnarsi, perciò cosa resta oggi di Stefania Noce?
Stefania, nonostante la sua giovane età, ci ha lasciato un'eredità straordinaria.
Giustizia, pace, accoglienza, confronto, rivoluzione, solidarietà, fierezza, azione, ascolto: sono solo alcune delle parole a cui lei da sola, con le sue buone pratiche, ha saputo dare un significato che fosse reale. Talmente reale da essere sopravvissuto a tutto, persino alla morte. A Licodia Eubea è stata fondata un'associazione che si chiama Sen (acronimo di Stefania Erminia Noce) per ricordarla e portare avanti le sue battaglie. C'è una comunità intera che ha saputo interrogarsi, raccogliere il dolore e sublimarlo, sviluppando un percorso di memoria e cambiamento. Credo sia davvero il modo migliore per onorare una ragazza tanto speciale ed essere tra i testimoni di questo processo è per me l'onore più grande.
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