Giovedì, 28 Novembre 2013 00:00

Dallo sciopero di Genova, una lettura di classe

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Lo spettro della coscienza di classe si aggira per l'Italia mentre il ministro Saccomanni da Bruxelles e il premier Letta da Berlino ritornano a calare i dogmi neoliberisti decisamente fuori tempo massimo, come se i risultati disastrosi delle medesime scelte economiche attuate nel passato non fossero già percepiti quotidianamente sulla pelle di tutti gli italiani.

L'Unione Europea completamente distaccata dalla realtà economica italiana continua a chiedere più rigore, e la classe dirigente italiana nel panico totale da “rientro del debito”, tenta così l'ennesima svendita. Queste sono le cronache politiche delle ultime giornate.

Peccato che, come ha dimostrato bene il caso Cancellieri, la percezione della realtà per i cittadini sia decisamente più lucida di quella della politica ufficiale. La retorica politica sembra quindi avere poco spazio per imporre una narrazione distorta.

Gli autisti, i ferrotranvieri, gli operai e la cittadinanza hanno preso coscienza di cosa vuol dire “privatizzazione” ormai da tempo, l'hanno infatti contestata ponendola al centro del dibattito sui “beni comuni” fino a rivendicare uno spazio ben preciso nel quale le dinamiche di mercato non possono entrare. C'è un limite dunque: i beni essenziali non possono diventare merce. La presa di coscienza degli effetti di questo fondamentale strumento per l'attuazione delle politiche neoliberiste, che mirano ad aprire mercati e quindi spazi di profitto semplicemente intaccando fette di mercato di competenza pubblica, demolendo così i diritti di chi lavora e attuando speculazioni sui beni gestiti è un indubbio progresso nella coscienza generale delle popolazioni colpite dalle politiche della Trojka. I referendum del 2011 hanno dimostrato come le privatizzazioni vengano in realtà percepite dalla popolazione per quello che sono: un travaso di risorse nelle casse di qualche privato libero di speculare sulla risorsa “pubblica” (nel caso del trasporto) o “comune” (nel caso dell'acqua).

Le crisi economiche suscitano più inquietudini, più depressione o violenze incontrollate che non reazioni intellettuali” (M.Augè, Futuro, Bollati Boringhieri 2012)

Questa è la percezione generale che abbiamo nell'attuale fase di crisi economica senza prospettive di uscita. Un vicolo cieco che, lungi dal rivelare luci infondo al tunnel, vede realizzarsi l'azzeccata analisi sociologica di Durkheim: una lunga serie di “suicidi anomici” strettamente connessi alla fase di acuta crisi. L'estraniazione dalla collettività porta così ad abbandonare la lotta e a cedere psicologicamente alle difficoltà. L'atomizzazione dell'individuo sociale teorizzata da Adorno, a ben vedere, ritorna utilissima al capitalismo nella sua doppia funzionalità: utile all'assopimento della lotta di classe in periodi di forte crescita - dove manipola l'operaio creando una macchina pronta al consumo, totalmente alienata da ciò che produce - mentre in periodi di drammatica crisi inibisce ogni spirito di rivendicazione dei diritti, assopendo la solidarietà reciproca e incrementando una competizione feroce.

Quello che i tranvieri di Genova hanno avuto la forza di fare è proprio di chi non solo vuole spezzare questo diabolico ciclo, ma di chi prova a ragionare in senso più ampio sulla politica economica, partendo dalla propria condizione lavorativa e provando ad inserirla nel contesto politico generale. Ecco allora rispuntare la coscienza di classe tra i lavoratori in lotta. Dalla ricostruzione delle giornate e degli eventi si possono cogliere interessanti elementi d'analisi, da discutere e approfondire. 

Gli studenti nelle manifestazioni di metà ottobre contro i tagli alla scuola si mostrarono consapevoli delle privatizzazioni in atto nel settore dei trasporti di tutto il Paese - partite proprio con l'Ataf di Firenze ceduta all'ingegner Moretti - provarono a lanciare un allarme, almeno nei depositi Gtt di Torino che vennero occupati per sensibilizzare sulla volontà del Comune di procedere con la privatizzazione della Gtt.

Ma partiamo da quello che, anche se cronologicamente risulta come l'ultimo atto della vertenza della vicenda Amt, rappresenta senz'altro quello più significativo. Lo scollamento tra organizzazioni, istituzioni, partiti (incluso il M5S che tenta di cavalcare col suo capo carismatico una protesta operaia alla quale era indifferente fino al giorno prima), sindacati e società è stato palese come non mai. La presa d'atto della pochezza dei sindacati confederali che firmano accordi con prassi democratiche alquanto discutibili diventa rabbia difficile da frenare, e così si vedono tesserati delusi che seppur nel rispetto verso l'organizzazione sindacale storica, stracciano delusi la tessera.

Il secondo punto che mi interessa approfondire è il collegamento della lotta con la società. La capacità dei ferrotranvieri di proiettare le conseguenze della privatizzazione del loro settore oltre la loro condizione occupazionale è stata sorprendente, sono così andati a descrivere accuratamente, con costanza e pazientemente alla cittadinanza le conseguenze e le ricadute sulla collettività della privatizzazione dell'Amt (ricordo che i lavoratori hanno passato l'ultimo mese a volantinare per la città, battendo piazze, bar, scuole ecc.); portando la popolazione a reagire schifata davanti agli scribacchini mainstream che circolavano per Genova in attesa di raccogliere commenti indignati.

Questi lavoratori hanno poi dimostrato compattezza e unità, sapendo di andare incontro alle sanzioni per lo “sciopero selvaggio” (sanzioni non meramente di facciata, e neppure contrattate nell'accordo firmato, poiché come ricorda La Repubblica ammontano a 2 milioni di euro, e i lavoratori interessati sono tra i 1000 e i 1100) e di rischiare il licenziamento, cosa che di questi tempi decisamente non è da poco. Un coraggio che deriva dalla consapevolezza di reggersi vicendevolmente nella lotta, ritornando alla pratica di solidarietà attiva, appoggiandosi alle casse autofinanziate e di resistenza per reggere alle giornate non pagate alla fine del mese, magari con debiti sulle spalle.

Questa consapevolezza non si è però fermata a una solidarietà categoriale, ma ha fatto il salto più importante, diventando intercategoriale, abbracciando cioè altri settori in lotta, provando ad estendere le rivendicazioni e a far emergere il disagio di altri “compagni” (la parola che ritorna, insistente) appartenenti alla stessa classe, consapevoli che il miglioramento del trasporto pubblico difficilmente potrà avvenire affidando l'Irisbus alla cura Marchionne, ad esempio. Infatti nel pomeriggio del 22 novembre delegazioni di ferrotranvieri dell'Amt, delle FS e persino dell'Atac di Roma si sono riunite nella sala Chiamata del Porto in assemblea per coinvolgere i camalli. Altri importanti appelli sono stati lanciati ai lavoratori di Fincantieri che il governo ha intenzione di svendere, dopo proceduto a smantellarla poco per volta. Infine come ricordato sopra non è mai mancato un riferimento importante al settore industriale del Paese, perché se i nuovi bus che gli autisti dovranno guidare (si spera) vengono prodotti fuori dall'Italia e a condizioni salariali e lavorative peggiori la questione non può passare in secondo piano.

Se vi pare poco per dei lavoratori autorganizzati! Personalmente ritengo sbalorditiva la loro capacità di lettura d'insieme, si sono dimostrati in grado di tenere assieme la rivendicazione salariale e occupazionale (quindi più di categoria, interessante a proposito il riferimento a Renzi additato esplicitamente come “nemico dei lavoratori” nello striscione di apertura del corteo di venerdì) con quella del diritto al trasporto pubblico della cittadinanza. Come se non bastasse hanno saputo andare ben oltre una lettura meramente basata sull'offerta dei servizi pubblici, tentando addirittura di entrare nelle dinamiche produttive della città (e non solo): la chiamata alla lotta dei camalli, la mano tesa all'Irisbus sono solo due facce di una protesta che ha cercato sbocchi ben più ampi. La consapevolezza di incarnare un malessere generale non è mai mancata dunque e sta trovando risposte nella solidarietà dei lavoratori (dichiarazioni qui e qui) e in altri scioperi sorti sull'onda della mobilitazione di Genova (vedi Livorno), proprio mentre l'USB ha indetto uno sciopero nazionale del Tpl per la giornata del 6 dicembre.

Per ora resta l'evidenza del distacco siderale tra un governo di lacchè dell'alta finanza che non poteva scegliere momento peggiore per annunciare la ritrita proposta della privatizzazione, mostrando così una distanza di idee e contenuti tra governanti e governati. Una distanza che neppure Grillo sembra poter ricucire facilmente (diciamolo una volta per tutte: questo è lo scopo dell'ex comico “rivoluzionario”), nonostante come suo solito stia cercando di cavalcare il malessere per limitare l'emorragia dei consensi, prendendosi poi un meritato e cordiale “stai infondo al corteo” da un autista Amt.

Quello che invece emerge è l'esatto opposto di ciò che afferma la retorica di Grillo: “non è una questione di destra e sinistra (…) non è una questione di gestione pubblica o privata”. Una visione tanto confusionaria che solo Bersani poteva prendere come un pensiero organico, tuonando contro “l'ideologia astratta” di Grillo che perde di vista “come fa un'azienda a dare lavoro e stare in piedi, pubblica o privata che sia”. Insomma, a cavalcare una protesta dall'esterno, per tornaconti politici, le figure barbine piovono a catinelle sulle teste dei retori politici. L'unica cosa che si può tentare di fare è di dare una descrizione delle rivendicazioni e delle proposte avanzate dai lavoratori che stanno tentando di costruire nella lotta una via alternativa in grado di dare risposte alla cittadinanza intera che acquista i beni che i ferrotranvieri e gli operai producono. 

La forza politica di manifestare contro un sindaco definito “progressista”, ma che in tema di trasporto pubblico si sta dimostrando fuori da qualsivoglia progetto progressista è solo il sigillo finale alla lotta. Una lotta che nel frattempo si estende e che verrà portata avanti per bocciare il referendum confermativo. L'accordo firmato nella notte di venerdì poi ratificato nella mattinata di sabato dai sindacati secondo gli autisti dissidenti contiene un importante capitolo nel quale si insinuerebbe la privatizzazione. Luca nell'intervista rilasciata a Controlacrisi rivela il malcontento di molti lavoratori delusi e la preoccupazione di tutti quelli che hanno a cuore la sorte del trasporto pubblico cittadino: “L’accordo è tutto basato su ricapitalizzazione e no alla privatizzazione, ma a veder bene non ci sono formule chiare in proposito nel testo. E noi, lo voglio ricordare, siamo stati ben scottati dall’accordo precedente proprio su questi punti”. In riferimento al punto dolente, ossia alla riorganizzazione che dovrebbe far risparmiare all’azienda 4 milioni: “Non ci è stata spiegata – dice Luca – così come si capisce poco dell’agenzia regionale. Mentre invece è chiara la vicenda della manutenzione esterna, che fa sbucare fuori alcuni capitoli della privatizzazione”. “Nel 2015 – conclude Luca – quando si andrà a gara non ce la caveremo se l’Agenzia regionale non funzionerà come si deve” .

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Novembre 2013 17:07
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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