Martedì, 24 Dicembre 2013 00:00

Ripartire dai tanti Dominich Addiah che muoiono fuori dai Cie.

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Se è vero che viviamo in una società in cui l'immediatezza è sempre più centrale e in cui la funzione dell'immagine tende a soverchiare il ruolo della parola, allora sarebbe impossibile non restare sconvolti davanti alle immagini uscite dal Cie di Lampedusa e che hanno fatto il giro del mondo. I detenuti, per manifesta colpa d'esistenza, si ritrovano imprigionati in questi centri per un periodo che può prolungarsi fino ai 18 mesi. Vengono fatti incolonnare in un capannone, nudi, in pieno mese di dicembre, e disinfestati dalla scabbia col getto di una pompa come neanche nei canili. Una scena che inevitabilmente rimanda ai lager, e che fa scalpore, per un giorno, forse due. Poi le anime belle torneranno a dormire, come sono tornate a dormire dopo i tragici naufragi

dello scorso autunno, agghindate dell'encomio papale verso la loro sensibilità e rassicurate dall'impegno dello Stato, ma in fondo del problema che sta alla radice nessuno si occupa, neppure il commissario europeo Cecilia Malmström che interviene a muso duro non appena trapela la notizia, per non perdere legittimazione davanti agli occhi del mondo. E alle anime belle poco sembra importare dell'indifferenza, nella quale continuano a cullarsi, nonostante l'evidente peggioramento delle loro condizioni abbia portato molti di loro a degli spasmi di rivolta. Con quale soluzione poi interviene il Commissario europeo per gli affari interni? Con la minaccia del taglio dei fondi per l'assistenza degli immigrati irregolari, già decurtati di fatto dal rafforzamento dell'agenzia Frontex e da un sistema sempre più orientato al monitoraggio e alla sorveglianza, anziché all'integrazione. Ancora più assurda, se vogliamo, è la richiesta fatta: “alla luce delle nuove risorse sbloccate per l’Italia per l’emergenza emigrazione, vogliamo che queste si traducano poi in risultati concreti incluso il miglioramento delle condizioni dei centri”. Insomma, facciamo di tutta la sponda Sud del Mediterraneo un grande campo di concentramento, dove rinchiudere le masse di persone senza cittadinanza e senza diritti non garantendo inclusione, ma repressione, oppure, alternativamente, intercettiamo i barconi e magari ampliamo i campi libici, lontani da occhi indiscreti.

In questo contesto sembra quasi superfluo che alla notizia dell'ennesimo suicidio, questa volta nel centro d'accoglienza per i richiedenti asilo di Mineo (Ct), e con lo scoppio della protesta di centinaia di migranti in esso rinchiusi, non sia arrivata alcuna dichiarazione scandalizzata dall'Europa e nessuna testa della dirigenza sia saltata. Anche l'attuale condizione che le carceri italiane vivono è una situazione di disagio tale per cui l'atto del togliersi la vita diventa qualcosa di concreto. Eppure, pare che l'Europa non abbia stanziamenti che per piani di contenimento dei flussi di più ampia portata, ragionati in un'ottica fredda, distaccata, che poco ha a che fare con il rispetto dei diritti umani, così può permettersi di ergere nuove carceri riempite da nuovi condannati e, al contempo, rimproverare (giustamente, ma velleitariamente) per il sovraffollamento il sistema carcerario italiano. Nessun conto in termini di coerenza è richiesto all'istituzione premiata appena un anno fa col premio Nobel per la pace, evidentemente “pace” e “diritti umani” non sono più due concetti che devono viaggiare assieme per l'Occidente che ha reso i suoi problemi di democrazia interna autoevidenti. A me, e probabilmente alla mia generazione, l'immagine di quei ragazzi a braccia aperte, con gli operatori che gli ridacchiavano attorno, nella loro spietata funzione lavorativa, ha fatto venire alla mente la famosa immagine del prigioniero di Abu Ghraib. Altro luogo, altro contesto, per carità, ma la medesima umiliazione dell'essere umano condotta in nome di un superiore ideale suddetto “democratico”. Un ideale che da quando si è preteso di farne merce da esportazione è tragicamente collassato pure da noi, portandoci Abu Ghraib in casa come ha commentato Giuseppe Giulietti.

Specularmente alle immagini girate da Khalid nel Cie di Lampedusa, che hanno fatto sobbalzare sulla poltrona le autorità europee, nelle pagine di cronaca troviamo notizie che raccontano il quotidiano e che non hanno a che vedere con uno Stato democratico, ma spesso le saltiamo, assuefatti, come ormai saltiamo le pagine di cronaca sugli suicidi economici. E allora alla notizia di Dominich Addiah, un liberiano 31 enne morto di freddo in auto, fuori da una tendopoli allestita appositamente dalle autorità per la raccolta delle arance a San Ferdinando in quel di Rosarno lo scorso fine novembre, non diamo peso. La tendopoli era piena e lui rincasato tardi non era potuto entrare a scaldarsi in uno dei tanti “campi di lavoro” (non so come altro definirli altrimenti!) allestiti per mantenere in vita la manodopera durante le ore di riposo. L'inverno è duro e lungo se lo devi passare nei campi e al ritorno sei senza luce, e ovviamente ti manca pure l'acqua; verrebbe da chiedersi se qualcuno si è interrogato sul come si genera la scabbia? Ma la sanità è ormai un lusso anche per i cittadini regolari, in queste condizioni una bronchite risulta fatale. È incredibile, ma a rileggere le cronache sembra di rileggere “Se questo è un uomo”, ambientato in Calabria anziché nella fredda Europa centrale. Eppure i media a questi fatti non danno peso, preferendo alzare polveroni sui quali il richiamo dell'Europa è fin troppo facile, bisognerebbe affrontare troppe questioni in grado di far scattare molle nel cervello degli italiani, che invece riprendono in mano i forconi inconsapevoli di chi con quegli strumenti di lavoro porta loro il cibo in tavola a Natale. Eppure, io credo, è da lì che dovremmo ripartire, dal lungo lavorìo sulla consapevolezza che abbiamo visto tragicamente venir meno. Indignarsi un quarto d'ora davanti a un servizio del Tg2 può servire a poco e lo sta dimostrando per l'ennesima volta il caso sollevato da Khalid, ma analizzare le condizioni di vita e di lavoro dei Dominich Addiah può portare lontano, se non altro può portare a un risveglio delle coscienze maggiore di quello che abbiamo visto nelle ultime piazze, dove persone in grave disagio economico si esaltavano dietro a un agrario.

Infine, in un Paese come l'Italia non è indifferente verificare verso chi china il capo e leva il casco la polizia: serve avere il braccio teso, mentre per i “pugni chiusi” e i “musi neri” i randelli son sempre i soliti, da Torino fino a Mineo.

Immagine tratta da: www.spoletocity.com

Ultima modifica il Lunedì, 23 Dicembre 2013 22:06
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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