Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.
A me capita raramente di andare al cinema senza informazioni relative a ciò che andrò a vedere. Però devo ammettere che ci sono dei casi dove essere ignari può essere un vantaggio. Frank dell'irlandese Lenny Abrahamson è un esempio calzante.
Fino a qui tutto bene: una storia generazionale destinata a diventare cult
Ricordate un film francese cult del 1995?Si chiamava “L'Odio” (“La haine”) ed era l'opera seconda (ma la prima di successo) di Mathieu Kassovitz. Nel cast c'era anche un certo Vincent Cassel. Un film importante che raccontava la dura realtà delle banlieue (periferie) parigine e dei pittoreschi personaggi che le popolano. Il finale di quest'opera è scandita da una voce narrante che dice: “È la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani... A ogni piano, mentre cade, l'uomo non smette di ripetere: "Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene". Questo per dire che l'importante non è la caduta ma l'atterraggio.”
“Acchiappa la volpe": la terribile metafora dell'America secondo Bennet Miller
Nonostante abbia fatto tre film di grande qualità, Bennett Miller ai più è sconosciuto. Quando dietro la macchina da presa c’è questo regista non c’è mai nulla di banale o scontato nel suo modo di dirigere (non a caso è stato premiato per la regia al Festival di Cannes 2014 per il film che tra poco tratterò). A quasi 40 anni (cosa abbastanza inconsueta nel cinema) dirige il suo primo lungometraggio e fa subito il botto: l'opera in questione è “Truman Capote: a sangue freddo” che dette l'Oscar al compianto Philip Seymour Hoffman. La pellicola successiva è “L'arte di vincere”, storia importante con Seymour Hoffman allenatore e Brad Pitt dirigente di una squadra di baseball che non può competere con i budget stratosferici di altre squadre. Il manager adotta un software di un giovane laureato che gli dimostrerà che si può costruire una squadra vincente utilizzando le statistiche e la matematica. Film veramente interessante, da ogni punto di vista. Naturalmente in pochi l'hanno visto. A Cannes 2014 presenta la terza opera: l'attesissimo “Foxcatcher”, arrivato nelle sale italiane solo a marzo grazie a Bim. Candidato a 5 Oscar ma è rimasto a bocca asciutta.
Avete mai desiderato di diventare una star della musica? Se la vostra risposta è sì, è bene che vediate questo piccolo film indipendente che, a sorpresa, è diventato un piccolo cult a causa della vittoria di 3 premi Oscar (Miglior sonoro, Miglior montaggio e Miglior attore non protagonista – J.K. Simmons).
Vizio intrinseco o di forma?
Lo so molti di voi diranno che di Anderson conoscono Wes (quello di “Grand Budapest Hotel”) ma il cineasta californiano Paul Thomas ha fatto numerose opere importanti e di gusto spiccatamente cinefilo. Tutto ebbe inizio nel 1997 con “Boogie Nights” passando poi per film come “Magnolia” e “The Master”. Nel mezzo però c'è anche l'Oscar per “Il petroliere”. Tra gli attori con cui ha lavorato più frequentemente troviamo Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Daniel Day Lewis e Joacquin Phoenix.
Selma - La strada per la libertà
10 dicembre 1964, Oslo (Norvegia). Martin Luther King (interpretato da un ottimo David Oyelowo), all'epoca trentacinquenne, riceve il premio Nobel per la pace.
King nel suo discorso comunica la speranza di vedere tutte le genti ottenere "istruzione e cultura per la loro mente e dignità uguaglianza e libertà per il loro spirito".
Birdman - l'imprevedibile virtù dell'ignoranza
Finalmente è arrivato anche in Italia l'attesa pellicola di Alejandro Gonzalez Iñárritu, candidata a 9 premi Oscar: sto parlando di Birdman (o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza), film di apertura dell'ultimo Festival di Venezia.
Ancora una volta il cinema italiano mostra la sua carenza principale: la mancanza di scrittori. Se leggete i nomi degli sceneggiatori dei titoli di coda, vedrete che sono circa 10 che fluttano insieme ai soliti attori, registi, produttori e distributori (in primis Rai Cinema e Medusa). Questo succede da anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutto.
In tempi di crisi (di ogni tipo), specie sul lavoro (privilegio ormai di pochi), non avere un buon rapporto con i propri superiori può diventare un grosso problema. Soprattutto psicologico. È stato fatto un sondaggio dove i lavoratori intervistati si lamentavano ripetutamente dei comportamentei dei propri capi. Sono emersi problemi di vario tipo legati a prepotenza, molestia verbale o sessuale, arroganza, inettitudine, incompetenza, egocentrismo, doppiogiochismo, vigliaccheria e quant'altro.
Il 2015 si apre con tre ottime pellicole: The imitation game su Alan Turing, il ritorno di Clint Eastwood con American Sniper sulla storia del più letale cecchino americano e poi c'è anche il grande ritorno di Tim Burton con Big eyes. Il regista californiano spiazza perchè dopo diversi anni abbandona gli attori feticci Johnny Depp e (l'ex moglie) Helena Bonham Carter, compagni di mille avventure e di diversi film. Onestamente c'era bisogno di una svolta e lui ha avuto il coraggio di farla. Il vero talento di Burton, per intendersi, era quello mostrato alla fine degli anni '80 (da Batman) fino al 2003, anno di Big Fish. Successivamente le idee scarseggiarono finendo per riprodurre remake (La fabbrica di cioccolato, Alice in Wonderland) o adattamenti ritirati fuori dal cassetto (Frankweenie del 2013 riprende in mano materiale del suo primo cortometraggio). Risultato? Il pubblico si era stancato.
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