Cultura

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Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.

Immagine liberamente tratta da pixabay.com

Si è spento poche ore fa, a Roma, all'età di 84 anni, il regista e sceneggiatore Ettore Scola.
Regista acuto, Scola ha attraversato, per oltre cinquanta anni, la vita culturale del Paese, e le sue evoluzioni, rendendo su pellicola non soltanto indiscutibile qualità tecnica, ma accompagnando lo spettatore in storie mai banali.
Dopo alcuni lavori in Rai, l'esordio dietro la macchina da presa avviene nel 1964, con lo spassosissimo film a episodi Se permette parliamo di donne, seguito da alcuni film di minor successo. Il 1968 è l'anno di Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, commedia frizzante che racconta di un editore molto borghese (Alberto Sordi) e del suo grigio ragioniere (Bernard Blier doppiato con un divertente accento marchigiano da Max Turilli) improvvisatisi improbabili avventurieri alla ricerca del cognato (Nino Manfredi) fuggito dalla stressante vita occidentale.
Gli anni '70 si aprono, per il regista, con Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), racconto comico di una storia d'amore, tragica, a tre con protagonisti Monica Vitti, Giancarlo Giannini e Marcello Mastroianni. Mastroianni che ritroviamo, l'anno seguente, in Permette? Rocco Papaleo, e più avanti in Signore e signori buonanotte (commedia, a tratti grottesca, dalla pungente denuncia politica, pur in chiave comica) e nel capolavoro Una giornata particolare, nel quale il grande attore frusinate è in coppia con una splendida Sophia Loren, immersi entrambi - l'uno, un omosessuale emarginato dal regime, l'altra, una casalinga insoddisfatta ed oppressa dal marito - in una surreale giornata di un condominio deserto.
Un altro dei mostri sacri del cinema italiano, Nino Manfredi, accompagnerà, come protagonista, Scola nella commedia, intima, delicata e piena di amarezza, C'eravamo tanto amati, e nella feroce, pur nella sua comicità, denuncia della condizione delle borgate romane Brutti, sporchi e cattivi.
Del 1980 è, invece, La terrazza, derisione ed insieme riflessione dei, e sui, salotti della Roma bene nei quali deputati, dirigenti Rai, attori decaduti ed altri personaggi del giro, sono parti, tutte, di un medesimo contesto.
Tra i registi del documentario collettivo sui funerali del segretario comunista Berlinguer (saranno diversi i suoi lavori politici, anche se meno conosciuti al grande pubblico) nel 1984, chiude il decennio con Splendor e Che ora è? (entrambi con la coppia di gran classe Mastroianni-Troisi).
Tra i suoi ultimi lavori Romanzo di un giovane povero (1995) con un profondo Sordi nella parte di un vecchio triste e meschino e Rolando Ravello, in quella di un giovane dalla vita miseria che assiste, quasi impassibile, alle disgrazie che lo coinvolgeranno; e, nel 1998, La cena, ultimo film di Vittorio Gassman.
Impossibile citare, i film, tra i più noti della commedia italiana degli anni '60 e '70, nei quali collaborò alla sceneggiatura: da Un americano a Roma a Gli anni ruggenti, e poi La parmigiana, La marcia su Roma, Il sorpasso... film che meriterebbero tutti di essere visti, almeno una volta.
Regista impegnato politicamente, prima con il PCI e poi con i DS fino alla sinistra del PD, ha espresso la propria critica a ciò che non gli piaceva (dai venduti di C'eravamo tanti amati ai salottieri de La terrazza) con brio ed acume, ed è stata forse questa sua capacità di essere popolare e di sinistra - o, per meglio dire, di sinistra popolare - l'insegnamento che lascia in eredità e che andrebbe seminato con la cura che meritano i semi rari.

Martedì, 19 Gennaio 2016 00:00

La corrispondenza

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La corrispondenza **1/2

(Italia 2016)
di Giuseppe TORNATORE
con Jeremy IRONS, Olga KURYLENKO
Durata: 1h e 56 minuti
Produzione e distribuzione: Rai Cinema e 01 Distribution
DAL 14 GENNAIO 2016 AL CINEMA

Ventunesimo disco in studio,Battering  a 36 anni dall’esordio discografico omonimo e 39 dalla nascita ufficiale del gruppo.

I Saxon hanno da tempo deciso di spingere al massimo il loro fiammante camion rosso, cercando consenso tra le nuove generazioni con un suono pulito, potente e apertura ai temi videoludici. La NWOBHM, cioè la scuola musicale heavy metal di cui sono sopravvissuti pochi nomi (su tutti gli Iron Maiden), è nata negli anni in cui in Gran Bretagna bruciavano le ceneri del punk: chi è nato artisticamente in quel periodo non può mancare di determinazione.

Il contesto determina il giudizio, inevitabilmente. Delude quindi l'episodio vittoriano dello Sherlock della BBC, se per vederlo si paga un biglietto cinematografico maggiorato per gli eventi speciali. Fa piacere sostenere le sale dei circuiti locali: è l'unica consolazione, oltre a rappresentare un diversivo alla vigilia dell'esaursi dell'effetto aspirapolvere di Star Wars e Quo vado?.

Mercoledì, 13 Gennaio 2016 00:00

Trieste maledetta - Intervista a Pietro Purini

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Intervista allo storico Pietro Purini a cura di Roberto Capizzi uscito sul mensile di Novembre

Trieste maledetta

Storicamente eterogenea dal punto di vista etnico, ed al centro di un impero crogiuolo di lingue e popoli diversi, può descriverci la composizione etnica di Trieste prima della Prima Guerra Mondiale?

Fino al 1914 Trieste era una città estremamente dinamica e composita nazionalmente. Con 243.000 abitanti era la quarta città dell'Impero dopo Vienna, Budapest e Praga; l'accrescimento medio di popolazione era di 5.000 abitanti l'anno. Gli immigrati provenivano da tutta l'Austria Ungheria (soprattutto da Istria, Slovenia, Dalmazia, Carinzia, Stiria, Boemia), ma anche dall'Italia (Friuli, Veneto, Puglia) e dall'intera Europa. In città erano presenti comunità greche, serbe, croate, ceche, ebraiche, svizzere, tedesche luterane, armene, turche, nonchè circa 35-40.000 "regnicoli" italiani, lavoratori provenienti dall'Italia che però non avevano la cittadinanza austriaca, quelli che al giorno d'oggi definiremmo "gasterbeiter". La popolazione dunque era estremamente variegata: per citare i soli gruppi più grandi, nel censimento del 1910 il 64% dichiarò che la propria lingua d'uso era l'italiano, il 25% lo sloveno, il 5% il tedesco e poco meno dell'1 % il serbocroato. In realtà la lingua d'uso non era un criterio preciso per definire quale fosse la nazionalità dei censiti: in una città di forte immigrazione era possibile che neoimmigrati di madrelingua slovena, croata, tedesca o ceca, dessero come propria lingua d'uso l'italiano semplicemente perchè quella (o meglio: il dialetto triestino) era la lingua che usavano sul posto di lavoro. Inoltre i rilevatori del censimento erano funzionari del Comune di Trieste, controllato del Partito liberal-nazionale (gli irredentisti favorevoli all'Italia): è quindi probabile che i risultati di questo censimento siano comunque sbilanciati a favore della componente italiana.

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