Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
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Con la recente notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI non può non tornare alla mente il caso di Celestino V, reso famoso dalle parole di Dante Alighieri: "E dietro le venìa sì lunga tratta - di gente, ch'io non avrei creduto, - che morte tanta n'avesse disfatta. - Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, - vidi e conobbi l'ombra di colui - che fece per viltà il gran rifiuto." Questo passo è tratto dal III canto dell'Inferno, quello degli ignavi, cioè coloro che nella loro vita hanno agito senza prendere mai posizione, limitandosi ad adeguarsi a quella più comoda o del più forte.
Nel 1992, il versatile autore satirico statunitense Art Spiegelman (Stoccolma, 15 febbraio 1948) sconvolse il mondo della critica vincendo uno speciale premio Pulitzer, la massima onorificenza giornalistica mondiale, per la sua graphic novel Maus. L’opera fu pubblicata originariamente a puntate tra il 1980 e il 1991 sulla rivista di sperimentazione grafica Raw, diretta da Spiegelman stesso e dalla moglie Françoise, ed è composta in due parti: “Mio padre sanguina storia” e “Qui cominciano i miei guai”, riunite in volume rispettivamente nel 1986 e nel 1991. A partire dal 2000, Einaudi ne ha proposto un’edizione in volume unico, che a oggi rappresenta il mezzo più facile per reperire in Italia il fumetto nella sua interezza, nonostante sia apparso a fascicoli sulla rivista Linus già nei primi anni Ottanta.
Carlo Mercadante, grazie al sostegno del collettivo aperto chiamato “Sindrome di Peter Pan”, si propone come uno dei più interessanti cantautori in circolazione già a partire dal 2010, quando viene pubblicato il solido LP “Sempre scattando, sempre in movimento”, titolo che riassume la vivacità e creatività di un musicista che vuole sempre stupire con nuove idee e proposte. L’intervista che Carlo ci ha gentilmente concesso è volta a conoscere meglio non solo il suo nuovo progetto, “7 briciole lungo la strada”ma anche i suoi interessi, gusti, opinioni e idee.
1) “7 briciole lungo la strada”, l’ambizioso e originale progetto che stai portando avanti insieme al collettivo “Sindrome di Peter Pan” è quello di un cosiddetto “album a rate” che propone al pubblico una nuova canzone all'incirca una volta al mese. Come hai partorito questa idea e quale vuole essere il messaggio che lanci?
L'intenzione è quella di mettere in discussione tutto a 360 gradi. Dal modo di fare musica in Italia alle mie stesse proposte. C'è un esame molto critico dietro. Mi chiedo che senso abbia lanciare 2 o 3 canzoni valide all'interno di un album con altre senza storia, mi chiedo che senso abbia usare le stesse modalità di promozione di artisti affermati. Voglio mostrare quello che c'è dietro, dalla scrittura / stesura alla registrazione / pubblicazione. É un modo per rendere “tangibile” un lavoro di produzione che spesso si perde in un ascolto rapido.
2) La promozione in rete della tua musica denota una certa capacità di maneggiare le nuove tecnologie e le nuove possibilità che si aprono nel rapporto fra autore e ascoltatore. Se oggi è più facile diffondere e divulgare materiale musicale risulta sempre più difficile rintracciare la narratività, cioè la compattezza tematica e concettuale che si inscriveva – anche fisicamente - nei supporti tradizionali. La dispersione della musica in una miriade di frammenti disconnessi implica un maggiore sforzo da parte dell’autore nel mettere in luce i messaggi di fondo del suo progetto. Quale è il filo conduttore del tuo e quali elementi di continuità/discontinuità dobbiamo aspettarci dalla nuove canzoni?
Io racconto anche il percorso che c'è dietro una canzone. Il risultato finale è la sintesi di una serie di riflessioni e ricerche che portano un brano da chi lo scrive a chi lo ascolta. Ritengo importante argomentare questo percorso. Con un “album a rate” posso dedicare ampio spazio ad ogni tematica che affronto. Mi rivolgo a chi si da tempo per comprendere questo modo di operare. A chi fa musica non deve più bastare il fatto di porgere un ascolto rapido.
3) Da ciò che si scrivi sul tuo sito e dai testi delle canzoni si evince un’attenzione per le tematiche sociali e del mondo giovanile, raccontate con ironia, sarcasmo, senza nascondere un po’ di amarezza. Condividi l’opinione secondo la quale il periodo di crisi e di crescenti disuguaglianze sociali che stiamo vivendo impone la necessità di proporre un nuovo cantautorato d’impegno che si erga a baluardo di un certo qualunquismo e di “ritorno al privato” che dagli anni ottanta ha progressivamente preso il sopravvento anche nell’ambito della musica popolare?
Lo dico sempre: Divertirsi significa “divergere” o affrontare un cambiamento. Chi si diverte si predispone già ad avere un atteggiamento propositivo. Io propongo temi che possono essere importanti, ma lo faccio spesso sorridendo. É solo un modo di porgere le cose, è un linguaggio. Il comico riesce a far riflettere senza per questo degradare un argomento. É l'atteggiamento che più mi piace. Ovvio, non sono un comico ma l'ironia mi aiuta spessissimo.
4) Le tue canzoni, delicate ma allo stesso tempo profonde, nascondono una grande maturità oltre che a un certo bagaglio culturale. Quali sono i musicisti che ti hanno più influenzato? E ci sono letture che hanno ispirato la tua produzione musicale?
Ascolto tantissima musica: dal rock al country dall'elettronica alla classica. Potrei dire Mark Knopfler, Jim Croce, Jean Michel Jarre. Mi lego più ai suoni che alle parole. Le parole ognuno già le ha dentro. Letture tante. Il fumetto ha un posto rilevante nella mia vita perché ritengo aiuti a viaggiare e prendere coscienza del mondo in modo più immediato e diretto. Tutto quello che stimola la fantasia o una semplice considerazione, entra di forza tra i miei interessi.
5) Infine volevo farti una domanda più di natura tecnica: la semplicità della strumentazione musicale (che comunque non si dissocia mai dall’attenzione al dettaglio) dona un apprezzabile realismo alle composizioni. Questo approccio è dettato da cause di forza maggiore oppure risponde a una estetica della “bassa fedeltà”?
La semplicità di alcune canzoni non corrisponde alla complessità di altre. In realtà sono molto aperto a soluzioni e non mi sono mai preoccupato di incastonarmi in un genere preciso. Tra le mie prossime “briciole” c'è anche dell'elettronica. La musica è ricerca. Non posso negarmi la possibilità di fare cose diverse. Quando non le so fare è per me l'occasione di farmi aiutare da chi sa e da chi mi insegna.
Si ringrazia Ketty Bertuccelli per la supervisione e per aver reso possibile questa intervista
Gennaio 2013, con una lettera indirizzata alla presidente Ilaria Borletti Buitoni, Salvatore Settis si dimette dal consiglio di amministrazione del FAI, in risposta alla decisione della Buitoni di candidarsi nella lista “scelta civica con Monti per l’Italia”.
La Buitoni ha motivato la sua scelta di adesione alla lista come atto doveroso, per poter finalmente e concretamente operare dal dentro della politica per quella che ormai oggi è diventata l’emergenza beni culturali.
Le ragioni di Settis e del suo gesto sono invece riconducibili a quello che è stato l’operato del governo uscente, in favore della cultura, nell’anno appena trascorso e in quello che la lista Monti propone sostanzialmente in vista di un eventuale governo futuro: la privatizzazione del patrimonio pubblico.
Il Novecento è stato anche e soprattutto un secolo percorso dai passi concitati di milioni di uomini e di donne che, da un capo all’altro del pianeta, hanno tentato, in condizioni spesso drammatiche, di segnare il corso degli eventi a favore di un “quarto stato” che da figlio illegittimo della modernità capitalista aveva deciso di elevarsi a soggetto della Storia.
“Un sogno chiamato rivoluzione” di Filippo Manganaro- autore di opere e ricerche sul movimento operaio e popolare statunitense- edito da Nova Delphi restituisce grandezza e tragicità del XX secolo attraverso il racconto delle vicende che hanno avuto come protagoniste generazioni successive della stessa famiglia, le cui storie individuali si collocano nella narrazione di una gigantesca impresa collettiva di liberazione che ha permeato di sé un’epoca e che ha condizionato i destini di innumerevoli subalterni.
Una narrazione che vede protagonisti Sholomo, Chaya, Aidan, Paddy: nomi dei membri di una famiglia che, generazione dopo generazione, percorre luoghi ed epoche, abita stamberghe poveramente arredate, conosce i mille volti dello sfruttamento capitalistico, del razzismo e della miseria, stringe in pugno la sensazione della vittoria e assapora l’amaro della sconfitta.
Persone nate e cresciute nel “tempo del disordine/quando la fame regnava” e che seppero battersi, riconoscendo il lato giusto della barricata ovunque si trovassero: dai ghetti ebraici della Russia zarista sconvolti dai pogrom agli scioperi di Lawrence del 1912, dall’Irlanda miserabile e coraggiosa conosciuta attraverso i racconti dei padri alla Spagna repubblicana dove migliaia di volontari accorrono a difendere il “sogno di una cosa”.
La fatica, le delusioni, gli entusiasmi e il dolore sono elementi che vengono pagina dopo pagina scandagliati nella loro dimensione più intima, senza mai scinderli da quel gigantesco assalto al cielo talvolta fallito e sconfitto ma “appena incominciato”, come avverte uno dei figli di Chaya la coraggiosa, mentre riannoda i fili della propria storia e fa pace con essa, in un giorno d’estate sotto i cieli di Madrid, in mezzo a uomini che fondono i loro idiomi in un’unica melodia e fanno sorgere da essa la lingua universale della dignità e del riscatto.
Giovan Pietro Vieusseux inaugurò il suo Gabinetto scientifico letterario nella sede di Palazzo Buondelmonti in Piazza Santa Trinita il 25 gennaio 1820.
Egli fu un commerciante di origini ginevrine, nacque in Liguria, ad Oneglia, nel 1779, e passò buona parte della sua giovinezza in viaggi per l’Europa. Non era un uomo particolarmente erudito negli studi classici, ma sviluppò ben presto un forte interesse alla cultura e soprattutto al diffondersi di essa tramite la libera circolazione delle idee.
Tornato a Firenze dopo i suoi lunghi viaggi in Europa, denunciò la situazione culturale della città con queste parole: “io credevo che tanti anni di rivoluzioni avessero apportato sotto questo profilo, in Italia, qualche cambiamento favorevole e io mi sono molto scandalizzato l’altro giorno a Firenze di non trovare altro gabinetto letterario che una miserabile bottega che non riceve che due gazzette e non annovera che una dozzina di abbonati.”
Da questa mancanza di un gabinetto di lettura riscontrata dal Viesseux, nacque il Gabinetto fiorentino.
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