Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
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Il sistema economico vigente crea dal nulla e impone abitudini a cui sottostare. Una di queste è il regalo di Natale. Un obbligo che impone la frequentazione di luoghi, che altrimenti eviteremmo come la peste: ipermercati, outlet, negozi di chincaglierie varie, nei quali acquistare oggetti per lo più inutili, che coloro che li ricevono si appresteranno a rigirare ad altri o a disfarsene in qualche maniera. La crisi non ha affatto messo in discussione questa pratica, poiché è sentita come un dovere da assolvere, magari ad un costo minore. Prima che la Coca Cola inventasse la figura del Babbo Natale vestito di rosso e di bianco, dalla taglia massiccia e la faccia grassoccia e barbuta, ad uso e consumo dell’uso del consumo, per noi bambini negli anni cinquanta la festa per antonomasia era la Befana. Giorno in cui si ricevevano i regali; a Natale c’era semplicemente il ceppo, inteso come mancia o dono di qualcosa di utile, alla lettera il ceppo era (ed è) un pezzo di legno per il camino (vi ricorda qualcuno?).
I trailer nelle sale cinematografiche restano centrali per chi ancora non si rassegna a ripiegare su YouTube. Capita talvolta di vedere a più riprese la promozione di una pellicola che poi non si riesce a ritrovare nelle programmazioni delle sale regionali, salvo pochissime eccezioni. A questa insolita situazione, nel caso de "La bottega dei suicidi", si aggiungono elementi polemici tipicamente italiani.
L’Ansa, il 19 dicembre, annuncia infatti che al cartone sarà applicato il divieto di visione per i minori di 18 anni. Il giorno successivo sul sito della Videa (la società di distribuzione) si informa che tale limite non sarà applicato.
"Le minacciose punte del palazzo/ che gettan l'ombra sopra il cupolone/ le mi sembran piramidi del cazzo/ tirate su da un rozzo faraone". Si tratta dell'inizio di un contrasto in ottava rima che, se foste passati venerdì 14 dicembre alle 17.30 nell´Area Libri della Coop di Novoli, avreste potuto ascoltare cantato come avrebbero fatto gli antichi improvvisatori, nella Toscana di un secolo fa.
Il testo però è più recente, scritto da Alessandro Bencistà, che proprio a Novoli presentava il suo nuovo "Vocabolario del vernacolo fiorentino e toscano" (Sarnus, pp. 192, euro 14), insieme all'attore Carlo Monni e alla cantante folk Lisetta Luchini. L'ottava rima, che siamo abituati a conoscere nella sua versione alta nelle realizzazioni poetiche di Poliziano, Boiardo, Ariosto e Tasso, è in realtà una forma di poesia che ha profonde radici nella tradizione popolare e vernacolare. Probilmente derivata da forme popolari come la lauda o la ballata, passando dalla tradizione dei cantari, è arrivata poi, tramite l'esempio illustre del Boccaccio, ad essere il metro principale della poesia narrativa rinascimentale.
Accanto alla tradizione letteriaria l'ottava rima è però nel tempo rimasta viva nella voce dei molti poeti improvvisatori che ancora nel novecento si potevano diffusamente sentire, sopratutto nell'Italia centrale. Nelle sue forme principali dello strambotto e del rispetto si può sentire ancora oggi, e ancora condivide con le antiche forme medievali alcune caratteristiche, come la tendenza all'anisosillabismo, all'assonanza, all'endecasillabo non canonico.
Proprio dall'ottava rima Bencistà ha cominciato la sua lunga esplorazione delle parlate vernacolari toscane, grazie a Gino Ceccherini ed Elio Piccardi. "Nel 1981 insegnavo all'istituto alberghiero" racconta "ed avevo in classe il nipote di Gino Ceccherini, poeta in ottava rima che aveva un banchino di lamette e schiuma da barba al mercato".
Nato nel 1904 a Rovezzano e scomparso nei primi anni ’80, a partire dagli anni sessanta il Ceccherini aveva iniziato, a sue spese, a incidere le sue ottave in 45 giri. E' l'inizio, per Bencistà, di una lunga esplorazione del vernacolo in ottava rima, e della ricerca di canti popolari spesso conservatisi intatti dall'inizio dell'ottocento: serenate, rispetti, stornelli mantenuti vivi dai "bernescanti", i poeti in ottava rima appunto, ai quali dedica un libro dal titolo omonimo nel 1994 ("I bernescanti: il contrasto in ottava rima e le tematiche attuali").
"Ho fatto ricerche in tutta la Toscana" dice Bencistà, "dalla Maremma all'isola d'Elba, dal lucchese all'appennino. E' la mia cultura, quella del mondo in cui sono cresciuto, ma dopo più di quarant'anni di insegnamento ho imparato anche molte parole nuove, anche parole dei giovani che sono stato attento a documentare". Il suo vocabolario appena uscito riporta migliaia di voci, da "abbacare" a "zuppa", utilizzate nelle diverse zone della regione, spiegate con esempi presi da opere celebri della letteratura, della musica e del folklore. "Ho raccolto dalle quattromila alle cinquemila voci utilizzando trenta dizionari toscani" dice. Il centro geografico e linguistico resta naturalmente Firenze, con la sua storia ricca di contatti e di influenze (da quelle medievali provenienti dai vernacoli dell'ovest ai calchi dall'inglese di oggi), ma anche le altre parlate toscane sono ben rappresentate ed indagate. Un' inestimabile ricchezza collettiva della memoria, che solo negli ultimi anni, nel mondo della globalizzazione, si è ricominciato ad apprezzare e a conoscere, e per il quale si è creato il termine di "patrimonio immateriale".
Alessandro Bencistà, classe 1941, ha fatto l'insegnante dal '64 al 2009. Nel 1996 ha fondato, insieme ad altri studiosi e interpreti del folklore toscano, il Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane e il periodico «Toscana Folk» . Dopo molti anni passati ad occuparsi di arte, tradizioni popolari toscane, teatro e poesia in vernacolo, mettendo su anche un importante archivio, ci tiene a precisare la sua diversità di approccio: "Molti vocabolaristi e studiosi di tradizioni popolari scrivono interrogando" cercando un contatto con un mondo che non condividono e facendoselo raccontare davanti ad un registatore. "Io invece" dice Bencistà "non ho bisogno di interrogare il nonno, il contadino, la massaia... Perchè io sono il nonno, il contadino, la massaia".
“Lo ho trovato noioso”. “Non hai visto Lo Hobbit”. Questo il dialogo ascoltato all’uscita dalla sala di uno dei cinema fiorentini sopravvissuti ai multisala. Il film incriminato è l’ultima opera di Ken Loach, regista certamente non noto per film d’azione o commedie natalizie.
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Intervista a Elena Pulcini, Professoressa ordinaria di Filosofia sociale, presso l'Università di Firenze
10) Ritiene che la cosiddetta green economy o l’ edilizia sostenibile possano servire a sovrastare il problema della cementificazione cieca e selvaggia, o che alla fine, per usare una metafora, esse possano soltanto alleviare i dolori del paziente terminale ma non gli salvano affatto la vita?
Intervista a Elena Pulcini, Professoressa ordinaria di Filosofia sociale, presso l'Università di Firenze
5) Il clima impazzito, mette a nudo le miserie del genere umano. Ad esempio, mette in evidenza il potenziale devastante della cementificazione selvaggia (basti pensare al fatto che negli ultimi 30 anni abbiamo cementificato 6 milioni circa di terreno – un quarto del territorio italiano – pur contando 10 milioni c.a. di case vuote), eppure si continua a costruire. Sembra ormai radicata l’idea che senza edilizia, senza quest’ottica di endemico liberismo economico in cui versiamo non ci sia possibilità di occupazione né crescita né sviluppo. Può darci una sua considerazione a riguardo?
Uno dei problemi che più influiscono sulla devastazione del territorio è proprio questo: un atteggiamento di totale disinteresse nei confronti dell’ambiente, fagocitato dai fattori della modernità e da una sempre più cieca economia di mercato. L’Italia è appunto uno degli esempi più lampanti di violazione estrema del territorio. Come lo è il problema della rapacità economica: questa porta ad assumere un atteggiamento sempre più “selvaggio” da parte dei paesi emergenti, quali ad esempio la Cina, la quale, pilotata com’è verso la crescita non ha alcun interesse ad affrontare certe problematiche. Mentre per alcuni paesi, non si tratta neanche solo di questa visione sfrenata di crescita produttivistica, in nome della quale viene sacrificato tutto il resto, ma purtroppo, anche di senso di impotenza: si pensi ad un paese come il Brasile, dove c’è una coscienza ecologica molto più diffusa rispetto a quella italiana, eppure, anche qui, persino un grande presidente come è stato Lula, che sarebbe stato anche disposto a prender provvedimenti su questo versante, si è trovato costretto a trascurare enormemente il problema ambientale, in quanto cozzava con il problema del lavoro, dell’occupazione e della crescita economica.
6) Pensa che potrebbe esserci un’alternativa di progresso, per così dire, sostenibile?
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