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La vittoria di Ollanta Humala nel 2011 aveva generato numerose aspettative nei peruviani ed all'estero, nonostante sin da subito l'ex militare avesse chiarito di guardare più al Brasile che al Venezuela, il fatto che in uno dei Paesi più a destra nel continente latinoamericano si fosse eletto presidente un nazionalista di sinistra rappresentava sicuramente un avvenimento di primaria importanza nel processo di integrazione dell'America del Sud. Il nuovo corso intrapreso però da Humala - il suo scivolamento verso posizioni più moderate - sembra sconfessare, almeno parzialmente, quelle aspettative. Per avere un quadro più chiaro abbiamo intervistato Moises Rocha, Responsabile Relazioni Internazionali del Partito Comunista Peruviano (Unidad).
Di Alex Marsaglia
Articolo uscito sul numero cartaceo di agosto scaricabile in pdf qui
Nella notte tra giovedì 21 e venerdì 22 marzo inizia la lunga mobilitazione dei lavoratori della logistica. Milano, Piacenza, Bologna, Torino, Genova, Padova, Brescia, Verona, Treviso, tutti i più grandi centri logistici del Nord Italia vengono bloccati da uno sciopero dei facchini dal forte carattere etnico (più del 50% sono immigrati) oltre che di classe. I siti interessati dalla mobilitazione sono i nuclei della grande distribuzione legati a multinazionali come l’Ikea, la Coca-Cola, la TNT, la DHL, la GLS e ad altre sigle di portata nazionale quali l’SDA, la Bartolini, l’Esselunga, Coop e Bennet. Le rivendicazioni degli scioperanti organizzati dai sindacati Si Cobas e Adl Cobas abbracciano un ampio spettro di richieste che vanno dalla rivendicazione di maggior democrazia sindacale con il riconoscimento dei sindacati di base nel CCNL, alla tutela dei lavoratori nei cambi d’appalto, passando per la limitazione del subappalto e le otto ore lavorative con pagamento dell’eventuale straordinario, per arrivare al pagamento totale di malattia, infortunio, Tfr, festività e permessi, fino all’aumento salariale uguale per tutti al fine di recuperare l’inflazione.
In un'ipotesi socialista, lo Stato dovrebbe occuparsi dei bisogni dei cittadini lungo tutto l'arco della vita, mentre nelle migliori tradizioni socialdemocratiche e liberali europee, esso – parecchio più magro – si accontenterebbe di non lasciare da soli i cittadini nelle difficili condizioni delle crisi cicliche di un'economia di mercato.
Lo stato in cui si trova il nostro Paese, però, non corrisponde ad alcun modello: abdicata ogni funzione di mobilità sociale e programmazione sembra volersi liberare di ogni garanzia, nella speranza che senza regole tutto viaggi meglio e si adegui alla naturalezza delle cose.
Partiamo dal presupposto che è un’autodenuncia, perché nella sinistra italiana vige un estremistico valore dell’io, secondo cui la priorità è denunciare i limiti altrui e offendersi mortalmente quando ci si sente criticati. Nulla di nuovo, è condizione banale in fasi di sconfitta ed arretramento.
La questione siriana non è un problema di quanto Assad sia compatibile con i valori democratici occidentali, né di quanto l’esecutivo siriano sia progressista rispetto al fondamentalismo religioso avversato da Bush jr. come il male assoluto (se solo fosse viva l’ultima Oriana Fallaci... ma per fortuna c’è ancora Giuliano Ferrara).
L'alto commissario delle Nazioni unite Pillay nell'aprile scorso sentenziò: «La detenzione arbitraria e perpetua per la maggioranza dei detenuti a Guantanamo, già prosciolti da ogni accusa o processo, e pronti ad essere trasferiti nei loro rispettivi paesi, o in paesi terzi disposti ad accoglierli, è una sistematica violazione del diritto internazionale da parte degli Stati Uniti», dunque «Guantanamo deve essere chiusa».
Intervista a Roberto Iovino (Responsabilità Legalità Nazionale CGIL) a cura di Diletta Gasparo e Alyosha Matella
1. Cominciamo con una domanda un po’ più generica. Come nasce l’Osservatorio Placido Rizzotto e di cosa si occupa?
L’Osservatorio nasce nella primavera del 2012, in un momento di forte spinta emotiva per l’intero movimento sindacale italiano. Erano proprio i giorni delle celebrazioni dei funerali di Stato per Placido Rizzotto, sindacalista e partigiano, morto ammazzato per difendere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici delle terre siciliane. Rizzotto era uno dei tanti capi lega e sindacalisti (se ne contano circa 62) ammazzati dalla mafia tra il ’44 e il ’61. Il movimento bracciantile siciliano si mobilitò attraverso una straordinaria stagione di lotte con l’obiettivo di rivendicare il pezzo di terra che i Decreti Gullo avevano garantito per legge a tutti e che la mafia si rifiutava di consegnare ai contadini. Erano gli anni della strage di Portella della Ginestra, passati alla storia come stagione di terrorismo politico/mafioso, perché caratterizzata da connivenze, insabbiamenti e depistaggi: non è un caso che quasi tutti questi omicidi siano rimasti impuniti e che i processi non abbiamo mai portato a condanne processuali. L’Osservatorio, composto da operatori interni e esterni al mondo
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