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L'articolo sarà pubblicato anche sulla rivista cartacea Amerindia, che ringraziamo, insieme ovviamente all'autrice
Aprireste una banca del sangue nel castello di Dracula? In un certo senso è stato fatto. L’ultima e diciottesima Cop (conferenza delle parti) dell’Onu sulla crisi climatica - ormai una questione di vita o di morte – si è svolta a Doha, capitale del Qatar, un Creso climalterante. L’Onu avrebbe piuttosto dovuto riunire i governi in una delle tante aree che già subiscono gli effetti della guerra climatica: fra la sabbia del deserto che avanza in Sahel, ai piedi dei ghiacciai che si sciolgono sulle Ande, ai bordi delle pianure inondate in Bangladesh, fra le zolle delle campagne in carestia, arse da ripetute siccità, o sott’acqua nell’oceano dove tante isole-stato si inabisseranno per via dell’innalzamento del livello dei mari. L’emirato qatariota non aveva il physique du role per presiedere la Cop 18. E’ infatti la massima espressione delle minoranze privilegiate mondiali, paesi e ceti sociali del Nord globale, che dovremmo chiamare grandi debitori del clima. Così infatti li definiscono i paesi “creditori”: dell’Unione africana, dell’Aosis (le piccole isole- stato del Pacifico), e dell’Alleanza bolivariana Alba, con in testa la Bolivia; i più attivi nella denuncia di un capitalismo che ha sconvolto anche il bene comune più globale di tutti.
Responsabili molto irresponsabili contro vittime non responsabili. Belligeranti contro bombardati
Il Qatar, emirato islamista, è il primo paese al mondo per emissioni pro capite di gas serra: 54 tonnellate all’anno. Il Niger, all’ultimo posto, è a circa 300 kg annui. Questa è la faccia dell’ingiustizia climatica, parallela al gap sociale ed economico. Il peso piombo dell’emirato dipende sia dai pletorici consumi interni sia dalle enormi esportazioni di gas naturale, la grande pepita dell’emiro al-Thani (“il gas darà al mondo 300 anni di sicurezza energetica”: e di caos climatico?). Il Qatar è anche il più ricco paese del pianeta: i 250mila sudditi si godono un reddito pro-capite medio di 400mila dollari l'anno (e son serviti da un milione e mezzo di lavoratori stranieri dal Sud globale). E come usa il Qatar i grassi proventi del gas? Non certo a scopi sociali e redistributivi. Ma nel lusso, nella crescita pletorica e in spese militari.
Le elezioni politiche sono ormai all'ordine del giorno nel dibattito italiano. I pensionati sono una categoria di elettorato a cui molti guardano con attenzione in termini di voto, non solo in Italia (qualcuno ricorderà la notizia, di non molti anni fa, del successo inaspettato del Partito dei Pensionati di Israele).
Carlo Fatuzzo è un politico italiano che nell'ultimo periodo è transitato da Berlusconi a Prodi (2006), per poi tornare nello schieramento berlusconiano. Il suo Partito Pensionati esiste dal 1987. Non rappresenta sicuramente la maggioranza di chi è uscito dal mondo del lavoro, però bene indica il peso di un tema che oltre a riguardare il Paese nel suo sistema economico si pone come questione elettorale.
I pensionati che si sono convocati in assemblea martedì 11 dicembre a Roma ne hanno coscienza. La piattaforma su cui si sono riuniti richiama un punto specifico: la sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 10 ottobre 2012, con cui si dichiara "incostituzionale il blocco degli adeguamenti automatici previsti per i giudici ed i manager di Stato con stipendi superiori a 90.000 euro (art. 9 comma 22)", previsto invece dallo stesso decreto (78-2010) che "blocca anche le pensioni". Si ritrovano quindi per chiedere che lo stesso principio richiamato a tutela di chi ha stipendi elevati valga per i menu tutelati. La Costituzione non può valere solo "per chi ha i soldi", sarebbe un ossimoro. Il punto specifico apre in realtà una riflessione più ampia sui pensionati. Si ha la consapevolezza di essere una delle categorie su cui più si insisterà nei prossimi tagli, giocando su due fronti: più lavoro a fronte di una diminuzione delle pensioni (su questo ha già fatto molto il Ministro uscente Fornero) e tagli al welfare (in particolare alla sanità).
Per l'Italia dei Valori l'operazione “centrosinistra” doveva partire da qui, dalle stanze dell'Auditorium al Duomo di Firenze. Non è un segreto, d'altronde, che proprio il vicecapogruppo alla Camera e segretario regionale dell'Idv Fabio Evangelisti (già vicino alle posizioni del transfugo Donadi) lavori per ricucire lo strappo del partito con i “progressisti” di Vendola e Bersani. La Toscana, governata da un centrosinistra modello Unione (dal PD a Rifondazione), pareva dunque il terreno ideale per recuperare i rapporti interrotti; purtroppo, però, il presidente della Regione Enrico Rossi, che avrebbe dovuto discutere con Antonio Di Pietro del “futuro del centrosinistra”, è risultato assente giustificato, costretto a casa dall'influenza.
Malattia provvidenziale, hanno sussurrato in platea i più maligni. E la sensazione, ascoltando la conversazione fra il leader di Idv e la giornalista de “l'Unità” Claudia Fusani, è che l'ex pm e Bersani non abbiano ancora ristabilito alcun tipo di interlocuzione. Di Pietro lo dice chiaramente: “il Partito Democratico (con SEL) pensa di poter approfittare della mancata modifica della legge elettorale per vincere in solitaria con il porcellum”. E sbaglia. Anche perché, come ha ricordato in questi giorni il professor Roberto D'Alimonte, non è detto che con un centro debole e un Berlusconi in ripresa il centrosinistra ristretto a PD e SEL riesca ad aggiudicarsi una solida maggioranza in Senato. Non vorrebbe, Di Pietro, che le porte chiuse del PD portassero ad una “riedizione della “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria”. In questo scenario, piuttosto cupo, non manca però lo spazio per l'orgoglio, di fronte ad un partito che barcolla sotto i colpi degli scandali degli ultimi tempi (dalle case di Report al laziale Maruccio), ma non intende ritirarsi dal campo di battaglia.
- Shii: i tagli all'occupazione non risanano l'industria elettronica
Il Presidente del Partito Comunista Giapponese Shii Kazuo ha chiesto durante la riunione del 13 novembre della commissione bilancio della Camera Bassa che il governo ponga un freno al piano di ridimensionamento che coinvolge 130.000 posti di lavoro nell'industria informatica ed elettronica: “La strada dei tagli all'occupazione nelle ristrutturazioni aziendali non può contribuire alla ripresa industriale”, ha dichiarato il politico giapponese. Shii ha citato il caso della cosiddetta “serrata” all'IBM Giappone. Riportando le dichiarazioni dell'ex presidente Otoshi Takuma - il quale ha affermato che in merito ai licenziamenti di massa la compagnia “lavora come assaggiatore di veleno” - Shii ha sostenuto che se ciò verrà permesso “gli scandalosi metodi di ridimensionamento delle aziende diventeranno diffusi in tutto il Giappone”.
- Shii prevede il raddoppio dei seggi del PCG in un discorso elettorale dopo la dissoluzione della Dieta
Il 16 novembre (giorno in cui era avvenuto lo scioglimento della Camera dei Rappresentanti) in un comizio di fronte alla stazione Shinjuku di Tokio, il presidente del PCG Shii Kazuo ha espresso la propria determinazione ad ottenere 6,5 milioni di voti e di raddoppiare i seggi alla Camera Bassa nelle prossime elezioni generali.
(JP 14-20 nov.)
La zona ad ovest di Firenze che comprende Scandicci e Le Signe (nome che include i due comuni di Lastra a Signa e Signa), ormai praticamente divenuta l'estrema periferia dell'area metropolitana fiorentina, ha sempre rappresentato uno snodo cruciale per le attività produttive della città ed i contatti con l'area dell'empolese e quelle costiere di Pisa e Livorno. La posizione strategica e la vicinanza con Firenze hanno fatto sì che la zona fosse scelta come sede di numerose imprese.
In passato l'area delle Signe era nota per la lavorazione della paglia, sia a livello artigianale che industriale, e per la presenza di un'importante fabbrica bellica come la Nobel. Questi due settori assorbivano, fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, gran parte dei lavoratori della zona. Dal dopoguerra le industrie di riferimento erano invece diventate per Lastra a Signa la ceramica, tuttora fiorente nel vicino comune di Montelupo, e le calzature, particolarmente diffuse nella frazione collinare di Malmantile, per Signa la maglieria, attività ancora ben radicata sul territorio.
Il comune di Scandicci, che in poco tempo, a cavallo fra gli anni ’50 e ’70, è passato da 18.000 a 50.000 abitanti, ha visto invece perdere la sua forte caratteristica di comune mezzadrile con il proliferare di molte industrie nei settori più disparati: dagli elettrodomestici ai macchinari industriali ai trasporti fino alla lavorazione della pelle e al tessile.
Alla fine Bersani l’ha spuntata su Renzi con un margine di oltre venti punti percentuali, una vittoria prevedibile, ma non scontata. Per il vincitore non si è trattato di una passeggiata, il suo risultato è ben lontano da quelli plebiscitari di Prodi nel 2005: 3.182.686 voti (74,2%) e di Veltroni nel 2007: 2.694.721 voti (75,8%). Anche l’affluenza diminuisce, meno 1 milione e 200 mila votanti sul 2005, meno 500 mila votanti sul 2007, stabilizzandosi sui dati del 2009, poco sopra i 3 milioni di votanti, ulteriormente diminuiti nella votazione di ballottaggio del 2 dicembre 2012. Bersani, che aveva ottenuto nel 2009 la segreteria del Pd con il 52,3% dei voti, questa volta ottiene al primo turno il 44,9% e sale al ballottaggio al 61%, con un numero di voti che, inferiore di 230 mila al primo turno rispetto al 2009, supera al ballottaggio quel dato di 100 mila.
La vittoria di Bersani al ballottaggio è dovuta soprattutto alla confluenza sul suo nome di parte degli elettori che il 25 novembre avena espresso la loro preferenza a Vendola, Puppato e Tabacci, mobilitati più da motivazioni anti Renzi che pro Bersani; alla diminuzione dei votanti che ha finito per sfavorire il sindaco di Firenze, come ammettono numerosi osservatori; al peso dell’organizzazione che in larga parte, anche se non ovunque, pendeva a favore di Bersani; ad errori di comunicazione di Renzi, imputato di un eccesso di litigiosità e di aggressività nei confronti del segretario e dei suoi.
Comunque sia, le primarie, che sono state l’avvenimento politico centrale nelle ultime tre settimane, prima del "rientro di Berlusconi", e che hanno visto in ogni caso la partecipazione di oltre tre milioni di persone, meritano alcune considerazioni, per un’ulteriore riflessione che, a sinistra del Pd, dobbiamo saper compiere, non tanto sullo strumento in sé quanto sul come debba oggi organizzarsi ed operare nelle condizioni attuali una forza politica.
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