Le notizie legate al contemporaneo, abbracciando società, istituzioni, questioni internazionali e tutto ciò che rientra nella vasta categoria di politica, rubriche e redazionali esclusi.
Immagine liberamente tratta da upload.wikimedia.org
Il rapporto “Nunca más”, pubblicato in seguito alla caduta dei regimi militari sudamericani, rivelò il vasto fenomeno che prevedeva il sequestro, l'arresto, i processi sommari, le torture, i campi di concentramento, gli assassini e l'occultamento delle salme di coloro che venivano identificati come oppositori politici dalle forze di polizia dei regimi militari. Tale fenomeno è universalmente riconosciuto come crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1988 e dalla risoluzione delle Nazioni Unite n. 47/133 del 18 dicembre 1992.
In Messico, lo scorso 26 settembre gli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, giudicata dallo Stato federale “un esempio improduttivo e fortemente socialista”, sono stati attaccati in un agguato teso da agenti di polizia e sicari legati all’organizzazione criminale denominata Guerreros Unidos.
Sono le piccole e grandi vergogne sotto il cielo di Pisa a muovere ancora una volta gli attivisti del Municipio dei Beni Comuni, che sabato pomeriggio hanno attraversato al grido di “Immobilfree” la città fra musica e striscioni per segnare le ferite che l'abbandono e l'incuria inferiscono in alcuni degli angoli più impensati del cuore del centro storico, messi metaforicamente in svendita da un'improbabile agenzia immobiliare. Spazi abbandonati di proprietà delle varie articolazioni del patrimonio pubblico come l'esercito, il Comune, il Demanio o l'Università, che annoverando alle spalle storie di passaggi di mano, aste andate deserte e concessioni varie sono finite nell'agone della crisi economica non senza danni dovuti al degrado e all'abbandono, funzionali adesso ad una svendita che, come annunciano gli attivisti del Municipio, è già bella che iniziata e presto verrà anche catalizzata formalmente dallo Sblocca Italia.
«L'abbandono è una prassi imposta con metodo scientifico da chi detiene la proprietà a discapito della comunità. – scrivono dal Municipio. – Si abbandonano le fabbriche per tradurle un giorno in altro cemento; si abbandonano le case dove nessuno ha mai abitato così da consolidare cartelli onerosi sulla pelle di chi non possiede un'abitazione; si abbandonano i palazzi storici nella paradossale inosservanza di quella ricchezza diffusa nelle città italiane che viene dai beni storici e artistici; si abbandonano interi quartieri al loro destino, devastando tessuti urbani vulnerabili. Un laborìo piccolo piccolo, che diventa epocale». Di qui l'idea di una «agenzia immobiliare alla rovescia, pronta cioè a mettere sì in vetrina il degrado, lo sperpero, la chiusura ingiusta di spazi che potrebbero essere di tutte e di tutti, utili a un disegno solidale, al progetto di una città dalla parte dei bisogni dei propri cittadini, e che invee sono stretti nelle maglie del profitto di pochi»,
Tragicomico viaggio fra spazi lasciati a se stessi e utilissimi tempi “geologici” di riposizionamento proprietario, fatto spesso ai prezzi irrisori imposti dalla congiuntura economica, la giornata di Rebeldìa e Municipio è stata ancora una volta un'articolata riflessione sull'oggettiva natura contraddittoria di un fenomeno odioso come quello dell'abbandono degli immobili pubblici (dove “contraddizione” è da leggersi in tutto il suo portato “di sistema”, frutto cioè della natura stessa del Capitale e della Proprietà nel mondo d'oggi). Ma è anche, inevitabilmente, la dimensione più soggettiva che il Municipio finisce ancora per esplorare. Stretto da più di un anno nel nomadismo degli sgomberi, epigono di ciò che ormai è un fenomeno nazionale (si pensi alla tolleranza zero che in questi giorni miete vittime fra i centri sociali di tutta Italia) il progetto sociale delle tante associazioni non può esistere se non si pone la questione di uno spazio proprio, fondamentale punto di riferimento per molte delle sue attività ma soprattutto rosa dei venti nella carta geografica delle sue narrazioni e del suo immaginario. Come recita il titolo della campagna di mobilitazioni “lo spazio – quello strappato a speculazione e piccioni (!) – è, appunto, la città; e solo dentro la città il Progetto Rebeldìa e il Municipio dei Beni Comuni possono respirare a pieni polmoni, uscire dal guado della militanza integrale e fare di quelle fatidiche quattro mura la strategica barriera su cui fondare l'osmosi fra un “dentro” che non sia il centro sociale ghettizzato e vecchio stile, il socialismo in una sola stanza che in nulla intacca il potere costituito e che a Pisa di certo non manca, ed un “fuori” che deve assolutamente essere riacciuffato se si vuole sperare di far vivere quella fucina di nuovi concetti e nuove pratiche politiche che il modello-Rebeldìa ha rappresentato. Creatività pratica talmente evidente ed ingombrante da proiettare in questi anni un'ombra pesante sugli stessi compagni di strada “in odor di '900”, Rifondazione Comunista in primis.
Ma, in definitiva, quali e quanti luoghi in stato di totale abbandono stanno a meno di un solo chilometro in linea d'aria dalla statua del Garibaldi di fronte a Ponte di Mezzo? Tantissimi, quanti non se ne possono immaginare. Una lista che sorprenderebbe gli stessi abitanti del centro storico se solo volessimo includervi anche gli appartamenti sfitti e gli immobili di proprietà privata, ma che anche solo scomodando il patrimonio pubblico fa riflettere e infuriare specie coloro che, come il Municipio, fanno da tempo elaborazione politica intorno alle potenzialità di spazi abbandonati da riutilizzare in chiave sociale, magari per far fronte all'emergenza affitti o per creare nuovi luoghi di aggregazione, lavoro sociale o in cooperazione e chi ne ha più ne metta. Ma vediamoli uno per uno, così come ce li racconta lo stesso Municipio dei Beni Comuni:
DISTRETTO 42: ex distretto di leva militare, sito in via Giordano Bruno n. 42, composto da 8.000 mq di verde e 4.500 coperti, versa da vent’anni in uno stato di totale degrado. Di proprietà demaniale, è un immobile fondamentale per il progetto caserme: progetto che prevede la svendita ai privati di tre caserme, con concessione di variante per edilizia ad uso residenziale, in cambio di una nuova caserma a Ospedaletto. Sede del Municipio dei Beni Comuni tra il febbraio e l’aprile del 2014. Valore 12 milioni di euro.
EX BANCA D’ITALIA: la posizione è esclusiva e il valore, proporzionale alle volumetrie, non è alla portata di tutti. L’edificio, però, è un gioiello e non sono per gli interni con soffitti affrescati e le finiture di pregio. Sul mercato immobiliare pisano torna l’ex sede della Banca d’Italia. Sono 7.700 metri quadrati di superficie lorda in via San Martino 100, nel cuore della città. Valore 17 milioni di euro.
PALAZZO MASTIANI BRUNACCI: Palazzo Mastiani Brunacci si trova nella centralissima Corso Italia. La famiglia Brunacci Mastiani nel corso dell’ottocento fu una delle famiglie più ricche ed influenti, che ospitò nel suo circolo letterario anche Giacomo Leopardi. Di proprietà dell’ Università di Pisa oggi, non solo versa in uno stato di totale abbandono, ma da circa due anni l’Università, con scarsi risultati, cerca di venderlo per coprire parte dei costi necessari per la costruzione del nuovo polo di medicina che sorgerà accanto l’ospedale di Cisanello. Valore 8 milioni di euro.
EX- TELECOM: palazzo ex Telecom di piazza Facchini, sede della Sepi, della segreteria generale e di altri uffici comunali. Anche lui in vendita per coprire il buco nero chesi è creato per la Sesta Porta, e anche per riempirne locali che nessuno sta acquistando. Un edificio che negli anni passati era costato non poco e su cui lo stesso comune ha investito importanti risorse per la messa a norma. Valore 5 milioni di euro.
MATTONAIA: edificio costruito partire dal 1985 (e non ancora completato) e finanziato con fondi per l’edilizia popolare. Nel 2003 il Comune di Pisa, rendendosi conto di non essere in grado di portare a termine il progetto, decide di vendere il bene, che ancora non ha trovato alcun acquirente. Il complesso è costituito da 400 metri quadrati per fondi commerciali, 11 appartamenti per un totale di 1100 metri quadrati ed una piazza pubblica. Oggi si cerca di venderlo ribassato e in cambio della realizzazione di opere pubbliche quali il rifacimento del manto stradale dei lungarni. Valre di 3,5 milioni di euro poi ribassato a 2,9.
SANTA CHIARA: l’area occupata dal complesso di Santa Chiara - oltre 10 ettari - è situata nel cuore del centro storico di Pisa e confina direttamente con la Piazza del Duomo, inserita tra i siti UNESCO come patrimonio dell’umanità. Il complesso, iniziato nel 1257 e da allora destinato ad uso ospedaliero e universitario, sarà dismesso e riqualificato. Oggi per l’area, interamente di proprietà della Regione Toscana, si prospetta una trasformazione per interessi di tipo turistico ricettivo e commerciale, prevedendo una grossa privatizzazione dell’area. Valore 122 milioni di euro.
PALAZZO TROVATELLI: si tratta di una serie di edifici costruiti dal 300 all’800 per una superficie di circa 5.800 mq, più 1.300 mq di aree esterne che un tempo ospitavano l’ospedale dei trovatelli, la fabbrica delle balie e la casa rifugio dei poveri. Nonostante l’importante posizione, con un lato che affaccia su Piazza dei Miracoli, l’Azienda Ospedaliera ha visto le prime due gare per la vendita andare deserte. Per il 27 settembre 2012 era stata indetta la trattativa privata, ammettendo offerte al ribasso ma il verbale riporta che non è pervenuta alcuna offerta. Valore 24 milioni di euro.
Luoghi che sono stati “toccati” dal piccolo gruppo di militanti, che hanno apposto in ogni luogo l'inquietante messaggio di “Svendita!”. «Tutto si tiene in una simile rete, come nella mappa di una città. Una città che oggi è Pisa, ma non quella fittizia, città dell'Internet Festival, di una presunta eccellenza che però non produce lavoro, né ricchezza, e che perpetua se stessa come in una fantasmagoria. – continuano dal Municipio. – Esiste una Pisa di ciò che è abbandonato e svenduto, di spazi sottratti alla cittadinanza, di vuoti da riempire, di piccole e grandi ingiustizie che è giunto il tempo di riportare a galla, di ridurre a qualcosa di vivo e pronto a soccorrere il bisogno di socialità, di cultura che una parte della città domanda a gran voce di soddisfare».
Parliamo davvero del PKK, cioè del protagonista decisivo della guerra in Medio Oriente contro lo Stato Islamico. È un'organizzazione sorta nel 1981 in Turchia, dopo che il colpo di stato di estrema destra dell'anno precedente aveva annullato i pochissimi diritti linguistici curdi nel sud-est del paese, abitato da 20-25 milioni di curdi, e aveva stabilito che ogni rivendicazione di autonomia territoriale a difesa dell'identità curda fosse considerata reato di “separatismo” e di “offesa dell'identità turca” e passibile anche della pena di morte per impiccagione.
Quel ragazzo l’è di Rignano
e il babbo l’era democristiano.
Di noi non può fare senza
questa è la nostra sentenza.
Un ragionamento analogo, ma in prosa, girava per le menti dei vecchi dirigenti (un tempo) comunisti del territorio fiorentino, quando il rottamatore si affacciò ai successi politici vincendo le elezioni per la Provincia di Firenze (quando ancora si votava senza il sistema feudale in vigore oggi per le città metropolitane).
Non ci sono parole per descrivere l’attuale dibattito italiano, incagliato sulla questione art.18 dello “Statuto dei lavoratori”. Per gli ambienti liberisti un anacronistico totem ideologico, per gli ambienti sindacali un “faro nella nebbia”.
Il giovane Pop-Premier Renzi, dopo aver vinto le primarie del Partito Democratico senza citare l’art.18 e dopo aver spesso ribadito di “non aver mai trovato un imprenditore che si pone il problema dell’art.18”, ora pare aver cambiato idea paragonandolo ad un vecchio maniscalco che frena l’occupazione e l’economia italiana. Era dai tempi del Governo Monti che non se ne parlava, e già quell’esecutivo, limitò drasticamente la funzione dell’articolo arcinoto, lasciando a discrezione del lavoratore la scelta tra indennizzo e reintegro a causa di licenziamenti per motivi economici.
È inopportuno definire “canaglia” uno stato, perché uno stato significa una popolazione, e una popolazione, quando fuorviata da un “governo canaglia”, è come tale oppressa. Ciò detto, l'indecenza criminale e l'impudenza del governo turco sono giunte al colmo. Faccio appello a inventarsi un modo per denunciarne pubblicamente gli atti.
Qualche giorno fa una rappresentante curda mi ha mostrato, su una televisione curda via internet, la ripresa, avvenuta casualmente, di miliziani armati dello Stato Islamico entrati in territorio turco da quello siriano e in spostamento per rientrare in altra parte del territorio siriano. Le nostre televisioni in questi stessi giorni continuano a mostrarci ragazze e ragazzi curdi cui l'esercito turco impedisce di entrare nel territorio curdo siriano attaccato dallo Stato Islamico. Il disegno del governo canaglia turco mi pare, in questo momento, molto semplice: consentire allo Stato Islamico di conquistare la città curdo-siriana di Kobanê e di massacrarne i
Il Becco è una testata registrata come quotidiano online, iscritto al Registro della Stampa presso il Tribunale di Firenze in data 21/05/2013 (numero di registro 5921).