Relazioni internazionali, notizie da altri paesi, ingiustizie sparse per il globo.
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Le elezioni il 16 dicembre scorso negli stati federati che compongono il Venezuela hanno premiato assai le liste “patriottiche” dell’alleanza che appoggia il presidente Hugo Chávez, comprensiva del Partito Socialista Unito, del Partito Comunista (tranne che in 4 stati), di formazioni politiche minori, di associazioni.
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Il 16 dicembre si sono tenute le elezioni per il rinnovo della Camera bassa del Parlamento giapponese. Le elezioni – che si sono svolte con largo anticipo rispetto alla fine naturale della legislatura in seguito alle dimissioni del premier Noda, terzo esponente democratico a ricoprire l'incarico di Primo Ministro dalle elezioni del 2009 – hanno visto la nettissima affermazione dei conservatori del Partito Liberal-Democratico del già – nonché futuro – premier Shinzo Abe: lo storico partito di governo ha ottenuto 294 seggi (176 in più del 2009), a questi si sommano i 31 seggi (10 in più rispetto al 2009) della formazione alleata Nuovo Komeito, la coalizione conservatrice ottiene dunque una maggioranza di poco superiore ai due terzi nella Camera dei Rappresentanti, potendo così superare eventuali veti posti dalla Camera bassa (rinnovata per metà nel 2010, a solida maggioranza democratica). Tonfo colossale invece per il Partito Democratico sceso dai 308 seggi ottenuti nelle precedenti elezioni ai 57 attuali.
A poca distanza dai democratici il Partito della Restaurazione del Giappone (formazione di destra liberista) dell'ex governatore di Tokio Shintaro Ishihara: i seggi del PRG passano infatti da 11 a 54. Crescita – ma più contenuta – anche per Minna no To, formazione liberale fuoriuscita dai Liberal-Democratici. Modesto il risultato per la formazione di centro-sinistra Partito del Futuro del Giappone.
Flessione per il Partito Comunista Giapponese di Shii Kazuo i cui deputati scendono da nove a otto. In termini assoluti il PCG ottiene 4.700.000 voti nella quota maggioritaria (pari al 7,88%) e quasi 3.700.000 voti (6,17%) nella quota proporzionale.
Tra le cause del tracollo democratico la crisi economica, la negativa gestione degli effetti del terremoto del marzo 2011 e dell'incidente alla centrale nucleare di Fukushima (il premier dell'epoca Naoto Kan non è stato rieletto), nonché un complicato dibattito interno che ha portato a scissioni e riposizionamenti: “sono il maggiore responsabile della sconfitta, do le dimissioni da Presidente del Partito” ha dichiarato a caldo il leader dei democratici Noda. Con la vittoria dei Liberal-Democratici si allontana la possibilità di un - seppur moderato – programma di fuoriuscita dal nucleare, si profila un atteggiamento fortemente nazionalista sulla contesa sino-giapponese riguardo le isole Diaoyutai/Senkaku ed una revisione del carattere pacifista della Costituzione. Nel programma elettorale del PLD anche la promessa di maggiori investimenti pubblici, tagli fiscali alle aziende ed alcune misure protezionistiche per l'agricoltura (minacciata dal Trattato di Libero Commercio sponsorizzato dagli USA).
Le elezioni per la carica di governatore di Tokio, svoltesi lo stesso giorno delle politiche, hanno visto l'affermazione di Inose Naoki, vicegovernatore uscente sostenuto da Liberal-Democratici, Nuovo Komeito e Partito della Restaurazione del Giappone. Tra gli altri candidati l'ex governatore di Kanagawa Matsuzawa Shigefumi e l'antinuclearista sessantaseienne Utsunomiya Kenji sostenuto dal Partito Comunista Giapponese, dal Partito Socialdemocratico e dal Partito del Futuro del Giappone.
In questo momento il presidente venezuelano Hugo Rafael Chávez Frías è in cura a Cuba dopo aver subito il quarto intervento chirurgico contro una forma di tumore alla vescica il cui esito, purtroppo, è spesso infausto. In Occidente una comunicazione ostile e falsificante continua a sostenere che sulla malattia di Chávez c’è il segreto: in Venezuela la sua natura è pubblica.
L'articolo sarà pubblicato anche sulla rivista cartacea Amerindia, che ringraziamo, insieme ovviamente all'autrice
Aprireste una banca del sangue nel castello di Dracula? In un certo senso è stato fatto. L’ultima e diciottesima Cop (conferenza delle parti) dell’Onu sulla crisi climatica - ormai una questione di vita o di morte – si è svolta a Doha, capitale del Qatar, un Creso climalterante. L’Onu avrebbe piuttosto dovuto riunire i governi in una delle tante aree che già subiscono gli effetti della guerra climatica: fra la sabbia del deserto che avanza in Sahel, ai piedi dei ghiacciai che si sciolgono sulle Ande, ai bordi delle pianure inondate in Bangladesh, fra le zolle delle campagne in carestia, arse da ripetute siccità, o sott’acqua nell’oceano dove tante isole-stato si inabisseranno per via dell’innalzamento del livello dei mari. L’emirato qatariota non aveva il physique du role per presiedere la Cop 18. E’ infatti la massima espressione delle minoranze privilegiate mondiali, paesi e ceti sociali del Nord globale, che dovremmo chiamare grandi debitori del clima. Così infatti li definiscono i paesi “creditori”: dell’Unione africana, dell’Aosis (le piccole isole- stato del Pacifico), e dell’Alleanza bolivariana Alba, con in testa la Bolivia; i più attivi nella denuncia di un capitalismo che ha sconvolto anche il bene comune più globale di tutti.
Responsabili molto irresponsabili contro vittime non responsabili. Belligeranti contro bombardati
Il Qatar, emirato islamista, è il primo paese al mondo per emissioni pro capite di gas serra: 54 tonnellate all’anno. Il Niger, all’ultimo posto, è a circa 300 kg annui. Questa è la faccia dell’ingiustizia climatica, parallela al gap sociale ed economico. Il peso piombo dell’emirato dipende sia dai pletorici consumi interni sia dalle enormi esportazioni di gas naturale, la grande pepita dell’emiro al-Thani (“il gas darà al mondo 300 anni di sicurezza energetica”: e di caos climatico?). Il Qatar è anche il più ricco paese del pianeta: i 250mila sudditi si godono un reddito pro-capite medio di 400mila dollari l'anno (e son serviti da un milione e mezzo di lavoratori stranieri dal Sud globale). E come usa il Qatar i grassi proventi del gas? Non certo a scopi sociali e redistributivi. Ma nel lusso, nella crescita pletorica e in spese militari.
- Shii: i tagli all'occupazione non risanano l'industria elettronica
Il Presidente del Partito Comunista Giapponese Shii Kazuo ha chiesto durante la riunione del 13 novembre della commissione bilancio della Camera Bassa che il governo ponga un freno al piano di ridimensionamento che coinvolge 130.000 posti di lavoro nell'industria informatica ed elettronica: “La strada dei tagli all'occupazione nelle ristrutturazioni aziendali non può contribuire alla ripresa industriale”, ha dichiarato il politico giapponese. Shii ha citato il caso della cosiddetta “serrata” all'IBM Giappone. Riportando le dichiarazioni dell'ex presidente Otoshi Takuma - il quale ha affermato che in merito ai licenziamenti di massa la compagnia “lavora come assaggiatore di veleno” - Shii ha sostenuto che se ciò verrà permesso “gli scandalosi metodi di ridimensionamento delle aziende diventeranno diffusi in tutto il Giappone”.
- Shii prevede il raddoppio dei seggi del PCG in un discorso elettorale dopo la dissoluzione della Dieta
Il 16 novembre (giorno in cui era avvenuto lo scioglimento della Camera dei Rappresentanti) in un comizio di fronte alla stazione Shinjuku di Tokio, il presidente del PCG Shii Kazuo ha espresso la propria determinazione ad ottenere 6,5 milioni di voti e di raddoppiare i seggi alla Camera Bassa nelle prossime elezioni generali.
(JP 14-20 nov.)
Lo scorso 7 Ottobre, con oltre il 55% dei voti, Hugo Chàvez è stato rieletto per la terza volta Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, in qualità di candidato del PSUV, Partido Socialista Unido de Venezuela, che con i suoi oltre 5 milioni di iscritti è uno dei più grandi partiti di sinistra dell'emisfero occidentale.
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