Al di là del racconto della cronaca dei fatti, occorre fare una riflessione. Nelle condanne da parte di media e politici europei di qualsiasi fazione si continua a utilizzare la definizione di scontro di civiltà, ad agitare il fantoccio del terrorismo fondamentalista, a parlare addirittura di cani sciolti e lupi solitari come se quello non fosse un piccolo commando composto da uomini addestrati a uccidere, come dimostra la facilità con la quale si sono fatti beffa della polizia francese, con una missione ben precisa e organizzata. Il gesto quasi arrogante dell’assassino, in quanto addestrato a uccidere, di freddare con un colpo di pistola alla tempia il poliziotto ferito non è altro che una sfida, un ribadire che loro sono in mezzo a noi e non possono essere fermati.
Ma chi sono loro? La definizione ripresa dalla maggior parte dei media e il contorno delineato dalla maggior parte dei politici non bastano a spiegare quello che è accaduto. Dalla caduta dell’Impero ottomano le potenze occidentali hanno smembrato a piacimento il Medio Oriente, tessendo e disfacendo alleanze con dittatori e regnanti, cercando di tenere in piedi il fragile equilibrio necessario per lo sfruttamento (o meglio la compravendita) delle risorse petrolifere e per una strategia di controllo dei territori fondamentale nella scacchiera internazionale. La situazione creatasi nel corso degli ultimi due decenni dopo il crollo dei così detti falchi del nazionalismo verde arabo da Saddam in poi, ha lasciato dietro di sé popolazioni ridotte alla fame e decimate da guerre, costrette a fuggire dalle loro case, paesi distrutti e una situazione caotica difficile da controllare. Afghanistan, Iraq, Libano, Tunisia, Libia e adesso la Siria sono diventati focolai di guerre civili che si sono allargate ben oltre i confini nazionali. E ora, il “califfato”, lo Stato islamico. Con esso, siamo di fronte ad un fenomeno apparentemente vecchio ma in realtà nuovo: la guerra mossa da impulso religioso. La spiegazione terroristica non spiega niente. Il tentativo di farne il nemico assoluto ci si può facilmente rivoltare contro, come è già accaduto con la guerra in Iraq.
A partire dalla caduta del muro di Berlino, per troppo tempo si sono sprecate le analisi trionfalistiche sul nuovo ordine globale che sarebbe nato dalle ceneri di quella che era stata chiamata la “Guerra fredda”. C’è chi parlò persino di “fine della storia”, convinto che ormai il liberalismo politico ed economico avesse definitivamente trionfato e che l’Islam sarebbe inevitabilmente decaduto e ricompreso all’interno di un mondo occidentale rimasto orfano del nemico. All’Islam è mancato quel processo di secolarizzazione del cristianesimo che ha prodotto la nascita della Stati. Così, mentre il cristianesimo poteva diventare marxianamente l’oppio dei popoli, per l’Islam la religione è rimasta la dinamite dei popoli musulmani. E questa differenza è essenziale: non siamo di fronte allo scontro tra Stati sovrani, da una parte, e “terroristi” dall’altra, come sostengono politici e media occidentali. Questo è un punto di vista eurocentrico e superato (poiché non solo non esistono più gli Stati sovrani nel senso “classico” del termine, ma neppure la guerra regolare a partire dalla quale è possibile individuare il “terrorismo”). Siamo, piuttosto, di fronte alla nuova definizione di una serie di guerre di religione, di cui avevamo perso il ricordo, convinti che il nostro modello di diritto internazionale formatosi nel XVI secolo sarebbe durato in eterno e si sarebbe trasformato facilmente in ordine mondiale. Siamo in guerra ormai dall’invasione dell’Iraq durante la prima Guerra del Golfo, quando presuntuosamente le potenze occidentali raccolte sotto il vessillo statunitense pensavano di poter arbitrariamente controllare le dinamiche arabe del Medio Oriente approfittando del crollo dell’Unione Sovietica, qualificando un conflitto che usciva dalle dinamiche fin lì conosciute della Guerra fredda con l’esplosione della situazione in Afghanistan attraverso i talebani e con un’ondata di fondamentalismo religioso che avrebbe infiammato in breve tempo l’intera regione. Lo Stato islamico è figlio della mancata pacificazione nazionale dell’Iraq, dell’incomprensione e dell’arroganza statunitense nei confronti dei sunniti lasciati fuori dalla ricostruzione post Saddam Hussein e di quei generali e politici liquidati come fedeli al vecchio regime. Potremmo trovare altri mille esempi, dall’alleanza della dinastia saudita con gli Stati Uniti al ruolo del Pakistan, dalla destabilizzazione avvenuta in Siria contro il regime di Assad alla mancata attenzione nell’evoluzione della situazione in Libia.
L’ignoranza occidentale nei confronti delle dinamiche religiose e politiche mediorientali ha prodotto questa situazione caotica che ci ritroviamo ad affrontare, sottovalutando la rabbia e il rancore di popolazioni da anni ormai vittime di un attacco che era definito come esportazione di democrazia, ma in realtà percepito e vissuto come un attentato alle tradizioni, uno sfruttamento del loro paese e una conquista. Inoltre la mancata integrazione della popolazione immigrata in Europa e le mancate promesse di benessere insieme al trattamento spesso riservato nei nuovi paesi hanno creato un nuovo bacino di arruolamento. I capi delle milizie europee che combattono in nome di Allah sono quei ragazzi che vent’anni fa e non solo infiammavano la loro lotta contro la povertà nelle banlieue francesi, nei sobborghi e quartieri del Nord Europa. C’è da rivedere l’intera politica di integrazione europea, se non proprio da costruire, per togliere voce a quei partiti xenofobi nazionalisti che altrimenti approfitteranno della situazione che si sta delineando, inasprendo definitivamente un conflitto che è già cominciato. Bilal Bosnic, predicatore di origini italiane arrestato per aver tentato di reclutare combattenti per la jihad in Bosnia Erzegovina, dichiarò ai media: “È un dovere di ogni buon islamico essere in qualche modo nella Jihad, combattendo, aiutando, dando assistenza, finanziando. Il mio ruolo è sempre stato quello di parlare ai giovani e di informarli di cosa sta accadendo nei nostri territori, al di là delle bugie dei mezzi di informazione”. Giustificò poi la decapitazione del reporter statunitense James Foley: “Era una spia, questo è noto. Nell’Islam è accettabile uccidere un prigioniero se in qualche maniera questo può far paura al nemico. Capisco, sembra atroce, ma stiamo combattendo una guerra”.