La conclusione dell’anno, ovviamente, non poteva che avere che le stesse scure tinte. Lo scorso 30 dicembre il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha respinto la risoluzione presentata dalla Palestina che, oltre a chiedere il riconoscimento formale come stato, prevedeva anche il rientro di Israele entro i confini stabiliti nel 1967. Fino a poco prima del voto, si pensava che, nonostante i 9 voti favorevoli (per l’approvazione è sufficiente la maggioranza semplice) la risoluzione sarebbe stata bloccata dall’utilizzo del potere di veto da parte degli Stati Uniti. L’uso del veto però non è stato necessario dal momento che la Nigeria ha deciso all’ultimo momento di votare contrariamente, andando così a supportare la visione statunitense per cui la risoluzione non è costruttiva e va contro i bisogni di sicurezza di Israele.
Come sempre, si tiene conto di speciali bisogni di sicurezza del governo israeliano (che se uno ha tanto paura di attacchi forse la coda di paglia ce l’ha) ma in pochi notano, ad esempio, come l’atteggiamento israeliano distrugga ogni possibilità di costruzione di un futuro per i palestinesi. Quasi a spregio, il 26 dicembre, giusto qualche giorno prima il voto delle Nazioni Unite, il governo di Netanyahu ha annunciato la costruzione di altri 243 edifici a Gerusalemme Est, continuando in questo modo l’occupazione di territori che sarebbero dei palestinesi.
Dopo l’affossamento della risoluzione, Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha firmato il trattato della Corte Penale Internazionale. Dopo il riconoscimento della Palestina come Osservatore Permanente all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del novembre 2012, l’adesione ufficiale alla CPI costituiva un’importante carta da giocare per i palestinesi, molto temuta da Israele. Portando i crimini di Israele davanti alla più alta corte internazionale, si arriverà con molta probabilità ad una condanna ufficiale dell’operato dello stato.
Non dobbiamo illuderci del fatto che la via internazionale intrapresa negli organismi delle Nazioni Unite porterà sicuramente a risultati: il riconoscimento della Palestina come Osservatore Permanente non ha evitato che il Consiglio di Sicurezza, organismo esecutivo dell’ONU, respingesse la risoluzione palestinese, così come il riconoscimento dello stato palestinese da parte delle assemblee legislative di stati nel mondo ha portato alla causa un sostegno che per il momento di limita ai livelli più superficiali. Come dicevamo in un articolo di qualche settimana fa, la situazione in Palestina sta peggiorando sempre più: al sostegno e alla solidarietà, gli stati del mondo dovrebbero aggiungere azioni concrete che portino Israele a desistere dalla continua violazione dei diritti umani del popolo palestinese.