In secondo luogo, è certo che, stando da questa parte dell’Adriatico, prima di urlare al tradimento o di assicurare un sostegno indiscusso all’operato di Tsipras, alla sua persona, ecco, forse dovremmo provare ad attendere.
Terzo, ciò che è certo, e lo era probabilmente dall’inizio, nonostante molti di noi, compresa la sottoscritta, si siano fatti trascinare dalla speranza che dalla terra in cui nacque millenni fa la democrazia sgorgasse anche oggi la possibilità per il riscatto di un intero continente. Ci siamo affidati a Leonida, senza ricordare che dalla storia andrebbero colti degli insegnamenti. Come al solito, abbiamo sopperito alle nostre mancanze, nostre, comuni, come Sinistra Europea (ma anche generalmente come sinistra europea) sperando che un paese che ha un PIL inferiore a quello dell’intera Emilia Romagna potesse da solo rompere un’Unione Europea che nel corso degli ultimi decenni ha rafforzato le sue strutture liberiste tagliando le gambe ad ogni accenno di dissenso.
Non mi sento di utilizzare toni decisivi. Sono consapevole da una parte che avere sulle proprie spalle il destino di una nazione, condurla verso scenari che sono di fatto ignoti, non deve essere cosa facile. Credo che Tsipras abbia veramente provato a fare il possibile. Dall’altra, non riesco a non condividere la rabbia e la frustrazione dei miei amici e compagni che da Salonicco mi hanno raccontato come si sono sentiti traditi, un sentimento reso ancora più amaro dal momento che la possibilità di riscatto era stata intravista in seguito al voto a referendum.
L’accordo raggiunto oltre che a terribili misure economiche (quali riforme delle pensioni ed aumento dell’IVA, divieto di approvare una legge che preveda un salario minimo e sul fronte sindacale niente ripristino della contrattazione collettiva e apertura però ai licenziamenti di massa) prevede una strettissima limitazione della sovranità nazionale greca: di fatto, il parlamento ellenico verrà esautorato del proprio potere decisionale, sapendo che ogni provvedimento approvato sarà passato al vaglio della Troika.
Non sono un’economista e mi verrebbe da pensare che se Tsipras ha deciso di sottoporre un accordo tanto funesto alla propria maggioranza parlamentare, consapevole dell’alto rischio di rottura, è perché probabilmente temeva il presentarsi di scenari peggiori (nonostante l’ex Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis abbia rilasciato un’intervista al settimanale britannico NewStatement di avere un piano di riserva da mettere in atto in caso le condizioni dei creditori si fossero mostrate, come di fatto è stato, una rivincita di chi ha voluto infierire su coloro che hanno osato alzare la testa).
Il punto adesso è che, dal momento che eventuali tentativi di modifica in itinere dell’accordo sono abbastanza velleitari (anche l’apertura verso una futura ristrutturazione del debito ellenico è molto vaga), gli scenari sono abbastanza funesti. Da una parte, l’ex Ministro delle Finanze dichiara che la soluzione meno nociva è la gestione controllata di un’uscita della Grecia dall’Eurozona, dal momento che le condizioni criminali imposte dalla Troika non solo spezzerebbero definitivamente le gambe ad un paese già in ginocchio ma impedirebbero qualsiasi possibilità di ripresa economica per i prossimi anni. Dall’altra, il capo del governo ellenico che ha annunciato di non avere alcuna intenzione di dimettersi e che probabilmente tenterà di affrontare la perdita di supporta da parte dell’ala sinistra del suo partito cercando quello del Pasok e di altri partiti centristi. Questo scenario non è solo tragico perché andrebbe ad affiancare un esperimento, per quanto avesse anche questo i suoi limiti, che aveva portato una boccata di ossigeno in Europa a coloro che sono di fatto gli artefici del disastro attuale ma anche perché aprirebbe la gabbia in cui un governo di sinistra risoluto aveva rinchiuso tutti gli antieuropeisti di destra, in primo luogo Alba Dorata, il partito di ispirazione neonazista che ha visto alcuni dei propri parlamentari finire in carcere.
La Grecia è quindi oggi sull’orlo di un baratro, un baratro verso cui è stata spinta da un’Europa che ha deciso di conformarsi completamente ai dogmi neoliberisti che oggi affamano milioni di persone. Ma il problema vero è che alla compattezza e all’efficienza del fronte che sostiene l’applicazione di queste misure di austerity, un fronte che va dalla destra tedesca di Schäuble ai socialisti di Schulz e Hollande (che, come riassume un significativo paragone di Bertinotti, sono differenti quanto Coca Cola e Pepsi) non corrispondono attributi altrettanto forti di coloro che dicono di proporre un modello alternativo. Credo che il vero, drammatico, punto centrale di tutta questa vicenda non sia solo l’atrocità e la freddezza con la quale i conservatori europei decidono di rovinare la vita di milioni di persone in nome di conti che devono tornare quanto piuttosto la totale incapacità della sinistra europea di influenzare gli eventi (e questo si denota anche dalla piega che hanno preso le votazioni in Parlamento per quanto riguarda il TTIP), di smuovere l’asse a favore di un’idea di Europa che è sempre più lontana da quella attuale. Ed è proprio per la mancanza di un fronte compatto che potesse, se non aiutare la Grecia nella manovra di sfondamento, almeno coprire le spalle nel caso il governo di Tsipras avesse deciso di non accettare l’accorso, che diviene evidente che il punto non è tanto il governo Tsipras, quanto piuttosto un sistema tanto marcio per il quale pensare che Leonida avesse potuto, con i suoi soli trecento, sconfiggere i persiani è pura follia. Certo è che adesso Leonida i persiani se li ritrova direttamente in casa.