Domenica, 19 Luglio 2015 00:00

In Grecia non tutto è perduto

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"Elections change nothing. There are rules" ("Le elezioni non cambiano niente. Ci sono delle regole"). Così Wolfgang Schäuble ministro delle finanze tedesco, riferendosi alla domanda di cambiamento democratica giunta col voto in Grecia lo scorso gennaio, chiariva quali erano gli spazi per una strategia riformista in ambito europeo.
Non tardava a fargli eco Jean Claude Juncker, che aggiungeva: "Non ci può essere nessuna scelta democratica contro i trattati europei".

La strategia di Syriza è proseguita caparbiamente in questi sei mesi, intavolando una trattativa con un nemico che non aveva alcuna intenzione di trattare e che alla fine coerentemente coi propri propositi ha scelto proprio di non trattare: mettere in ginocchio la Grecia che tentava la strada di un compromesso neo-keynesiano fuori tempo massimo e abbatterla con mezzi finanziari qualora l'affronto alla legittimità dell'ordine costituito europeo fosse stato troppo pesante. Questa è la strategia applicata al caso greco che resta comunque un farò nella notte per tutte le esperienze di riscossa dei popoli mediterranei. Lo strappo avvenuto tra Varoufakis e la Trojka è risultato insanabile e tale da non consentire più il rientro dell'economista nella stanza dei bottoni di Bruxelles. La vittoria del No in un referendum svoltosi in condizioni drammatiche per i cittadini greci ha portato la Trojka ad incrementare la strategia del terrore applicata alla società greca e così la pistola alla tempia del popolo greco ha sparato nonostante l'estremo atto di coraggio di un popolo che ha scelto di resistere nonostante le condizioni vessatorie a cui è stato sottoposto. La strategia della Trojka, ferma sulle sue posizioni antidemocratiche, alla fine ha pagato, d'altra parte i rapporti di forza erano evidentemente sproporzionati, così il governo greco è stato piegato e costretto a giungere ad un accordo che il popolo ha continuato a rifiutare fino all'ultimo e con tutte le sue forze.

Per la Grecia ora il percorso è tutto in salita, ma infondo lo sarebbe stato comunque proprio per lo squilibrio dei rapporti di forza sopra menzionati. Possiamo però dire che oltre alla miopia del riformismo resta un popolo disposto a lottare in ogni condizione e che sta prendendo coscienza che questa Europa semplicemente non è né riformabile né democratica. Chi ha scelto la strada del riformismo alla fine si è ritrovato a votare con le vecchie forze politiche piani economicamente ancora più devastanti, promettendo di ammortizzare la caduta con qualche piano sociale che evidentemente avrà ben poco a che fare con un serio piano di riforme sociali. Tutti gli altri, che nel referendum hanno esplicitamente rifiutato ogni strategia di accomodamento che portasse a far inginocchiare un popolo solo per mantenere in condizioni agiate un altro popolo, hanno scelto di non abbandonare la lotta pur avendo perso la battaglia. Resta da vedere chi la spunterà nel lungo periodo, ma una cosa è certa: a giudicare dalle analisi del Fmi (leggi qui), la Grecia alle prese col nuovo piano dovrà affrontare il suo periodo più duro. Tsipras ha scelto di assumersi l'onere di gestirlo, appoggiato dalle vecchie forze politiche riformiste e cercando di innestarvi alcune politiche sociali. L'impresa più ardua è proprio questa. Il popolo greco al contrario ha dimostrato una forza di volontà e di resistenza che credevo impossibili, continuando a pensare liberamente, a votare liberamente, a scioperare e a manifestare, quindi smettere di riporvi fiducia sarebbe come minimo sciocco. Insomma, la Grecia ha perso il governo Syriza-Anel, ma non ha perso il popolo che ha permesso di portare la battaglia dentro la stanza dei bottoni e che ora si è accorto dell'errore di aver pensato alla possibilità di intavolare trattative con chi utilizza solo l'arma del ricatto come metodo. Certo, com'era prevedibile da quella battaglia si è usciti sconfitti, ma la guerra non è finita ed è tutta da combattere ancora e lo sa bene pure la Trojka che ha imposto le peggiori condizioni di austerità di sempre ad un governo di sinistra europeista, il quale si è trovato costretto ad accettare solo una volta posto con le spalle al muro e cioè davanti al Grexit. Ad oggi la volontà di affondare ogni prospettiva di cambiamento portata avanti contro chi ha scelto di alzare la testa accettando le regole del gioco europee resta l'unico vero spirito europeista rimasto vivo e di certo non può essere considerato un successo neanche per gli europeisti di sinistra.

Ultima modifica il Sabato, 18 Luglio 2015 12:26
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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