Ma la narrazione delle “due Romanie”, quella urbana e quella rurale, quella moderna e quella tradizionale rischia di creare delle demonizzazioni controproducenti: in particolare la popolazione anziana delle campagne si trova ad essere sotto accusa e viene descritta come un’insieme di persone ignoranti, che vivono solo della loro pensione, parassiti dei finanziamenti pubblici, legati ad un'epoca in cui lo stato garantiva stabilità e mezzi di sussistenza e che attualmente non esiste più come tale; sono questi per i media gli elettori dei “partiti corrotti” che impedirebbero di trasformare la Romania in un paese democratico e moderno. Purtroppo è questa la rappresentazione stereotipata che viene messa in evidenza dalla stampa (anche quella internazionale) e dai social network, che rischia di dividere i rumeni stessi: una visione che offusca il fatto che gli interessi della popolazione, a prescindere dall’età o il luogo di nascita, dovrebbero essere comuni a tutti i rumeni: posti di lavoro sicuri, case accessibili a tutta la cittadinanza, salari più alti, servizi pubblici di qualità e, ovviamente, il contrasto alla corruzione (aspetto che non riguarda solo la politica, ma molti aspetti della società rumena).
Quello che c’è di vero in questa visione è che nelle aree rurali queste manifestazioni sono effettivamente vissute come più distanti dal quotidiano, e la partecipazione alla politica nazionale è meno sentita: nella periferia rumena esiste una multitudine di paesini e comunità spesso isolate, soprattutto nelle zone montane, legati alle tradizioni e lontani dagli stili di vita urbani e dalle lotte politiche dei palazzi. La stessa rivoluzione del 1989 è stata vissuta da molte persone solo in televisione, mentre la vita del loro paesino continuava come se nulla fosse.
A vivere nei paesini non sono in pochi: secondo i dati dell’ultimo censimento (2011) nonostante la progressiva urbanizzazione del paese, iniziata forzatamente durante gli anni di Ceausescu, quasi la metà della romeni (attorno al 44%) vive ancora nelle campagne. In questi territori si concentra la maggior parte della popolazione meno abbiente, in quanto vi è una povertà più accentuata a causa del costo della vita più elevato ( per colpa delle difficoltà dei trasporti) e le opportunità lavorative sono molto più scarse.
Non è un caso quindi che siano i giovani cittadini della classe media il volto di queste proteste, in quanto più vicini e coinvolti con le vicende politiche del paese.
L’emergere degli interessi di solo una parte della popolazione, nonostante la causa sia condivisa da moltissime persone, è solo uno dei problemi che limita l’enorme potenziale di queste proteste. Un altro rischio che potrebbe compromettere le proteste sta nella modalità in cui queste si sono create e si svolgono. Le manifestazioni di questi giorni sono figlie degli anni ’10, ispirate agli indignados, alle primavere arabe e ai movimenti occupy; ciò significa che queste proteste sorgono in maniera spontanea dal mondo del web: la gente si organizza per andare in piazza online, è la rete che raccoglie il malcontento popolare, un malcontento che va al dì là delle visioni politiche e che riesce a unificare tutti i partecipanti alla protesta. Quando i cittadini passano dal pc alle piazze però non creano alternative, poiché in questo movimento non vi è un'unica ideologia, una proposta concreta che possa realmente portare a una nuova forma di governabilità.
Infatti, rispetto alle manifestazioni del 2012 e ai movimenti per la salvaguardia di Rosia Montana del 2013, queste proteste hanno allargato l’obbiettivo, rendendolo estremamente inclusivo. Se prima le manifestazioni erano più concentrate sulle “cause” del malsistema rumeno, in quanto i manifestanti cercavano di difendere la propria sovranità lottando contro le politiche liberiste (le privatizzazioni della sanità e il contrasto alle politiche di austerity; la speculazione delle multinazionali sul territorio rumeno, approfittando della corruzione locale) quest’ultima protesta, come d’altronde fu quella del 2015 avvenuta dopo l’incendio al Colectiv, è meno “ragionata”, più dettata dalla rabbia e dalle emozioni: quello che la gente chiede è una classe politica all’insegna dell’anticorruzione. Chiunque sia contro la corruzione può partecipare a queste manifestazioni, di qualunque orientamento politico sia.
La presenza in piazza di persone dichiaratamente fasciste, di slogan che si rifanno ad Antoniescu, di simboli nazionalisti e il supporto di ambienti estremamente conservatori alla manifestazione, quali quelli del patriarca ortodosso Daniel e dello stesso presidente Ihoannis alla manisfestazione (che sostiene le rivendicazioni popolari, per alimentare la sua campagna politica contro il SD) non possono che creare interrogativi alla sinistra rumena, che dovrà riuscire ad evitare che le destre catalizzano l’indignazione popolare e che queste proteste si trasformino in un focolaio giustizialista dell’opposizone.
Quello che per ora chiedono i manifestanti sono le dimissioni del governo e la risoluzione del problema della corruzione, reclamando una politica meno concentrata sui propri interessi è più vicina alla vita quotidiana dei cittadini. Si è ancora però molto lontani dal trovare una soluzione per un' effettiva riorganizzazione dell' attuale sistema politico rumeno.
Il malcontento popolare
La corruzione non è l’unico motivo che sta alla base dell’insoddisfazione dei rumeni, nonostante essa sia la causa scatenante delle proteste; un altro elemento importante di malcontento popolare è la mancanza di una giustizia sociale e di tutele per le fasce più deboli della popolazione: questa rimane la principale priorità per il paese.
Su questi temi si era concentrata la campagna elettorale delle recenti elezioni, ed è grazie a queste promesse che il PDS ha paradossalmente vinto, nonostante tutti gli scandali di corruzione che avevano investito il partito durante questi anni. Questa vittoria fu probabilmente dovuta al fatto che il PSD era l’unico partito forte che ha sostenuto, almeno a parole, il rifiuto di politiche ultra-liberiste, di privatizzazione e austerity (portate avanti a suo tempo dal ex presidente Basescu e dal ex primo ministro Boc, che con i loro tagli alla spesa sociale hanno innescato le proteste del 2012) e promesso una più equa distribuzione dei salari. In questa direzione erano andati anche i primi interventi del neonato governo Grindeanu, che puntavano ad alzare il salario minimo, con l’obbiettivo di dare un po’ di sostegno alle classi meno abbienti e a disincentivare l’emigrazione della manodopera all’estero.
Forse anche per questo in Romania il malcontento e la sfiducia nei partiti non si è mai tradotta, come è successo in altre parti d’Europa e del mondo, nel successo di partiti/movimenti di “anti-politica” come L’USR, Unione per la Salvezza della Romania, rappresentata dal matematico Nicusor Dan (che ha ottenuto alti consensi soprattutto a Bucarest dove ha superato il partito liberale), o ad un’ascesa della xenofobia e dell’estrema destra: la corruzione endemica e la lotta all’attuale classe politica (sia di centrodestra che di centrosinistra) è solo una parte di un problema più grosso, ossia le gravi condizioni economiche in cui versa una gran parte della popolazione.
La povertà estremamente diffusa, che si perpetua nonostante l’economia rumena continui a crescere e nonostante sia passato quasi un trentennio dalla transizione verso la democrazia, non può essere eliminata agendo solo sulle persone che attualmente (mal)governano il paese, ma vi è la necessità di un cambiamento dell’intero sistema politico. In poche parole, la retorica del nuovo contro “la vecchia politica” nel contesto Rumeno funziona poco: se è evidente che è la corruzione è endemica non sono i singoli partiti i responsabili di questa situazione, ma l’intero assetto politico.
D’altronde è dal 1990 che in Romania si parla e ci si lamenta della corruzione: questa è nata con la transizione alla democrazia, non con il PSD.
Credo che per comprendere a pieno queste proteste non bisogna dimenticare le grandi problematiche del paese, di cui la corruzione è solo la punta dell’iceberg: la Romania è il secondo paese più povero dell’UE, dove lo stipendio medio supera a malapena i 300 euro al mese, le disuguaglianze tra i salari e su base territoriale sono altissime e il 20% della popolazione è emigrato all’estero per ragioni economiche (in genere per mantenere la propria famiglia o per ricercare un futuro migliore, con maggiori prospettive).
Il malcontento dei manifestanti che oggi sono scesi nelle piazze rumene ha radici molto profonde, che superano il problema della corruzione politica: le persone che in questi giorni si sono riversate nelle strade non si limitano a protestare contro una classe politica insoddisfacente, ma reclamano a gran voce quel benessere che il capitalismo e la democrazia avevano promesso, ma non sono mai stati in grado di garantire.