vuole entrare a far parte dell'Unione Europea, e le forze dell'ordine che hanno agito con la forza per reprimere il dissenso. Le complesse dinamiche che animano la società ucraina sono state solamente accennate: questioni storiche, linguistiche, etniche completamente cancellate. E l'operazione è stata messa in atto utilizzando anche metodi che alle volte hanno anche completamente ignorato l'etica della verità che dovrebbe essere il mantra del giornalista: l'infermiera che in punto di morte si preoccupa di lanciare un tweet (ma che solo “il manifesto” ha indicato in prima pagina come aderente ad un'associazione neo nazista), il prete che, immortalato in una scena degna di un film sull'apocalisse di Hollywood, sventola un crocifisso proclamandosi un combattente dell'identità nazionale ucraina o il rappresentante della chiesa cattolica che intima a Yanukovich di pentirsi per le le vite che ha sulla coscienza.
Utilizzando fotografie scattate anni addietro in contesti completamente diversi si cerca di costruire un'immagine della realtà che è solo parzialmente vera. Si vogliono mostrare solo quegli ucraini che pur di entrare in Europa sono disposti a morire. E noi? Noi sì, dell'Europa soffriamo l'austerity, ma forse forse, se questi sono disposti a dare la vita, significa che in Europa non si sta così male. Le alternative non vengono prese minimamente in considerazione, per non parlare delle conseguenze: cosa comporterà tra un paio d'anni per le famiglie ucraine l'ingresso in UE? Da Bruxelles sono stati chiari: intanto l'adesione, gli aiuti arriveranno a tempo debito e a determinate condizioni. Dall'altra parte c'è la Russia che tenta di creare un'unione doganale che altro non è che il tentativo di creare una zona di libero scambio tra paesi affini. Esattamente le modalità con le quali si è formata l'Unione Europea. Però finché erano Jean Monnet o Romano Prodi a fare appello ad una cultura condivisa a livello europeo, catalizzatrice di quel processo di integrazione che doveva assolutamente partire dal mercato unico, nessuno aveva niente da obbiettare. Nel momento in cui sono la matrice culturale slava, la condivisione di caratteristiche economiche e storiche da parte di paesi che hanno fatto parte dell'URSS o che vi hanno orbitato attorno, allora subito si punta il dito e tutto viene trasformato nella volontà di Putin di egemonizzare una parte di Asia.
Passando poi momentaneamente ad una visione geopolitica tradizionale, se gli Stati Uniti sono legittimati ad intraprendere guerre contro i gruppi terroristici che, per la prima volta nella storia, hanno osato violare il territorio nazionale, nessuno pare comprendere le ragioni del governo di Mosca che, a causa di questo continuo allargamento ad Est dell'Europa, si ritroverebbe la Nato ad un passo dal confine. Già, perché oramai adesione all'UE e alla Nato vanno di pari passo ma la difesa degli interessi nazionali, soprattutto se parliamo di alleanza militari, sono legittime solo da una parte, a quanto pare.
Con la fine della Guerra Fredda ci hanno detto che il modello che ha vinto doveva diventare egemone e che non c'era più spazio per critiche, aggiustamenti o cambiamenti. In nome della libertà abbiamo cominciato a fare la guerra, una guerra che spesso era più la guerra di altri che nostra (ancora qualcuno ci deve spiegare quali grandi vantaggi potrebbe portare un Mediterraneo in continua agitazione ad un paese come il nostro, che ne è parte integrante). Abbiamo cominciato ad “esportare diritti”, convinti della superiorità della nostra società. E lo abbiamo fatto imponendo governi e strutture che non solo facevano gli interessi delle potenze occidentali, ma ne rispecchiavano anche le caratteristiche. Il tutto senza tenere minimamente conto delle peculiarità storiche e sociali dei singoli contesti. Caso emblematico è quello afghano: abbiamo imposto elezioni all'occidentale, con parametri che da secoli ci caratterizzano, col risultato di avere uno stato perennemente sull'orlo del collasso. Facendo riferimento a qualcosa di più recente, potremmo parlare della Libia: uno stato dove la società è era ancora, come secoli addietro, organizzata in tribù, è stata mandato all'aria con un intervento mirato a creare uno “stato democratico”. Il risultato? Gruppi islamisti che in teoria hanno conquistato il governo con sullo sfondo quello che in diritto internazionale si chiama “stato fallito”. Dall'alto della nostra superiorità ci permettiamo di condannare senza appello i governi legati agli ambienti militari, siano essi i casi egiziano o venezuelano, senza tenere conto della storia che ha visto parte delle gerarchie militari sviluppare un ruolo di avanguardia e difesa progressista degli interessi nazionali.
Ogni tentativo di mostrare i limiti di chi ha visto la Guerra Fredda, di provare a costruire una società diversa, che tenti si sottrarsi alle logiche economiche e politiche che stringono sempre più il cappio che ci avvolge il collo, vengono cancellate in nome della democrazia.
Ed è buffo, se mi permettete, che come lume della democrazia nel mondo abbiamo uno stato nel quale i cittadini possono scegliere solo tra partiti (non poi così diversi tra di loro) e che ammette che uno stato federali approvi una legge che consente ai negozianti di rifiutarsi di servire clienti omosessuali. Forse è tempo di cominciare ad aprire gli occhi ma sul serio.