Martedì, 04 Novembre 2014 00:00

La sinistra assente di Domenico Losurdo

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Domenico Losurdo è un filosofo italiano, con un passato da docente presso l'Università di Urbino (oggi è in pensione) e un corposo numero di pubblicazioni facilmente reperibili e rintracciabili attraverso Wikipedia. La precisione e chiarezza delle sue argomentazioni accompagna una militanza mai celata nel campo del comunismo italiano. Non è un caso che la presentazione del suo ultimo libro, La sinistra assente, si colleghi, a Firenze, alla presentazione di un appello per la ricostruzione di un soggetto marxista e di classeAnziché recensire il volume abbiamo tentato di riassumerne alcuni concetti chiave con un'intervista all'autore che qui vi proponiamo.

1) Nel suo libro si affronta il tema della sinistra in chiave globale. Accenna alla situazione specifica italiana solo nel ricordare le infelici posizioni di Camusso e Rossanda a ridosso dell'intervento militare in Libia che ha abbattuto Gheddafi. La pubblicistica contemporanea ci aveva abituati a concentrarci sulle diseguaglianze economiche e sugli errori, o le debolezze, dei gruppi dirigenti della sinistra italiana, o al massimo europea. Può riassumerci le motivazioni di questa scelta argomentativa?

Noi oggi, per quanto riguarda l'occidente capitalistico, assistiamo ad un gigantesco processo di redistribuzione del reddito a favore delle classi più ricche e privilegiate. Ma questo viene ammesso in qualche modo da molti autori, non è un elemento nuovo. Il punto centrale nell'analisi del libro è invece questo: noi siamo in presenza, se diamo uno sguardo a livello mondiale, non di uno, ma di due processi di redistribuzione del reddito, tra loro contrapposti.

Nell'ambito dell'occidente capitalistico vediamo appunto la redistribuzione del reddito a favore delle classi ricche e privilegiate. A livello planetario noi vediamo una redistribuzione del reddito a favore dei paesi che hanno alle spalle una rivoluzione anticoloniale e che adesso, dopo essersi scossi di dosso l'assoggettamento politico, tentano di scuotersi di dosso anche l'assoggettamento economico e tecnologico. È il fenomeno, soprattutto, dei paesi emergenti ed in primo luogo della Cina.

La tesi centrale di questo libro è che essere di sinistra significa:

1) per un verso contestare nell'occidente capitalistico questa redistribuzione del reddito a favore dei ceti ricchi e privilegiati

2) per un altro verso, a livello globale e planetario, appoggiare e favorire questo processo di redistribuzione del reddito a favore dei paesi emergenti e a favore dei paesi che sono stati protagonisti della rivoluzione anticoloniale.

Ed ecco perché si parla di sinistra assente. In ogni caso, per quanto riguarda il secondo aspetto, la sinistra, sia quella radicale sia quella parlamentare, è sorda alle ragioni dei paesi emergenti. L'occidente, di fronte a questo processo di redistribuzione del reddito a livello planetario a favore dei paesi emergenti, reagisce con una serie di guerre neocoloniali.

Non c'è stata solo la Libia di Gheddafi, ma tutto il Medio Oriente è stato investito da guerre neocoloniali promosse dall'occidente. Gli unici paesi non investiti sono stati quelli come l'Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo, cioè paesi che non hanno mai conosciuto né la rivoluzione anticoloniale né la rivoluzione antifeudale. Ecco, dinnanzi a questo io vedo tutta la debolezza, o persino tutta l'assenza della sinistra.

2) Nel libro emerge la strumentalità di alcuni archetipi, come quelli del dissidente, del martire o del terrorista. L'indignazione che nasce attraverso queste figure è sempre legata al sistema comunicativo con cui il potere veicola i propri valori. Come si può evitare di cadere nelle narrazioni fittizie e al tempo stesso non restare indifferenti alle ingiustizie del mondo?

Chiaramente non c'è una risposta di tipo meccanico da dare, si tratta di volta in volta di fare un'analisi concreta. Prendiamo spunto dalla figura che oggi è più sfruttata, quella del dissidente.

Intanto si tratta di fare un'analisi storica. Perché i comunisti che erano perseguitati, ad esempio, nella Germania occidentale erano messi fuori legge e non sono mai stati definiti dissidenti, mentre è stato considerato ovvio che fossero espulsi dal luogo di lavoro e inviati in carcere?

Se vogliamo parlare della figura del dissidente oggi, dobbiamo vedere i diversi aspetti. Faccio l'esempio della dissidente cubana che protesta rispetto al potere esistente a Cuba, che è a sua volta potere dissidente rispetto al potere esistente a livello planetario. E non è che la dissidente a Cuba, rispetto al regime comunista, corra più rischi di quello che la dirigenza cubana abbia corso e corra rispetto al potere planetario. Sono gli stessi giornali occidentali a dire che i tentativi della Cia di assassinare Fidel Castro sono innumerevoli. Invece è chiaro che in questo caso la dissidente filo-occidentale non ha rischiato e non rischia la vita.

Come si vede la figura del dissidente viene astratta dal contesto storico e viene celebrata solo nella misura in cui appoggia l'orientamento filo-occidentale e filo-imperialista.

Prendiamo ancora una volta la figura della dissidente cubana. Ho già detto che il potere politico contro cui lei protesta è dissidente rispetto al potere politico mondiale. È una dissidente o una aspirante proconsole dell'impero? Nel libro dimostro che molti di questi dissidenti fanno esplicito appello, agli Stati Uniti e altri paesi loro alleati, perché intervengano nel loro paese in una certa direzione. In questo caso più che di dissidenti dovremmo parlare per l'appunto di aspiranti proconsoli dell'impero.

Se poi prendiamo il caso particolarmente clamoroso del Dalai Lama, noi vediamo che l'uso di questa categoria è effettivamente ideologico in modo scandaloso. Il Dalai Lama è certamente dissidente rispetto al potere politico rappresentato dalla Repubblica Popolare Cinese, che certamente è in dissidenza rispetto al potere planetario, incarnato in questo caso dagli USA. Rispetto al Dalai Lama ci sono altri orientamenti nello stesso mondo buddhista e lamaista che condannano il Dalai Lama in quanto protagonista di una repressione a favore di ulteriori dissidenti. Ma naturalmente, dal punto di vista dell'ideologia dominante, l'unico dissidente degno di nota e di ammirazione è il dissidente che è in piena consonanza con l'ideologia e il potere dominante, che quindi è in consonanza con l'impero, cioè esattamente il contrario del dissidente.

3) Della sinistra denuncia i limiti culturali, prima che organizzativi. Al tempo stesso riporta una bella citazione di Marx, in cui rivolgendosi ai giovani scrive: "Non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: qui è la verità, qui inginocchiati". Complicato è quindi l'equilibrio tra la necessità di ricostruire una teoria per la sinistra radicale e mantenerla collegata alla realtà quotidiana. Il suo suggerimento è quello di fare riferimento alla pratica della filosofia, magari partendo da Hegel?

Ancora una volta non credo di essere messia o profeta, cioè non è che abbia una verità salvifica e delle ricette che siano facili da seguire. La tesi del libro è questa: oggi ci troviamo in una situazione più difficile che ai tempi di Marx. Sostengo infatti che ci sia una novità. Marx ha saputo dire con grande forza dire: le idee dominanti sono le idee della classe dominante, la classe che detiene il monopolio della produzione materiale, ha anche il monopolio della produzione intellettuale. È stata certamente una visione che ha consentito di cogliere in che modo avvengono i processi di produzione delle idee. Ai giorni nostri la situazione è più difficile perché la borghesia non è la classe che detiene solo il monopolio delle idee ma soprattutto detiene il monopolio delle emozioni. Nel libro dimostro come effettivamente è grazie a questo monopolio della produzione delle emozioni che si scatenano le guerre e i colpi di stato che l'imperialismo scatena. 

Faccio un esempio particolarmente clamoroso, che oggi viene ammesso da tutti, intendo dire anche dagli intellettuali borghesi. Quello che è avvenuto in Romania alla fine del 1989. Certamente c'era una dittatura largamente screditata di Ceausescu. Quando si manifesta una protesta a Timisoara, una città romena, c'è, a quanto pare, una repressione ed ecco che tutto il sistema multimediale all'unisono ha denunciato la ferocia della repressione, parlando di genocidio. Oggi sappiamo quello che è avvenuto. Cito un filosofo lontano dal comunismo come Agamben, che ha scritto che in realtà i cadaveri sono stati presi nell'obitorio e mutilati: è stato un terribile scempio e in questo modo sono stati esibiti per tutto il sistema multimediale come prova del genocidio. In questo caso la manipolazione è stata clamorosa e particolarmente ripugnante. Questo ha significato che a partire dall'esibizione di questi cadaveri mutilati come prova di un presunto genocidio si è scatenata un'ondata di indignazione (quello che nel libro definisco il terrorismo dell'indignazione). Sulla base di questo terrorismo è stato più facile scatenare il colpo di stato.

La stessa tecnica, dimostro nel mio libro, è stata messa in atto per quanto riguarda la guerra contro la Jugoslavia.

Una conclusione di carattere filosofico la si può tirare. Hegel dice che la semplice proposizione non è il luogo della verità, perché la verità è un ragionamento complesso, che deve tener conto di tutta una serie di circostanze. Hegel è decisamente contrario a ogni forma di relativismo però al tempo stesso mette in guardia: la verità è l'intero, la verità è concreta. Hegel, ripeto, giustamente afferma che la proposizione semplice, elementare, non è il luogo della verità. Ma oggi è addirittura le percezione immediata che dovrebbe essere il luogo della verità: ad esempio la trasmissione televisiva, l'indignazione che procura. Quello su cui vorrei richiamare l'attenzione è che dobbiamo saper resistere alla manipolazione, non lasciarci trascinare immediatamente, ragionare, saper fare un ragionamento complesso, saper fare l'analisi concreta della situazione concreta, per usare la parola d'ordine cara a Lenin. Non è una operazione semplice, ma senza questa capacità non si riesce a resistere alla manipolazione.

Un ultimo punto potrei aggiungere. Proprio all'inizio del libro, come esergo, cito un'affermazione di Bismarck. Siamo nella seconda metà dell'800, in quel momento la Germania è in ritardo rispetto all'espansionismo coloniale di altri paesi e sta cercando di recuperare. Proprio nell'ambito di questo tentativo Bismarck, rivolgendosi ai suoi collaboratori, dice: ma non sarebbe possibile reperire dettagli raccapriccianti di un episodio di crudeltà? Reperire, ritrovarli, dilatarli, inventarli, manipolarli. La tecnica è questa: attraverso un dettaglio raccapricciante e capace di suscitare l'indignazione morale, un dettaglio vero ma dilatato, manipolato o inventato del tutto, è possibile suscitare l'indignazione morale che porta l'opinione pubblica a giustificare la guerra, o anche colpi di stato travestiti da rivoluzioni colorate.

Io direi che c'è una profonda continuità da Bismarck ai giorni nostri, potremmo persino dire da Bismarck a Obama o ai dirigenti del mondo occidentale. 

4) Nel libro si legge di un Machiavelli simile a quello descritto nella quotidianità come rappresentante di un modello negativo di pratica politica.

Non è questo il mio punto di vista. Machiavellismo ovviamente viene citato in un'accezione negativa perché è chiaro che nel linguaggio corrente è sinonimo di realpolitik priva di qualsiasi scrupolo e priva anche di obbiettivi di grande respiro. Quando si parla negativamente di Machiavelli io cito in realtà Norberto Bobbio, che parla in termini assai negativi di Machiavelli. Il mio punto di vista invece è diverso, anche se nel libro non ho potuto dire tutto. 

Machiavelli in realtà è una grande figura. Il torto e la catastrofe di Bobbio è di non averlo letto, o comunque di non averlo compreso, secondo il mio punto di vista.

Qual'è il grande merito di Machiavelli? Spesso ci sono filosofi che parlano di Marx, Nietzsche e Freud come i tre grandi maestri del sospetto: coloro che mettono in dubbio la trasparenza immediata delle proposizioni, per vedere fino a che punto corrispondono al convincimento reale e alla pratica reale di colui che le pronuncia. Secondo me il primo grande maestro del sospetto è stato Machiavelli, che ha messo in guardia dal prendere per oro colato le dichiarazioni che i diversi stati fanno nello spiegare o nel voler legittimare la politica internazionale. 

Machiavelli fa vedere per l'appunto che queste dichiarazioni di appoggio ad altissimi valori spesso sono una tecnica di manipolazione che serve per contrastare l'avversario, il potenziale nemico.

Da questo punto di vista Machiavelli ci serve, se colto nella sua profondità, se colto nel suo autentico significato, per stendere perlomeno un dubbio circa la sincerità e circa il reale significato delle dichiarazioni con cui le guerre vengono scatenate in nome della difesa di valori universali. In realtà queste ideologie così esaltate nascondono il perseguimento di interessi geopolitici, materiali, che sono ben più concreti e molto spesso inconfessabili. Questo secondo me Bobbio non l'ha mai compreso.

Immagine liberamente ripresa da www.newyorker.com

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Novembre 2014 16:32
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

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