Che le destre avessero individuato nel settore pubblico della conoscenza il loro principale bersaglio è noto dalla pubblicazione del decreto legislativo 112/08 (la “finanziaria dei nove minuti e mezzo”), che ha generato le vergogne delle successive decretazioni ad opera dei ministri “yes man” Gelmini e Brunetta e proseguite, senza cambiare nota, con i tecnici “lo vuole l'Europa”: Patroni Griffi e Profumo.
Ma proprio qui, la sciagura di questi anni di obbedienza ai dettami dell'economia finanziaria si è abbattuta generando danni sociali incalcolabili.
Basta dare un'occhiata ai dati trionfalmente diffusi dal MIUR per disegnare, anche col solo riferimento alla scuola pubblica, la distruzione in atto nel settore: aumento degli alunni per classe; riduzione degli organici; distruzione del modello pubblico di formazione professionale per incapacità di pianificazione industriale governativa e, dulcis in fundo, concorsini spacciati per concorsoni - sulla scia di una serie di pasticci sul reclutamento messi in opera col solo scopo di arginare la massa della disoccupazione intellettuale.
I numeri sono da capogiro, da crisi industriale vera. In cinque anni sono state perse oltre 80000 cattedre: una liquidazione della politica pubblica sull'istruzione la cui drammaticità si acutizza per il gravare sulle classi sociali più deboli e sui segmenti più segregati dai mercati del lavoro protetti e tradizionali - donne e giovani in primis - che avevano trovato nel lavoro scolastico una porta d'ingresso verso un lavoro di qualità, solo in parte risarcitorio di anni di studio e sacrifici.
Non si tratta quindi di essere “choosy” o meno, ma di diritti negati, di tentativi continui di far aderire settori di stato sociale a logiche di mercato soffocandoli e mettendoli in concorrenza continua con agenzie formative di assai dubbio apporto culturale col solo scopo di diffondere il mito dell'inevitabilità della situazione attuale, in una continuità ideologica sostanziale col governo della destra.
Non vanno dimenticate, infatti, da parte del governo Monti, una serie di uscite intempestive su aumento dell'orario d'insegnamento a 24 ore settimanali per i docenti di scuola secondaria - proposta che non dimostra altro che ignoranza sull'oggetto di governo - , e sull'esternalizzazione dei servizi amministrativi e tecnici su cui sarebbe stato opportuno tacere, vista pure la scadente qualità dei posti di lavoro generati dagli appalti al massimo ribasso.
E mancava solo l'ennesimo sfregio “tecnico”, ad opera della signora ministro Fornero. La controriforma che porta il suo nome, allungando nei fatti l'età pensionabile, riduce la base organica su cui effettuare le operazioni di immissioni in ruolo di personale innalzando - nettamente e necessariamente - l'età dell'agognato contratto a tempo indeterminato e provocando una continua intermittenza nella continuità didattica ed educativa, oltre che salariale, col risultato del mancato incontro con una maturità professionale ed una pensione dignitosa da parte di intere generazioni.
Nè servono, con lo scopo di “tutelare l'utenza”, le norme che bloccano i trasferimenti di personale precario e di ruolo: i primi chiusi nelle graduatorie, ora gabbie amministrative cripto-leghiste in palese violazione del dettato costituzionale; i secondi costretti a lungaggini burocratiche, indegne di uno stato di diritto, nel bisogno di assistere familiari e congiunti – vittime entrambi di una regionalizzazione degenerata e cattiva, di un federalismo antistorico che ruba il futuro ad intere classi di giovani laureati e diplomati del Sud e prenota, per conto di essi, un posto per una sottoccupazione lunga e penosa, magari all'estero o in quelle regioni – ancora - ricche del Paese.
A questo punto è lecito porsi una domanda: Quando autorevoli commentatori ed analisti (per non citare politici di rango di governo e non) parlano di “fuga dei cervelli”, sanno davvero di cosa stanno parlando?