Venerdì, 17 Giugno 2016 00:00

Orlando: in difesa dell'umanità

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Di tutto quello che è stato detto a proposito della strage di Orlando, forse un articolo (“Overcompensation Nation: It’s time to admit that toxic masculinity drives gun violence” di Amanda Marcotte, apparso lunedì 13 su www.salon.com) ha colto maggiormente la questione ideologica alla radice di quel gesto terribile. In questo articolo infatti si parla di un aspetto che, sebbene diffusissimo, non solo nelle civiltà del medi oriente, ma anche (o forse soprattutto) nella nostra civilissima società occidentale, non viene mai o quasi mai sollevato e posto come problema mentre invece sarebbe meglio cominciare a sradicarlo o per lo meno a metterlo in luce.

L’autrice dell’articolo denomina questo aspetto “toxic masculinity”. La mascolinità tossica è un particolare tipo di affermazione della virilità basata sulla violenza e il rigetto della femminilità , considerata debole e inferiore, sia per quanto riguarda le donne (molto spesso considerate appunto come oggetti inutili e inferiori) sia, soprattutto, quand’essa è presente negli uomini, tanto da sfociare in omofobia. I maschi tossici sono convinti che virilità significhi sopraffazione e ostentazione di potenza, forza, violenza, schiacciando ciò che viene ritenuto poco “macho”, femminino, delicato, debole. In realtà quel che viene spacciata come virilità maschile, sintomo di autocontrollo, forza e coraggio è mero frutto di un’estrema e patologica insicurezza e vigliaccheria, che porta a schiacciare con la violenza coloro che sono ritenuti diversi, che non rientrano nei parametri di questa mascolinità, di questa presunta virilità, di questo machismo furioso e feroce. L’uso delle armi non fa che confermare il profondo, per quanto mascherato appunto da ostentazione di forza e predominanza, senso di vile insicurezza che si cela dietro atteggiamenti e gesti di mascolinità tossica. Per sentirsi forti e potenti si ricorre alle armi, considerate come simbolo di tale forza e potenza e con le quali è molto più facile eliminare degli individui inermi. La possibilità di acquistare senza alcun controllo o impedimento armi potentissime in grado di sparare 40 colpi per volta non fa che esasperare la logica machista portandola alle più devastanti conseguenze. Al di là del singolo caso dell’uomo che ha commesso la shoccante strage nel locale gay, ciò che è spaventoso è che tale logica che mitizza ed esalta la figura dell’uomo forte con la pistola, emblema della osannata virilità sbandierata come simbolo di coraggio, inquina la mentalità di moltissime persone, soprattutto negli Stati Uniti, dove l’idea del farsi giustizia da soli, l’idea che per essere un uomo vero devi essere forte e indistruttibile, sono dilaganti e diventano slogan efficaci delle campagne elettorali dei partiti conservatori. Donald Trump è forse il caso più emblematico di questo tipo di mentalità e non è certo un caso che questo soggetto che rischia di diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti sia un esplicito omofobo, razzista e maschilista, nonché ultra sostenitore dell’uso delle armi come risposta al terrorismo di matrice islamica:

What is particularly frustrating about all this is that, even though toxic masculinity is clearly the problem here, you have a bunch of conservatives running around and pushing toxic masculinity as the solution, as if all we need to end violence and terrorism is a bunch of silly posturing about who is the biggest man of all the menfolk out there. Trump, of course, was leading the pack on this, posturing about how we need “toughness”, which he appears to define as a willingness to tweet ignorant, belligerent nonsense. Posturing a lot, in general, is the preferred strategy of the toxic masculinity crowd in response to terrorism”.1

Dopo il tremendo episodio di Orlando la prima cosa che Trump ha affermato è stata che se nel locale qualcuno avesse avuto delle armi i fatti sarebbero andati diversamente. Ma non è certo l’unico, negli Stati Uniti a pensarla in questo modo. Nonostante tutti gli episodi di sparatorie dentro scuole, ospedali, locali etc., in pochi (sia a livello istituzionale che a livello di società civile) hanno messo in discussione la vendita di armi (solo Clinton nel 1994 promosse una legge per vietare la vendita di armi pesanti – che poi fu però ripristinata – , e bisogna comunque notare che Obama ha ribadito più volte che “la violenza generata dalle armi in Usa è una crisi nazionale” e sarebbe favorevole a un cambiamento della legislazione su questo tema). Ciò accade non solo per il fatto che quella delle armi è una lobby potentissima e che sia nel Senato che al Congresso nel 2015 abbiano ottenuto la maggioranza dei seggi i repubblicani (tendenzialmente favorevoli alle armi), ma anche perché resta abbastanza radicata l’idea che le armi siano fonte di sicurezza, diano un senso di protezione e soprattutto, anche solo implicitamente, esaltino e completino questo mito dell’uomo forte, dell’uomo vero, dell’uomo impavido che sa difendersi da solo, o, nel peggiore dei casi, che sa farsi giustizia da solo (laddove è solo la sua giustizia, quella che stima tale), contro coloro che ritiene indegni di vivere tranquillamente, contro coloro che non ritiene degni di esistere. Anche dopo la strage nel centro sociale per disabili di San Bernardino, in California, ricordo che quasi tutti i cittadini intervistati continuavano ad essere convinti che le armi siano fondamentali, e che se qualcuno degli inservienti le avesse avute con sé in quel momento, si sarebbero evitati diversi morti innocenti. Giustamente, nell’articolo sopra-citato, si legge: “Our country is saturated in guns, and yet the mythical “good guy with a gun” who is promised to stop mass shootings has yet to actually produce himself. That is because the “good guy with a gun” is a myth, propped up to justify toxic masculinity’s obsession with guns, and nothing more2

Ovviamente si tratta di un paradossale circolo vizioso: più si vendono armi a chiunque, senza alcun controllo e selettività, più aumenta il rischio che quelle armi possano venire usate da chiunque, anche dall'individuo più temibile, fanatico o esaltato o da chi era già stato condannato o segnalato, e i risultati sono inevitabilmente stragi e morti gratuite. Quel che però innanzitutto andrebbe debellato è proprio questo mito della mascolinità, che potenzialmente può riversarsi contro chiunque non sia considerato “un uomo vero” o venga ritenuto inferiore, minoritario, marginale, una bestia o una femminuccia. Le vittime di questo tipo di mentalità e di questo atteggiamento sono molteplici, dai neri, alle donne, agli omosessuali, alle minoranze religiose o etniche. Certo, è vero che si incrociano altri e complessi motivi e dinamiche, ma molto spesso l’ostentazione della virilità e del proprio ego capace di schiacciare altri individui in nome di una presunta superiorità e di una forza assoluta e auto-mitizzata, accomuna ogni tipo di discriminazione e violenza, ed è perciò cominciando a rigettare questa mitizzazione personale e collettiva che forse si potrebbero evitare certi episodi di efferata violenza, dai più “piccoli” che fanno meno eco, ai più grandi, quando quella mentalità malata esplode in tutta la sua aberrante e vile ferocia.

E ripeto, è inutile coprirsi dietro a un dito, autoconvincendosi (poiché è più comodo e ci fa sentire meno in colpa), che questo odio verso il “diverso” o colui o colei che sono ritenuti parte di un’umanità inferiore e quindi indegna di sopravvivere, appartenga solo al fondamentalismo islamico. Il cristianesimo si è macchiato e continua a macchiarsi di crimini altrettanto spaventosi, per gli stessi motivi. Ancora oggi il cattolicesimo considera l’omosessualità come una deviazione, una malattia, o un peccato, perché, di base, non rientra nello schema dell’ “uomo vero” e fior fior di illustri cattolici arrivano persino ad augurarsi la morte di questi “errori di natura”, gridando a gran voce che debbano esser tutti sterminati. In un passo del terzo libro della Bibbia (e non del Corano!), ad esempio, si legge: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte”. La paura e l’accanimento contro chi è considerato diverso accomuna, con le dovute differenze e i diversi gradi, purtroppo, ogni società, anche quella che presuntuosamente riteniamo più democratica e civile, forse proprio perché, alla radice (che è una radice comune) c’è questo mito di una superiorità virile (che poi si unisce a una presunta superiorità etnica o religiosa o economica) impostasi come legittima, e, in fondo, ritenuta tale anche dalle persone che si ritengono più civili e tolleranti. Alla base c’è questa idea di auto-celebrazione in quanto maschio adulto forte che combatte contro quel tipo di umanità che riconosce come parassita, inferiore, debole, inutile, diversa e che dunque va eliminata con la forza e il coraggio consentitogli da quella che giudica essere l’unica vera mascolinità, l’unica legittima superiorità virile. Chi non è abbastanza uomo (sia per orientamento sessuale che per etnia che per stato sociale) o chi è donna, è un essere inferiore che si può trattare a proprio piacimento, ostentandogli la propria forza e la propria egocentrica e auto-celebrata superiorità, la propria virilità che si scatena con l’unica arma che un tale tipo di mentalità conosce: la violenza, avallata dall’uso delle armi a disposizione. Questa forza, ripeto, è invece sintomo di profonda inadeguatezza e insicurezza, oltre che di viltà e pavidità. Chi si sente davvero forte e sicuro di sé non ha bisogno di usare la propria forza contro altri esseri umani, non ha bisogno di entrare in un locale in cui persone totalmente inermi si stanno divertendo facendole fuori una ad una, non ha bisogno di odiare nessuno, non ha bisogno di sentirsi superiore a nessuno, non ha bisogno di fare gerarchie all’interno dell’umanità a cui appartiene.

Questa idea malata di virilità purtroppo è introiettata da una stragrande maggioranza di persone, non solo dagli uomini, ma anche da molte donne, che per sentirsi alla pari degli uomini, molto spesso ne prendono gli stereotipi peggiori, quelli basati sulla forza e sulla sopraffazione (considerate prerogative maschili, per quanto io sia convinta che anch’esse siano frutto della storia e della cultura e non di una presunta naturalità o di un innato biologismo che ha assegnato agli uomini determinate caratteristiche e alle donne altre), come se per affermarsi occorresse essere aggressivi e spietati, fisicamente o verbalmente. Come si legge nell’articolo succitato: “Toxic masculinity aspires to toughness but is, in fact, an ideology of living in fear: The fear of ever seeming soft, tender, weak, or somehow less than manly. This insecurity is perhaps the most stalwart defining feature of toxic masculinity3.

Quindi, forse, l’unica speranza per un mondo migliore in cui la paura e l’odio nei confronti di tutti coloro pensiamo non rientrino nei parametri, nelle ideologie – tossiche appunto – , nelle norme e negli schemi che si sono sedimentati nel tempo e che ancora resistono tenacemente, sia l’apertura a un tipo di pensiero differente, inclusivo anziché esclusivo. Un pensiero che riconosca l’umanità in ciascun individuo, indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale, dall’etnia, dalla religione, dal ceto sociale etc.; un pensiero che anziché arroccarsi su un ideale – o un mito – che esalta la forza e la superiorità virile, la figura dell’uomo che si sente tale in quanto dotato di quella forza e quella sopraffazione che considera essere emblemi di virilità (e per di più dotato di armi con cui crede di enfatizzarla), abbatta questa mentalità machista che vede la “femminilità” (quella che è giudicata tale perché non corrisponde ai canoni di forza, auto-disciplina e imponenza attribuite a un ideale di virilità) come sintomo di debolezza e inferiorità. Un pensiero che sradichi l’idea che la forza e la violenza rendono un uomo un uomo vero, mentre tutto il resto è feccia da schiacciare (a parole o fisicamente); un pensiero che finalmente possa mettere in discussione l’eteronormatività, considerata e interiorizzata come unica forma naturale e possibile se si vuol essere ritenuti “normali” e perfettamente inseriti in una società e accettati da essa, in quanto conformati a una legge erroneamente e ridicolmente assunta come legge di natura e dunque unica stimata come legittima e degna. Occorre scavare nel profondo e rendersi conto quanto anche in molti di noi, anche quando ci consideriamo così aperti e rispettosi di ogni forma di umanità, in realtà siamo condizionati da norme, ideologie, falsi miti, canoni e schemi che se anche, fortunatamente, non ci portano a compiere azioni di violenza così drammatica, non riescono ad auto-distruggersi e a volte, impediscono addirittura ai più intolleranti, di condannare fino in fondo un tipo di violenza che si riversa su coloro che essi ritengono sviati, inferiori, non-uomini. O meglio, la violenza magari la condannano ma continuano a rimanere convinti che il maschio (possibilmente bianco e ricco, o potente) etero adulto e forte sia l’unica forma degna di rappresentare la norma presunta naturale e che quindi, alla fine, chi se ne frega se quelli che sono morti stavolta sono delle “checche”. Non è un caso che la reazione sia stata abbastanza diversa rispetto, ad esempio, alla strage del Bataclan, in cui a morire fu la “meglio gioventù”. I ragazzi del Pulse non fanno forse parte di questa meglio gioventù? 

Finché non superiamo, a cominciare dal nostro piccolo, pregiudizi, schemi mentali, condizionamenti culturali e sociali, preconcetti ignoranti che attribuiscono peculiarità caratteriali o comportamentali presunte innate o biologiche a ciò che è “maschile” e a ciò che è “femminile” e che esaltano la superiorità della forza e della dominazione come unica forma di virilità contro la debolezza assegnata al lato del femminile; finché non smontiamo questo mito della virilità, questo mito del maschio etero e forte, finché non capiamo che è solo vigliacca debolezza e paura del “non conforme”, di coloro che stanno fuori dai nostri canoni, finché ci sentiamo potenzialmente in diritto di discriminare o considerare inferiore un altro essere umano perché ha un colore della pelle diverso, perché appartiene a un’altra cultura, perché ha un orientamento sessuale non etero-normato, perché ha un credo religioso diverso, perché donna, perché povero e così via, allora qualcuno continuerà a prendere le armi in pugno e a uccidere in nome del proprio senso malato – tossico – di giustizia, di superiorità, di virilità. Se a quest’ultima attribuiamo le caratteristiche di sopraffazione, di (auto)imposizione, spavalda arroganza e abuso della propria forza fisica, o, nel peggiore dei casi, degli strumenti micidiali che abbiamo a disposizione, bisognerebbe del tutto fare a meno di questo termine e del senso che gli diamo. Imporre se stessi e la propria presunta mascolinità spacciata per forza e coraggio calpestando fisicamente o verbalmente altri individui e auto-legittimandosi nel farlo, denota al contrario un’infima debolezza, un misero senso di inadeguatezza, una paura che impedisce di accogliere quelle che crediamo essere delle diversità, ma che in realtà sono diversità rispetto a modelli, norme, canoni e parametri che sono frutto di costruzioni sociali, culturali, religiose. È retorico e banale dirlo, ma siamo tutti diversi gli uni rispetto agli altri. La forza di un uomo, così come di una donna, non la si misura sul grado di forza fisica che è in grado di ostentare o scatenare a scapito di altri esseri umani e non esistono gerarchie che debbano mettere l’umanità su delle bilance. In un mondo in cui ancora siamo condizionati o abbiamo fatti nostri certi schemi e certe idee che producono intolleranza, fanatismo, odio, sopraffazione, discriminazione, esaltazione della mascolinità tossica, è inevitabile che la facile possibilità di acquistare armi rende alimenta e rende tragicamente effettivo un tipo di mentalità che per imporsi e auto-esaltarsi ha bisogno di esplodere nella maniera più feroce e brutale. Occorre però non limitarsi a condannare questi gesti eclatanti, piangendo le vittime di una ideologia che in fondo, a volte, gran parte dell’umanità condivide. Occorre appunto sradicarla già dentro di noi, occorre cominciare a condannare drasticamente ogni parola, ogni atteggiamento, ogni espressione, fisica o verbale che ancora ostenta l’idea di una presunta superiorità, auto-legittimazione nel discriminare, disprezzare, rigettare di coloro che non rientrano nelle categorie che abbiamo costruito, che pone barriere e livelli tra tipi di umanità, come ad esempio tra quella virile (e quindi forte!), bianca ed eterosessuale, e quella che non corrisponde a questi canoni. Il fanatismo, le uccisioni, le stragi sono l’iceberg di patologie culturali e sociali che si annidano anche nella persona più insospettabile e più apparentemente aperta e rispettosa, per questo bisogna iniziare a essere impietosi anche quando certi preconcetti, certe convinzioni malate, certe ideologie sembrano meno gravi, in penombra, sotterranee, innocui, solo perché non vanno ad esplodere nella violenza più allucinante. Forse, solo cominciando a rivedere i nostri schemi con cui gerarchizziamo le svariate forme di individualità o tentiamo di normalizzarle secondo quelli che appunto crediamo essere gli unici modelli degni di legittimità e di esistenza, possiamo, forse, prevenire, almeno un minimo, i gesti più spiazzanti e di inaudita violenza che accadono così frequentemente e in ogni parte del mondo. Non dobbiamo limitarci a etichettare questi atti di estrema violenza come quello di Orlando, come gesti isolati compiuti da pazzi, malati o fanatici o che sono solo indice del radicalismo islamico, ma prendere consapevolezza anche dell’intolleranza o della introiettata idea di superiorità che albergano in maniera più tacita e, grazie al cielo, più trattenuta, anche nella mentalità di una larga fetta di società, musulmana o cristiana che sia, mediorientale o occidentale, il cui paladino, in quest’ultima, è adesso Donald Trump, ma che ribadisco, non è certo l’unico.

The horror story of Orlando lays bare what damage that this kind of dominance-oriented masculinity does to our society, right during an election when a overcompensating bully who is completely immersed in the discourse of toxic masculinity is the Republican nominee for president. It’s a stark reminder of why we, as a country, need to get past the politics of tough guy posturing and move towards a more thoughtful, inclusive society. One with more dancing and less waving guns around while talking about what a manly man you imagine yourself to be”.4

 

1 www.salon.com
2 Ibidem
3 Ibidem
4 Ibidem

Immagine da www.huffingtonpost.com

Ultima modifica il Lunedì, 20 Giugno 2016 13:00
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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