Viviamo in un’Italia che pare voler rilegare in un angolo il Paese che fu pensato da coloro che combatterono e morirono sui monti facendo a Resistenza: il lavoro, protagonista del primo articolo della nostra carta costituzionale, viene smantellato senza alcuna reticenza. E seguono oramai a ruota tutti gli altri diritti, dalla formazione alla sanità.
Fino all’approvazione della legge finanziaria di fine 2011, che con il suo articolo 8 è riuscita a demolire le poche sicurezze rimaste al mondo del lavoro, il contratto collettivo nazionale rimaneva l’ultima sicurezza per i lavoratori. Si sapeva che, per quanto i padroni potessero cercare di sfruttare la propria situazione di forza nei confronti dei loro dipendenti, c’era un limite che non poteva essere superato. Un limite segnato proprio da quel contratto collettivo nazionale, che riusciva a garantire a tutti un certo livello di qualità.
E’ evidente che le operazioni messe in atto puntano a far sentire i singoli lavoratori più soli: i datori di lavoro agiscono all’unisono, non solo perseguendo lo stesso fine, il massimo profitto a discapito di tutto e tutti, e sanno anche bene su quale leve fare forza, insieme. I lavoratori si ritrovano così con le spalle al muro e guardandosi intorno vedono tante persone nella loro stessa situazione. Da una parte c’è l’abolizione del contratto collettivo nazionale, dall’altra c’è l’azione di quei sindacati (confederali o non) che, firmando accordi e contratti senza che la CGIL li sostenga, impediscono il rinnovo delle RSU. Siamo difatti arrivati al paradosso per il quale solo i lavoratori iscritti a sindacati che hanno accettato l’accordo hanno il diritto di essere rappresentati nelle RSU.
E l’unica risposta che i lavoratori possono darsi in questa situazione è la solidarietà. Se la cancellazione del contratto collettivo punta ad isolare i singoli lavoratori, permettendo ai datori di lavoro di applicare condizioni e contratti che variano a loro piacimento, l’unico modo per fronteggiare la situazione è un rafforzamento dei legami tra lavoratori. All’interno della CGIL, come hanno ripetuto molti di coloro che sono intervenuti, bisognerebbe “scavalcare” le barriere tra le varie categorie. I metalmeccanici, che con il loro rifiuto di firmare l’accordo di Pomigliano sono diventati un baluardo della resistenza in Italia, dovrebbero convincere tutti i lavoratori a non andare a fare compere la domenica per supportare le rivendicazioni dei loro compagni della Filcams. I lavoratori del commercio stanno infatti lottando nell’ombra: le rivendicazioni di coloro che sono costretti a fare anche sette rientri domenicali nel giro di due mesi hanno portato la categoria a non firmare il contratto.
La situazione, come è stato detto, è quindi gravissima; non solo per lo smantellamento del diritto al lavoro ma anche perché a questo sta pian piano seguendo quello di altri diritti fondamentali. Come è stato ricordato da un iscritto alla FIOM, sono sempre più frequenti i casi di lavoratori che sono stati costretti ad accettare un’assicurazione sanitaria integrativa. In nome del dio profitto oramai non solo il diritto al lavoro viene svenduto ma anche quello alla salute viene messo in mano a privati. L’abbandono da parte dello Stato del suo ruolo “sociale” di assistenza e supporto ai cittadini si ripercuote oramai in ambiti come la sanità e l’istruzione: come si accetta il crollo del sistema d’istruzione pubblico pur assicurando finanziamenti alle scuole private, così allo stesso modo anche nella sanità ci si sta sempre più aprendo ad un sistema si stampo “americano” per il quale solo chi può pagare ha modo di farsi curare.
Ad un progetto tanto strutturato e preciso di distruzione di stato sociale e diritti non si può rispondere se non con solidarietà e con un progetto che a sua volta riesca a dare una visione complessiva d'alternativa: è solo l'unione che fa la forza.