Saperi

Saperi

Le varie forme de "sapere", che cerchiamo di organizzare tra divulgazione scientifica (cliccando qui), scienze umanistiche (cliccando qui) e scienze sociali (cliccando qui), sfruttando le pur discutibili suddivisioni del nostro sistema accademico.

Immagine liberamente tratta da pixnio.com

Venerdì, 22 Febbraio 2013 00:00

Il Papa del gran rifiuto

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Con la recente notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI non può non tornare alla mente il caso di Celestino V, reso famoso dalle parole di Dante Alighieri: "E dietro le venìa sì lunga tratta - di gente, ch'io non avrei creduto, - che morte tanta n'avesse disfatta. - Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, - vidi e conobbi l'ombra di colui - che fece per viltà il gran rifiuto." Questo passo è tratto dal III canto dell'Inferno, quello degli ignavi, cioè coloro che nella loro vita hanno agito senza prendere mai posizione, limitandosi ad adeguarsi a quella più comoda o del più forte.

Martedì, 05 Febbraio 2013 00:00

Un sogno chiamato rivoluzione

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Il Novecento è stato anche e soprattutto un secolo percorso dai passi concitati di milioni di uomini e di donne che, da un capo all’altro del pianeta, hanno tentato, in condizioni spesso drammatiche, di segnare il corso degli eventi a favore di un “quarto stato” che da figlio illegittimo della modernità capitalista aveva deciso di elevarsi a soggetto della Storia.

“Un sogno chiamato rivoluzione” di Filippo Manganaro- autore di opere e ricerche sul movimento operaio e popolare statunitense- edito da Nova Delphi restituisce grandezza e tragicità del XX secolo attraverso il racconto delle vicende che hanno avuto come protagoniste generazioni successive della stessa famiglia, le cui storie individuali si collocano nella narrazione di una gigantesca impresa collettiva di liberazione che ha permeato di sé un’epoca e che ha condizionato i destini di innumerevoli subalterni.

Una narrazione che vede protagonisti Sholomo, Chaya, Aidan, Paddy: nomi dei membri di una famiglia che, generazione dopo generazione, percorre luoghi ed epoche, abita stamberghe poveramente arredate, conosce i mille volti dello sfruttamento capitalistico, del razzismo e della miseria, stringe in pugno la sensazione della vittoria e assapora l’amaro della sconfitta.

Persone nate e cresciute nel “tempo del disordine/quando la fame regnava” e che seppero battersi, riconoscendo il lato giusto della barricata ovunque si trovassero: dai ghetti ebraici della Russia zarista sconvolti dai pogrom agli scioperi di Lawrence del 1912, dall’Irlanda miserabile e coraggiosa conosciuta attraverso i racconti dei padri alla Spagna repubblicana dove migliaia di volontari accorrono a difendere il “sogno di una cosa”.

La fatica, le delusioni, gli entusiasmi e il dolore sono elementi che vengono pagina dopo pagina scandagliati nella loro dimensione più intima, senza mai scinderli da quel gigantesco assalto al cielo talvolta fallito e sconfitto ma “appena incominciato”, come avverte uno dei figli di Chaya la coraggiosa, mentre riannoda i fili della propria storia e fa pace con essa, in un giorno d’estate sotto i cieli di Madrid, in mezzo a uomini che fondono i loro idiomi in un’unica melodia e fanno sorgere da essa la lingua universale della dignità e del riscatto.

 

Venerdì, 25 Gennaio 2013 00:00

193 anni di Gabinetto Vieusseux

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Giovan Pietro Vieusseux inaugurò il suo Gabinetto scientifico letterario nella sede di Palazzo Buondelmonti in Piazza Santa Trinita il 25 gennaio 1820.

Egli fu un commerciante di origini ginevrine, nacque in Liguria, ad Oneglia, nel 1779, e passò buona parte della sua giovinezza in viaggi per l’Europa. Non era un uomo particolarmente erudito negli studi classici, ma sviluppò ben presto un forte interesse alla cultura e soprattutto al diffondersi di essa tramite la libera circolazione delle idee.

Tornato a Firenze dopo i suoi lunghi viaggi in Europa, denunciò la situazione culturale della città con queste parole: “io credevo che tanti anni di rivoluzioni avessero apportato sotto questo profilo, in Italia, qualche cambiamento favorevole e io mi sono molto scandalizzato l’altro giorno a Firenze di non trovare altro gabinetto letterario che una miserabile bottega che non riceve che due gazzette e non annovera che una dozzina di abbonati.”

Da questa mancanza di un gabinetto di lettura riscontrata dal Viesseux, nacque il Gabinetto fiorentino.

Mercoledì, 09 Gennaio 2013 00:00

Strage di Viareggio: nessun silenzio

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Se l’Italia fosse realmente una repubblica fondata sul lavoro molti problemi del paese sarebbero risolti. Chi lavora e lo riesce a fare con dignità sente il peso diretto delle responsabilità legate alle sue azioni. Questa è una delle lezioni di Viareggio, dove i ferrovieri e i familiari delle vittime si ritrovano uniti nel sostenere una battaglia che cerca verità e giustizia. Di questo parla lo spettacolo “Non c’è mai silenzio”, andato in scena a Firenze come prima nazionale, al Teatro Puccini, l’8 gennaio, grazie anche a Libera e all’ARCI. 

Lo sguardo del pubblico accoglie una scenografia essenziale, dove due figure si muovono con gesti semplici e lineari, come se per un’ora e mezzo si stesse assistendo allo scorrere di una scena di vita reale, fluida e priva di interruzioni. Dall’ottima interpretazione di Elisabetta Salvatori ci si lascia trasportare in un insieme di colori, odori e suoni (realizzati anche dalle non invadenti esecuzioni di Matteo Ceramelli): il tutto a trasmettere il senso di una strage che doveva essere evitata

Venerdì, 28 Dicembre 2012 00:00

Un vocabolario del vernacolo toscano

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"Le minacciose punte del palazzo/ che gettan l'ombra sopra il cupolone/ le mi sembran piramidi del cazzo/ tirate su da un rozzo faraone". Si tratta dell'inizio di un contrasto in ottava rima che, se foste passati venerdì 14 dicembre alle 17.30 nell´Area Libri della Coop di Novoli, avreste potuto ascoltare cantato come avrebbero fatto gli antichi improvvisatori, nella Toscana di un secolo fa.

Il testo però è più recente, scritto da Alessandro Bencistà, che proprio a Novoli presentava il suo nuovo "Vocabolario del vernacolo fiorentino e toscano" (Sarnus, pp. 192, euro 14), insieme all'attore Carlo Monni e alla cantante folk Lisetta Luchini. L'ottava rima, che siamo abituati a conoscere nella sua versione alta nelle realizzazioni poetiche di Poliziano, Boiardo, Ariosto e Tasso, è in realtà una forma di poesia che ha profonde radici nella tradizione popolare e vernacolare. Probilmente derivata da forme popolari come la lauda o la ballata, passando dalla tradizione dei cantari, è arrivata poi, tramite l'esempio illustre del Boccaccio, ad essere il metro principale della poesia narrativa rinascimentale.

Accanto alla tradizione letteriaria l'ottava rima è però nel tempo rimasta viva nella voce dei molti poeti improvvisatori che ancora nel novecento si potevano diffusamente sentire, sopratutto nell'Italia centrale. Nelle sue forme principali dello strambotto e del rispetto si può sentire ancora oggi, e ancora condivide con le antiche forme medievali alcune caratteristiche, come la tendenza all'anisosillabismo, all'assonanza, all'endecasillabo non canonico.

Proprio dall'ottava rima Bencistà ha cominciato la sua lunga esplorazione delle parlate vernacolari toscane, grazie a Gino Ceccherini ed Elio Piccardi. "Nel 1981 insegnavo all'istituto alberghiero" racconta "ed avevo in classe il nipote di Gino Ceccherini, poeta in ottava rima che aveva un banchino di lamette e schiuma da barba al mercato".

Nato nel 1904 a Rovezzano e scomparso nei primi anni ’80, a partire dagli anni sessanta il Ceccherini aveva iniziato, a sue spese, a incidere le sue ottave in 45 giri. E' l'inizio, per Bencistà, di una lunga esplorazione del vernacolo in ottava rima, e della ricerca di canti popolari spesso conservatisi intatti dall'inizio dell'ottocento: serenate, rispetti, stornelli mantenuti vivi dai "bernescanti", i poeti in ottava rima appunto, ai quali dedica un libro dal titolo omonimo nel 1994 ("I bernescanti: il contrasto in ottava rima e le tematiche attuali").

"Ho fatto ricerche in tutta la Toscana" dice Bencistà, "dalla Maremma all'isola d'Elba, dal lucchese all'appennino. E' la mia cultura, quella del mondo in cui sono cresciuto, ma dopo più di quarant'anni di insegnamento ho imparato anche molte parole nuove, anche parole dei giovani che sono stato attento a documentare". Il suo vocabolario appena uscito riporta migliaia di voci, da "abbacare" a "zuppa", utilizzate nelle diverse zone della regione, spiegate con esempi presi da opere celebri della letteratura, della musica e del folklore. "Ho raccolto dalle quattromila alle cinquemila voci utilizzando trenta dizionari toscani" dice. Il centro geografico e linguistico resta naturalmente Firenze, con la sua storia ricca di contatti e di influenze (da quelle medievali provenienti dai vernacoli dell'ovest ai calchi dall'inglese di oggi), ma anche le altre parlate toscane sono ben rappresentate ed indagate. Un' inestimabile ricchezza collettiva della memoria, che solo negli ultimi anni, nel mondo della globalizzazione, si è ricominciato ad apprezzare e a conoscere, e per il quale si è creato il termine di "patrimonio immateriale".

Alessandro Bencistà, classe 1941, ha fatto l'insegnante dal '64 al 2009. Nel 1996 ha fondato, insieme ad altri studiosi e interpreti del folklore toscano, il Centro Studi Tradizioni Popolari Toscane e il periodico «Toscana Folk» . Dopo molti anni passati ad occuparsi di arte, tradizioni popolari toscane, teatro e poesia in vernacolo, mettendo su anche un importante archivio, ci tiene a precisare la sua diversità di approccio: "Molti vocabolaristi e studiosi di tradizioni popolari scrivono interrogando" cercando un contatto con un mondo che non condividono e facendoselo raccontare davanti ad un registatore. "Io invece" dice Bencistà "non ho bisogno di interrogare il nonno, il contadino, la massaia... Perchè io sono il nonno, il contadino, la massaia".

Foto tratta da quotidiano.net

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