Umanistica e sociale

Umanistica e sociale

Seguendo la divisione accademica che attraversa il Paese raccogliamo qui il vasto ambito di materie comprese nelle definizioni di "scienze umanistiche" e "scienze sociali". Le persone, il loro vivere in società e tutto ciò che vi ruota attorno.

Immagine liberamente ripresa da wikimedia.org

Martedì, 14 Gennaio 2014 00:04

Sul dialogo tra Natoli e Foa

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"Pensavamo che la visibilità corrispondesse alla realtà.

Non calcolavamo come nel voto le masse di coloro che non partecipavano diventavano maggioranza"

[Vittorio Foa e Aldo Natoli]

Aldo Natoli nasce a Messina il 20 settembre del 1913. Ricopre incarichi all’interno del Partito Comunista Italiano ed è deputato dalla prima legislatura della Repubblica italiana. Tra le sue esperienze c’è quella di capogruppo nel comune di Roma e una stretta collaborazione con Longo, prima che quest’ultimo diventasse segretario del PCI, dopo la morte di Togliatti. Nel 1969 verrà espulso insieme al gruppo de il Manifesto, ma presto prenderà le distanze anche da questa realtà: «il modo in cui funzionava la redazione era praticamente del tutto arbitrario, del tutto soggetto agli umori, soprattutto, di Rossanda e un po' anche di Pintor». Muore l’8 novembre del 2010.

Vittorio Foa nasce a Torino il 18 settembre del 1910. Eletto deputato all’assemblea costituente con il Partito d’Azione, con lo scioglimento di quest’ultimo, passa al Partito Socialista Italiano. Ha un ruolo di primo piano nella Cgil di Di Vittorio, diventando segretario della Fiom nel 1955. Nel corso della seconda metà del ‘900 ha partecipato a diverse esperienze politiche (fra cui PSIUP, PdUP, Democrazia Proletaria), incrociando più volte il gruppo de il Manifesto e lo stesso Natoli. Nell’ultima parte della sua vita sostiene la nascita dei Democratici di Sinistra e del Partito Democratico. Muore il 20 ottobre del 2008.

Nel dicembre del 2013 Editori Riuniti ha dato alle stampe “Dialogo sull’antifascismo il PCI e l’Italia repubblicana”, che è un’intervista di Foa a Natoli (lunga circa 300 pagine) registrata con un magnetofono a cavallo tra il 1993 e il 1994. La scelta del titolo potrebbe dare l’idea di un testo in cui le due voci si confrontano alla pari, ma in realtà è una ricostruzione delle esperienze di Natoli alla luce della curiosità di Foa, la cui vita emerge solo parzialmente, a fronte di una più sistematica ricostruzione dell’intervistato.

Non c’è alcuna estemporaneità nel lungo dialogo, che sorvola sulle vicende di quel tempo e si concentra sulla prima metà del XX secolo: il fascismo, la clandestinità, il carcere, la Resistenza, la nascita della Repubblica, la svolta di Salerno, i primi governi democratici, la repressione dei comunisti da parte dei governi democristiani, il primo centrosinistra italiano, la morte di Stalin, la morte di Togliatti, il Vietnam, l’espulsione del gruppo de il Manifesto e nella parte finale una breve riflessione sulla rivoluzione culturale di Mao. Su questo ultimo passaggio termina il libro, che più che chiudersi si interrompe. Resta la sensazione di aver solo sfiorato la profondità di due esperienze storiche che hanno attraversato attivamente la storia d’Italia, fuori dalle ricostruzioni schematiche e dalle semplificazioni.

Ingrao appare come una figura che affiancò Natoli nella nascita di una corrente di sinistra all’interno del PCI, dopo la morte di Togliatti, in risposta alle proposte della destra di Amendola. Rispetto a questi protagonisti del comunismo italiano, che avrebbero fatto scelte completamente diverse da quelle dei conversanti, non c’è alcun elemento polemico, nessun rancore. Non è un libro che ricostruisce gli eventi, dando giudizi sul passato. Si tratta di un interrogare se stessi sulle scelte fatte negli anni in cui andava definendosi la vita democratica della giovane Italia antifascista. Non si tratta neanche però di una riflessione astratta sul senso del fare politica. Quindi rispetto al carteggio tra Ingrao e Bettini, iniziato quasi negli stessi anni (1992) il livello della discussione è completamente diverso (come la natura del dialogo, articolato e intenso, ma concentrato in pochi mesi). Foa accompagna Natoli in una sorta di autobiografia critica sulle scelte di quest’ultimo negli anni ’50 e ’60, attraverso una più distaccata ricostruzione degli anni ’30 e ’40. I due appartengono a una generazione cresciuta all’interno del fascismo, “che non conosceva la democrazia”. Nel dialogo i primi anni di vita vengono considerati con lucidità ed una sincerità che lascia disorientati, per chi è cresciuto con i livelli dei confronti politici italiani del XXI secolo. Un esempio su tutti è il riconoscimento del trattamento privilegiato che viene loro riservato in carcere: «c'era una linea di classe nella polizia. […] Se uno era della borghesia lo rispettavano».

In tempi di anticomunismo da bancone del bar appare provocatoria la serenità con cui Natoli argomenta con lucidità il suo allontanamento dal Partito Comunista Italiano (e dal blocco sovietico). Anche qui nessun giudizio. Solo ricostruzione dei ragionamenti dell'epoca, senza negare i limiti soggettivi e senza sconfessare o rimpiangere niente.

La ricerca della verità come metodo rivoluzionario: assistere a questo dialogo riesce a relativizzare la dimensione del presente in un contesto storico più ampio. Una sorta di riscatto rispetto al pensiero unico che oggi porta anche la sinistra radicale ad essere subalterna anche da un punto di vista culturale.

Natoli e Foa sono distanti dalle esperienze del socialismo reale, ma anche i loro percorsi sono stati travolti dalle macerie del muro di Berlino. Sarebbe interessante arrivare a capire come abbia fatto il già segretario della Fiom a sostenere la guerra del Golfo del 1992.

Alla fine del libro sono riprodotte una serie di foto dei due autori. In una c'è la funzione del matrimonio tra Clio e Giorgio Napolitano, celebrata da Natoli. Lo stesso Napolitano che ha firmato la prefazione di un recente libro su Amendola. I ruoli che i protagonisti della prima repubblica hanno avuto nella seconda e le ultime scelte che alcuni di loro hanno fatto meriterebbe un'analisi attenta e complessiva.

Lo scorcio offerto dal Dialogo si limita però ad un periodo ben determinato, forse quello che i due riescono a ricostruire con maggiore serenità. Sono tanti gli spunti su cui riflettere, fra cui la reazione del PCI e della Cgil all’affacciarsi di una nuova generazione di operai comuni (diversi da quelli professionalizzati), che avrebbero scosso i meccanismi della rappresentanza, poi ulteriormente provati anche dal movimento studentesco e dall’emergere di numerose sigle extraparlamentari. Resta però la testimonianza di due antifascisti cresciuti nell’Italia fascista, il punto di vista parziale ma sincero di chi non costringe a leggere tra le righe, evitando rimpianti o rivendicazioni.

Il Dialogo sull’antifascismo di Foa e Natoli dovrebbe diventare un pezzo fondamentale nella formazione delle nuove generazioni, che però rischiano di non trovare il tempo di informarsi su chi fossero Togliatti e Secchia, troppo impegnate a seguire i tweet di Renzi o gli spettacoli di Grillo. Perché il nemico di classe ha vinto e la sconfitta dei comunisti italiani continua a travolgere ogni tentativo di ricostruzione. Prendersi il tempo e lo spazio per respirare l'aria del Dialogo è un modo per rivendicare e difendere la Costituzione scritta dalla Resistenza. Un'esperienza che fa bene alla mente e al cuore.

"Non si può costruire un'organizzazione se tu non dai un indirizzo politico generale, se tu non cerchi di formare un nucleo abbastanza grande di quadri convinti".

"La cancellazione è un modo di annientare i problemi o di impedire che sorgano, la gente semplifica la propria coscienza in questa maniera".

[Aldo Natoli]

Si consiglia la lettura anche dell'articolo di Alessandro Portelli da "il Manifesto" del 27 dicembre 2013, rintracciabile anche cliccando qui

Domenica, 29 Dicembre 2013 00:00

Sul carteggio tra Bettini e Ingrao

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Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili. [Pietro Ingrao]

 

«Un sentimento tenace. Riflessioni sulla politica e sul senso dell'umano» è un breve carteggio tra Goffredo Bettini e Pietro Ingrao pubblicato per le edizioni Imprimatur. Il titolo è assolutamente appropriato, dato che coinvolge le ragioni profonde del far politica.

Novembre 1918.

Sono gli ultimi giorni di guerra, i soldati tedeschi muoiono a grappoli sotto i gas e le bombe inglesi nelle Fiandre. Si prepara la pace di Versailles: l’imperatore Guglielmo II e Max von Baden, il cancelliere, stanno trattando con gli alleati.

Da mesi la capitale Berlino è sconvolta dalle proteste lanciate dallo Spartakus-Bund, la principale formazione comunista tedesca scissasi nel 1914 dai socialdemocratici della SPD.

Lo Spartakus invoca l’immediata fine della guerra e una riforma radicale di stampo socialista nel Reich, e in città scoppiano disordini.

Non sono poche le figure dimenticate dalla sinistra, nonostante l'esemplarità della loro vita. Una di queste è senza dubbio quella di Eugenio Curiel: antifascista, comunista, giornalista, fisico nucleare di famiglia ebrea. Figura carismatica ed affascinante che è stata raccontata nell'ultimo lavoro di Gianni Fresu, Eugenio Curiel – Il lungo viaggio contro il fascismo (Odradek, 2013).

Il libro è stato presentato a Firenze mercoledì 11 dicembre, alla presenza dell'autore e dello storico Alexander Höbel. Durante la serata è stata ripercorsa la la vita straordinariamente appassionante di Curiel: l'infanzia trascorsa immerso negli stimoli culturali che una famiglia di intellettuali poteva fornire, l'università e la connessa attività all'interno dei GUF, la maturazione dell'inevitabilità della lotta armata contro il fascismo. 

Domenica, 15 Dicembre 2013 00:00

Fuochi oltre il ponte

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Le storiche barricate antifasciste del '22, il respingimento di Italo Balbo (che come recita una popolare scritta sul lungoparma ha passato l'Atlantico ma non il torrente che divide “Parma vecchia” da “Parma nuova”) sono una pagina nota a molti, magari spesso per sommi capi, ma comunque uno degli elementi che caratterizzano la storia della città emiliana nell'immaginario collettivo.
Ciò che a quasi tutti è invece poco noto è il “prima”: la lunga storia di conflitti sociali, tumulti annonari, rivolte e scioperi che hanno coinvolto per decenni la parte più povera dei parmigiani.
Il libro “Fuochi oltre il ponte. Rivolte e conflitti sociali a Parma (1868-1915)” (DeriveApprodi, 2013, p. 340, € 20,00) introduce il lettore alla conoscenza di un quartiere complesso, di una situazione sociale spesso schiacciata nel racconto che se ne fa oggi da innumerevoli semplificazioni. Per capire meglio questa affascinante storia – oltre a consigliarvi la lettura del libro – abbiamo intervistato l'autrice Margherita Becchetti.

 

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