Seguendo la divisione accademica che attraversa il Paese raccogliamo qui il vasto ambito di materie comprese nelle definizioni di "scienze umanistiche" e "scienze sociali". Le persone, il loro vivere in società e tutto ciò che vi ruota attorno.
Immagine liberamente ripresa da wikimedia.org
Jacques Le Goff, nato nel 1924, ci ha lasciati pochi giorni fa, alla veneranda età di 90 anni. Il lavoro che ha svolto è stato della massima importanza per quanto riguarda gli studi sul Medioevo e sulla disciplina storica in generale.
Uno dei meriti di Le Goff, appartenente alla terza generazione della corrente di studi chiamata la Scuola delle Annales (dalla rivista Les Annales, fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre), è stato quello di essere un grande divulgatore: ha reso il Medioevo un argomento "di successo", e accessibile a tutti. I suoi testi sono di piacevole lettura, pur affrontando temi storiografici di notevole peso.
Colui che non si può esprimere con la parola, ma grazie al quale la parola è espressa ecco: è il Brahman; e non ciò che qui si venera come tale.
Colui che non si pensa col pensiero, ma grazie al quale il pensiero è stato pensato, ecco: è il Brahman; e non ciò che si venera come tale.
Colui che non si vede con lo sguardo, ma grazie al quale gli sguardi vedono, ecco: è il Brahman; non ciò che si venera come tale.
Kena Upanisad
Tra gli interessanti incontri che si sono susseguiti all’Auditorium Stensen, che fanno parte del percorso “Soma-Psiche-Pneuma – corpo, anima, spirito”, sabato 29 marzo è toccato a Francesco Sferra accompagnarci nelle regioni dell’intraumano, affascinanti ma complesse, nella concezione buddista.
Sferra, professore di sanscrito all’Università Oriente di Napoli, curatore de “La rivelazione del Buddha” e direttore della raccolta “Manoscripta buddica” (lavoro di filologia e recupero di manoscritti antichi), introdotto dal professor Federico Squarcini ha scandagliato appunto il mondo “intra menia”, dentro di noi, in quella (o meglio quelle) che sono le tradizioni buddiste, di cui molto spesso, abbiamo un’idea un po’troppo semplificata.
Articolo di Daniele Coltrinari e foto di Luca Onesti, sosteniamopereira.blogspot.it
Antonio Tabucchi non l'ho mai conosciuto, non ho avuto questa fortuna, questo privilegio, a differenza di tante persone che sono state presenti all'anniversario a due anni dalla sua morte.
È stato un evento che si è svolto lo scorso 25 marzo, presso L'Istituto italiano di cultura di Lisbona. Un Istituto che conosco da tempo e che, oltre alle attività che svolge quotidianamente, propone mensilmente eventi, conferenze e dibattiti di ottimo livello. Faccio questa premessa in modo che nessuno possa strumentalizzare quello che sto per scrivere: chissà se Tabucchi non sarebbe dispiaciuto della poca presenza “giovanile” durante il suo secondo anniversario.
Via dei Conciatori è una stretta strada dietro alla più conosciuta piazza Santa Croce. La prima volta che ci sono andato avevo 17 anni, era l’estate del 2006. Tentai di iscrivermi a Rifondazione Comunista. Senza successo. Avrei dovuto aspettare il dicembre dello stesso anno.
Nel 2012 sono stati sgomberati i locali occupati 32 anni prima da Democrazia Proletaria e dai marxisti leninisti, di cui faceva parte Andrea Montagni.
Ho sempre vissuto quelle stanze in modo negativo, attraversate da continui litigi e da una fase discendente, che è passata per la Sinistra l'Arcobaleno e dura ancora oggi.
Nel libro “Le cinque bandiere” ricorrono costantemente protagonisti e luoghi (o eventi) che richiamano l'oggi.
Cercando la definizione di simbolo su un qualsiasi vocabolario di lingua italiana, il risultato sarà più o meno il seguente: “Elemento concreto a cui si attribuisce la possibilità di evocare un valore più ampio rispetto a quello che normalmente rappresenta”. Contestualizzando l'argomento nell'ambito della politica, emerge sin da subito la difficoltà nell'analizzare la complessa storia del simbolismo partitico. Sebbene la definizione di simbolo succitata si adatti perfettamente alla natura dell'iconografia politica, quella dei simboli dei partiti è una storia tortuosa e ricca di spunti per un dibattito non solo politico e sociologico ma persino antropologico.
Non fare filosofia per scherzo, ma sul serio; perché non abbiamo bisogno di apparire sani ma piuttosto di esserlo veramente.
Epicuro
Esatto. La filosofia non è uno scherzo, non è un passatempo per oziosi intellettualoidi che si divertono in malo modo perdendosi in sillogismi, ragionamenti, saggi e fenomenologie dello spirito. Forse tra gli amanti della filosofia ci sono anche costoro, ma la filosofia in sé è qualcosa di più. La stessa etimologia ce lo insegna: il termine infatti è di origine greca ed è l’unione di due parole, φιλος dal verbo φιλεĩν che significa amare e dalla parola σοφίɑ che vuol dire sapienza. Quindi filosofia vuol dire amore per la sapienza e filosofo è colui, appunto, che ama o è amico del sapere, della saggezza. Non è il saggio o il sapiente, non necessariamente, ma colui che tende, aspira alla saggezza o alla sapienza perché la ama. Non è una pratica elitaria da intellettualoidi che si divertono a mandare in tilt le teste dei “profani” con i loro sofismi labirintici e i loro sillogismi logici. O comunque, può anche esserci chi ne fa questo uso, ma non è esso quello più importante e necessario. La filosofia, come qualsiasi attività che mette in gioco le nostre capacità di ragionamento, di critica, che permette di fare un po’ di ginnastica al cervello, che ci misura con idee e autori che ci hanno preceduto o che ci accompagnano tutt’ora, che ci incanta con la portata del loro lume o con la bellezza della loro scrittura, ci aiuta a pensare, ci apre la mente, o ci riempie gli occhi (nel caso dell’arte per esempio).
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