Alessandro Zabban

Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

La nuova regina dell'avanguardia pop: Julia Holter e il suo ultimo capolavoro

Che fossimo in presenza di una artista di grande spessore, lo si era capito fin dai lavori precedenti della losangelina Julia Holter. Dischi come Ekstasis (2012) e Loud City Song (2013), mostravano già la sbalorditiva abilità compositiva di una delle più grandi personalità del pop avanguardistico degli ultimi anni.

L'ennesima conferma arriva con Have You in My Wilderness (2015), l'album della definitiva consacrazione artistica e fondamentale punto di svolta nella sua produzione musicale. Si tratta infatti di un disco, che senza rinunciare a costruire impalcature strumentali complesse e avanguardistiche, prova a diradare le impenetrabili nubi esoteriche e le pesanti e labirintiche formule musicali degli esordi, per giungere a un cantautorato più dinamico ed accessibile.

La notte del dramma peronista: in Argentina a imporsi è la destra

Senza mezze misure i titoli dei principali quotidiani argentini il giorno successivo alle elezioni generali: si parla di "notte che ha cambiato la politica argentina", di "impatto enorme ed eclatante" di "fine della leggenda del kirchnerismo invincibile". Commenti a caldo che però enfatizzano un cambiamento storico che lunedì 25 ottobre scorso è stato persino più travolgente delle aspettative. Ci si attendeva infatti che la coalizione della Presidenta Cristina Kirchner uscisse ridimensionata dalla contesa elettorale, dato che l'impossibilità costituzionale per la pasionaria argentina di ricandidarsi, aveva inevitabilmente indebolito la sua coalizione di forze peroniste di sinistra "Fronte Per la Vittoria", ma in pochi - a cominciare dai sondaggisti e dagli analisti politici - si aspettavano una tale debacle.

Verso l'era post Kirchner: la politica argentina alla vigilia delle elezioni generali

Chiunque vinca, la sinistra perderà. Sembra essere questa la triste prospettiva con cui si aprirà l'era post Kirchner dopo che le elezioni generali del 25 ottobre eleggeranno tanto il nuovo Presidente quanto il nuovo Parlamento argentino.

Sono molti, a ragione, a parlare di un cambiamento epocale, un cambiamento anticipato dalla sconfitta politica delle Kirchner che non ha trovato in Parlamento i numeri necessari per modificare la costituzione e poter così aspirare a candidarsi per la terza volta a Presidente della Repubblica Argentina.
Sullo sfondo il caos del Partito Giustizialista della Presidenta, la dura lotta per la successione, le diatribe interne. All'interno della coalizione Kirchneriana, a prevalere è infine l'eterodosso

Il pensiero di Althusser II: Antiumanesimo teoretico

A partire dalla seconda metà del Novecento il paradigma umanista, che ha dominato l’orizzonte culturale del mondo occidentale lungo tutta l’età moderna, è entrato in una crisi profonda che riflette una insoddisfazione crescente nei confronti della presunzione degli approcci di matrice cartesiana di porre l’essere umano al centro di ogni riflessione filosofica.

Non solo eventi storici dalla portata devastante come le guerre mondiali, i genocidi di massa, la corsa agli armamenti e la conseguente minaccia di distruzione atomica, ma anche radicali trasformazioni sociali ed economiche che hanno visto l’esaurirsi del sistema di produzione fordista, in un contesto di globalizzazione e di crescita delle disuguaglianze sia all’interno dei paesi industrializzati che fra paesi del sud e del nord del mondo, hanno contribuito a mettere profondamente in discussione l’ottimismo che ha contrassegnato quello che Habermas ha definito "il progetto della modernità". Alla prova dei fatti, la concezione che ha interpretato l’uomo come autonomo ordinatore della realtà, come il protagonista razionale e il deus ex machina di un processo storico, di una marcia trionfale di crescita e progresso tecnico che lo avrebbe condotto all’emancipazione e alla felicità assoluta, ha dimostrato tutta la sua inconsistenza.

È in questo clima di forte insofferenza verso gli insegnamenti tradizionali che comincerà a diffondersi, soprattutto in Francia, sia nell'ambito filosofico che delle scienze sociali, l'approccio strutturalista. Facendosi interpreti del disagio nei confronti della filosofia tradizionale, alcuni dei suoi principali esponenti quali Lévi-Strauss, Foucault, Lacan e Althusser sono riusciti nella sfida di coniugare l’insegnamento dei maestri Marx, Freud e Nietzsche, attenti nel descrivere le forze latenti che determinano il comportamento umano, con gli impulsi formalisti che provenivano dalla linguistica di Saussure, portando così a compimento un percorso teorico particolarmente fecondo di messa in discussione del concetto di uomo e di soggetto così come concepito dalla filosofia tradizionale, da Cartesio in poi.
Le riflessioni teoriche di questi autori tendano a minare profondamente l’immagine predominante dell’uomo che si è imposto nella modernità: se nel pensiero umanista l’essere umano è concepito come libero, capace di iniziativa e di apportare il cambiamento con la ragione, inserito in un flusso temporale costante che lo rivolge verso il progresso e la certezza di un futuro migliore, nell’ottica strutturalista è invece interpretato come profondamente determinato da elementi esterni e latenti in un contesto in cui le sue azioni si traducono nella continua riproduzione della realtà, ordinata, senza tempo e uguale a se stessa.

L'apporto specifico di Althusser alla critica antiumanista è di fondamentale importanza, tanto per la sua capacità di contribuire in maniera feconda alla riflessione strutturalista, quanto per quella di aggiornare il pensiero neomarxista di Gramsci e Lukács al contesto del dopoguerra e del pieno sviluppo della società fordista.
In primo luogo, l’obiettivo dichiarato di Althusser era quello di confutare la concezione del marxismo umanista secondo cui il pensiero dell’autore de "Il Manifesto" vada interpretato come una dottrina politica della libertà in cui viene enfatizzato il ruolo attivo e creativo di donne e uomini nel cambiare il mondo e rompere le catene dell’oppressione dello sfruttamento capitalista.

Secondo Althusser la teoria marxista è innanzi tutto una analisi scientifica della fase di dominazione capitalistica e non un pamphlet moralizzante. In quest'ottica, l'oggettività dell'impresa scientifica richiede uno studio rigoroso del sistema capitalistico e della società borghese, avulso da ogni forma di ideologia, soprattutto quella umanista. Porre al centro l'essere umano, e attribuirgli caratteristiche innate di razionalità, autonomia e coscienza, come fa la filosofia umanista, è una grave distorsione che impedisce una lettura della realtà estranea agli interessi di parte.

L'antiumanismo teoretico di Althusser è dunque innanzitutto questo: l'invito a studiare la realtà sociale considerando l'essere umano come uno degli elementi che la caratterizzano ma non come il centro da cui dipende tutto, il deus ex machina che ordina il mondo.
Seguendo la scia di Spinoza, Althusser riconduce alla categoria di ideologia anche il soggetto stesso, interpretato come una illusione del tutto immaginaria. Il Marx del Capitale, secondo Althusser, si libera dell’umanesimo e di un modo di filosofare incentrato sul soggetto per ridurlo, alla stregua di Spinoza, a mera ideologia che come tale deve essere espulsa da ogni teorizzazione scientifica. Questo sforzo è ravvisato da Althusser negli scritti di Marx dal 1845 in poi in cui il filosofo tedesco «rifiutando l’essenza dell’uomo come fondamento teorico […] bandisce le categorie filosofiche di soggetto, empirismo, essenza ideale ecc. da tutti i campi in cui regnavano» e, riconducendo l’umanesimo alla sua funzione pratica di ideologia, apre la strada a una conoscenza scientifica del mondo umano.

Spostare l'attenzione dagli uomini o gruppi sociali, per concentrarsi sui già dati rapporti di produzione che distribuiscono meccanicamente i ruoli e le funzioni che gli uomini ricoprono nella loro vita quotidiana, implica ripensare non solo la centralità del soggetto ma anche smantellare i presupposti di coscienza e autonomia che gli sono sempre stati attribuiti.
La libertà in questo frangente va vista come è una condizione di possibilità del sistema, non come una attribuzione o una caratteristica posseduta intrinsecamente dagli esseri umani. Questi ultimi, o le classi sociali nelle quali sono inseriti, non sono i soggetti della storia ma semplicemente dei portatori o supporti (Träger) dei rapporti di produzione. Fra le più importanti conseguenze di questa interpretazione sta una visione dell’individuo che, contrariamente a qualsiasi concezione filosofica legata all’umanismo, sia essa di matrice illuminista che socialista, non ha alcun peso nel determinare la storia, ma si limita semplicemente a riprodurre il compito che gli viene assegnato. Il cambiamento sociale, la rivoluzione non ha a che fare con l'azione illuminata di alcuni soggetti ma è una mera possibilità, peraltro intrinsecamente aleatoria, derivante da particolari e favorevoli situazioni strutturali come quella della Russia degli inizi del Novecento. Se il motore della storia è la lotta di classe, quest’ultima non ha nulla a che fare con la libera iniziativa degli individui che acquisiscono coscienza della loro condizione, piuttosto è l’esito dell’influenza reciproca fra le varie sfere della società all’interno della struttura. Non essendo il demiurgo della storia ma piuttosto subendone gli avvenimenti, l’essere umano subisce un radicale decentramento rispetto al centro della conoscenza e della realtà, ruolo al quale l’umanismo lo aveva eretto.

Ma questo “antiumanismo teoretico”, pur decentrando in maniera radicale e riducendo a mero meccanismo l’essere umano e rifiutando di considerarlo l’unità di analisi privilegiata di qualsiasi discorso scientifico, non rompe in maniera decisiva con il progetto illuminista e modernista di una conoscenza oggettiva che si erga a baluardo nei confronti di tutti i tentativi mistificativi delle forme di oscurantismo ideologico che riproducono le disuguaglianze sociali.
Certo, come ammette lo stesso Althusser, non è facile essere marxisti in filosofia, non è facile armonizzare la contrapposizione fra il pensiero scientifico e quello ideologico, ma è da questa distinzione che occorre partire per evitare che la critica al positivismo, all’umanesimo, allo storicismo, al razionalismo cartesiano non si riduca a mero nichilismo. Solo una critica teoretica, rivolta ai fondamenti della concezione umanista della filosofia occidentale, può, mettendo da parte ogni connotazione moralista, far comprendere quale è il posto dell’uomo nel mondo: ciò significa a un tempo rimarcare la sua mancanza di libertà rispetto alle regole strutturali che lo avvolgono ma, allo stesso tempo, permette di liberarlo dalla fallacia ideologica nel quale è stato rilegato dalla concezione umanista.

Sebbene ad oggi l'enfasi posta da Althusser sulle forme di dominazione a cui si deve piegare l'uomo, incapace di generare cambiamento in quanto inserito in ruoli che ripete all'infinito, appaia eccessiva e troppo sminuente nei confronti della capacità dell'uomo di promuovere il cambiamento, non deve sfuggire l'intento di Althusser che non è tanto quello di negare la possibilità che l'essere umano apporti un contributo per determinare la sua liberazione, quanto quello di liberare l'uomo dalla presunzione di pensare di essere al centro dell'universo. L'idea borghese dell'uomo così come teorizzata da Cartesio fino a Kant, come vedremo quando Althusser ci parlerà degli Apparati Ideologici di Stato, è un meccanismo di dominazione perché nel farci credere di essere soggetti liberi e già autonomi, distrugge lo spirito critico e rende docili: immaginandosi come soggetti già intrinsecamente votati alla libertà, diventa meno lucida la nostra capacità di comprendere che in realtà siamo assoggettati a una forma di dominazione sottile che facendoci credere di essere liberi, genera in realtà consenso e riproduce lo status quo.

Ecco allora che appare chiaro l'obiettivo di Althusser: resistere all'umanesimo in quanto strumento ideologico funzionale al capitale, analizzare il capitalismo per quello che è, ovvero un sistema di sfruttamento, non dovuto alla "cattiveria" della classe dominante, ma legato a elementi strutturali come la proprietà dei mezzi di produzione e la presenza di rapporti di produzione. Solo rimanendo ancorati all'analisi scientifica ci si può permettere di sfuggire alla trappola ideologica di considerare l'uomo come razionale demiurgo della propria libertà e si può aprire le strade al vero cambiamento sistemico.

Il Pensiero di Althusser I: il futuro dura per sempre

In occasione del venticinquennale dalla morte del filosofo francese Louis Althusser, avvenuta il 22 Ottobre 1990, proponiamo una serie di contributi sul suo articolato e complesso pensiero

Sono ad oggi pochi a ricordare Louis Althusser. Così influente negli anni sessanta del Novecento, la sua articolata opera filosofica è oggi per lo più caduta nell'oblio. Ma c'è ancora molto di attuale nel pensiero di questo filosofo francese che ha avuto il merito di applicare in maniera rigorosa e coerente le novità dell'approccio strutturalista entro la teoria marxista del suo tempo.
Intellettuale di spicco del Partito Comunista Francese, Althusser diventa ben presto celebre per la sua lettura originale del pensiero marxiano, una rilettura antiumanista e antistoricista lontana dalle visioni moraliste del marxismo molto in voga fino a qualche anno prima negli ambienti intellettuali francesi. In questo primo articolo ci occuperemo proprio della lettura antiteleologica del Capitale da parte del filosofo francese.

Narcotiche istantanee noir: il nuovo volto di Lana del Rey

Nemmeno il tempo di riprendersi dallo shock di Ultraviolence (2014), l'album che l'anno scorso aveva sancito una netta rottura rispetto a quella devastante macchina da hit radiofoniche che è stato il - pur a suo modo interessante - celeberrimo Born to Die (2012), che Lana del Rey è di nuovo in pista. Affievolita la luce dei riflettori sulla sua persona, la diva antidiva per eccellenza, si spinge ancora di più su terreni dilatati e narcotici di un dream pop sofisticato ed estetizzante. Su Honeymoon (2015) c'è la definitiva presa di distanze dal suo recente passato di pop star, confermando l'intenzione della Del Rey di proseguire un percorso verso territori, sempre affini al pop, ma molto più impervi e complessi di quelli degli esordi.

Un abisso è riaperto: il ritorno della dark lady Chelsea Wolfe

L'abisso di Chelsea Wolfe è quello dei suoi disturbi del sonno, che la affliggono sin da bambina e che riaffiorano, nonostante i tentativi di esorcizzarli, nel crescendo di inquietudine e tensione emotiva del suo ultimo album, il più oscuro e spigoloso della sua carriera. La trentunenne cantautrice californiana Chelsea Joy Wolfe raggiunge con questo Abyss (2015) l'apice estetizzante del suo neo-folk apocalittico: mai la sua proposta musicale è stata tanto elaborata e ricca delle più variegate suggestioni. I battiti dispari, le chitarre metalliche, le cacofonie industriali, i droni funerei, concorrono a creare un ibrido musicale avvolgente e inquietante, un costrutto melodico pieno di sfumature e sovrapposizioni.

Molto più dark e rumoristico, quest'ultimo lavoro, conferma la Wolfe come regina del gotico underground contemporaneo. Rispetto all'altra lady oscura Zola Jesus, che ha recentemente fatto virare la sua interessantissima proposta musicale verso terreni più pop e commerciali, la Wolfe cambia senza snaturarsi, anzi facendo del decadente e dell'occulto uno stile personale al confine fra più generi. Se il doom folk è ancora elemento strutturale delle sue sempre più articolate composizioni, regnando sovrano nelle desolanti ballate di "Crazy Love" (che si colloca sui terreni nervosi e scarni di Lisa Germano ma con quel pathos sognante e impenetrabile di Marissa Nadler) o di "Simple Death" (elegantissima, nebbiosa ninnananna per sampling minimalista), il resto si immerge in una soffocante marcia verso il cuore di tenebra.

La protesta reazionaria dei camionisti cileni e la minaccia ai diritti indigeni

A vedere le immagini di camionisti cileni che bloccano le arterie di comunicazione che portano alla capitale Santiago, corre un brivido lungo la schiena. La situazione storica e politica è fortunatamente molto diversa da quella del golpe del '73, ma allora come adesso, il tentativo è quello della destabilizzazione politica in senso reazionario del Paese Sudamericano. Come l'ha definito il quotidiano comunista El siglo, si tratta infatti di un "golpetto destabilizzante" volto a creare ulteriori preoccupazioni al già debole esecutivo a guida socialista.

I proprietari di camion che hanno nei giorni scorsi creato enormi disagi al trasporto e alla mobilità del paese, hanno giovedì raggiunto l'apice della loro azione sovversiva, riuscendo a raggiungere il centro della capitale Santiago, dopo che le autorità hanno ceduto alla loro richiesta di passare di fronte a La Moneda, il palazzo del Presidente della Repubblica. Solo la presenza di una contromanifestazione delle forze della sinistra, ha obbligato il movimento di protesta dei camionisti a transitare rapidamente per le vie del cuore politico di Santiago, senza poterle occupare.

L'incanto dell'astrazione pura: il ritorno dei Beach House

"Come un quadro espressionista astratto di un sole sbiadito" è la felice definizione che il Guardian ha dato riferendosi all'ultimo lavoro del duo composto da Victoria Legrand e Alex Scally, in arte Beach House. Disponibile già in ascolto streaming in rete, ma in uscita il 28 agosto, Depression Cherry è una delle novità discografiche più attese in ambito indie di tutto il 2015. Del resto il gruppo di Baltimora non ha mai sbagliato un colpo, scolpendo con dovizia di particolari un proprio solido approccio indie pop per poi proseguire per piccoli aggiustamenti successivi volti a levigare le leggere imperfezioni che hanno ben presto portato alla maturità compositiva ed espressiva di gioiellini come Teen Dream (2010) e Bloom (2012). Ma è su questo Depression Cherry che si vogliono tirare le somme di un certosino lavoro di perfezionamento: l'album non è probabilmente il capolavoro della loro discografia, ma è sicuramente il momento dialettico della loro sintesi artistica, in cui tutti gli elementi del passato, trovano in queste 9 tracce il loro posto ordinato.

Martedì, 18 Agosto 2015 00:00

La fine del sogno cosmopolita dell'Europa

La fine del sogno cosmopolita dell'Europa

C'era una volta chi professava l'idea che l'Europa fosse lanciata verso la costruzione di una forma sovra-nazionale di cosmopolitismo democratico. Si adduceva a sostegno di questa tesi che il progetto di integrazione europea fosse fondato sulla libera scelta di adesione dei suoi membri e tramite modalità che, per loro natura, implicavano forme di rispetto dell'alterità e riconoscimento reciproco delle differenze. Ulrich Beck ed Edgar Grande, nel loro "L'Europa Cosmopolita" (2006) partono dalla rivisitazione del concetto politico di impero, con l'intento di applicarlo nella spiegazione delle dinamiche contemporanee dell'Unione Europea. Rispetto agli Stati Nazionali le cui logiche l'Unione vuole superare, l'impero è una categoria politica che si addice maggiormente all'Europa in quanto si caratterizza, fra le altre cose, per la diversità socio-culturale, per un ordine della sovranità asimmetrico (centro/periferia, paesi membri con diversi status) e per disporre di confini flessibili e aperti, dato che a muovere l'impero è la logica della espansione illimitata. Diversamente però dalle forme imperiali tradizionali, "questo impero europeo non è legato (come gli imperi del XIX secolo) all'innalzamento dei confini e alla conquista, ma alla caduta dei confini nazionali, alla libera volontà, al consenso", cioè a un'espansione democratica e basata sulla libera volontà di adesione di chi ne vuol far parte.

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