I film della settimana, le serie televisive e tutto ciò che riguarda l'arte dello schermo (piccolo o grande che sia), senza disdegnare le arti del videogioco.
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Minuscola premessa: il film è godibile e non rimpiango i soldi del biglietto, ma...
C'è stata una virata brusca e in sala se ne sono accorti tutti.
Se nel primo capitolo Jackson era riuscito a catturare il cuore dei lettori de Lo Hobbit E ANCHE quello del pubblico occasionale, stavolta ha tradito proprio noi lettori che tenevamo di più a questa trasposizione cinematografica, i nerd, i Tolkeniani (quelli di ferro avevano già storto il naso con "Un viaggio inaspettato"). Lo hobbit è un blockbuster, un film per tutti, ed è proprio questa la cosa imperdonabile. Ci ha fatto sentire omologati, conformisti ed è la cosa che odiamo di più al mondo.
The odds are NEVER in our favour – la sorte non è mai a nostro favore: questa è la consapevolezza che caratterizza lo scenario su cui si apre Catching Fire – "La ragazza di fuoco", secondo capitolo della trilogia distopica iniziata con The Hunger Games.
L'asservimento dei dodici distretti alla capitale, le contraddizioni di una società rigidamente gerarchizzata, la straniante crudeltà della "mietitura" e dei "giochi della fame" non sono una novità; ma, da quando Katniss ha raggirato gli strateghi dimostrando che Capitol City può essere battuta, il germe della ribellione va diffondendosi per Panem (proprio da "panem et circenses"…). Il film spende la maggior parte della sua durata nel raccontare il crescendo di tensione, la messa in dubbio di certezze forse non così adamantine, il contrasto sempre più stridente tra la vita reale e quella confezionata dai media, accompagnando l'insinuarsi del senso di disagio fino ai bagliori di Capitol City.
Piccolo gioiello della 70° mostra del cinema di Venezia, “L’arte della felicità”, primo lungometraggio di Alessandro Rak, riunisce in sé la visionarietà del cinema di animazione e la drammaticità di un film per adulti. L’opera nasce da un’idea di Luciano Stella che ne è anche il produttore, il quale si impegna da nove anni nell’organizzazione di un festival che porta lo stesso nome del titolo del film, in cui si incontrano personaggi che discutono sul complesso tema della felicità. Proprio da questi scambi nasce l’idea del film.
Andare al cinema a Firenze “quando gioca la viola” garantisce la sala quasi vuota.
Tolta la coppia di giovani che devono chiaccherare tutto il film, spalare nel bidone di poc corn con i rumori di un escavatore, giocare con le chiavi se hanno esaurito gli argomenti e il cibo.
Resta una sala quasi desolata, un trailer che promette poca azione, 146 minuti di durata e un padre nostro in apertura con telecamera fissa sul bosco.
Aiuto, penso, la persona che ho convinto a vedere questo film si è annoiata durante Batman. Dopo il film mi picchierà.
Invece, per usare una metafora alta, ci si sente come nel secondo Indiana Jones, quando l’indiano (vero, non d’America) infila la mano dentro le viscere delle vittime sacrificali.
Chiunque abbia letto il libro ha passato qualche ora insonne dopo aver saputo che da Il gioco di Ender stavano tirando fuori un film. Si tratta di una storia che si sviluppa in modo consistente anche nella mente del protagonista, di un percorso di formazione che si trasforma in riflessione complessiva sul genere umano, sulla storia e la guerra.
Il 31 ottobre esce nelle sale italiane Miss Violence, film diretto, sceneggiato e prodotto dal regista greco Alexandros Avranas. Il film presentato alla 70° mostra del cinema di Venezia ha riscosso molto successo sia da parte del pubblico che della critica, arrivando a vincere il Leone d’argento e la Coppa Volpi al gelido protagonista Themis Panou.
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