Ogni settimana - circa - recensiamo per voi una novità cinematografica uscita nelle sale. Ogni tanto ci permettiamo di ricordare qualche pellicola del passato o altri film a cui teniamo particolarmente.
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Un romanzo criminale in salsa francese: la ricetta di French Connection
L'industria cinematografica italiana è primatista in confezionare commedie di medio/basso livello, oltre che a ripetere vecchi canovacci. L'esempio più classico? Il famigerato “cinepanettone” natalizio. “Volemo ridere, non piagnere” - dice un talent scout con accento romano a Carlo Verdone che assiste al provino del figlio musicista nel film “Sotto una buona stella”. Purtroppo la “massa” vuole staccare il cervello quando va in sala. Basta analizzare la classifica del boxoffice e il gioco è fatto (in testa c'è ancora “Cenerentola”...).
Vorremmo ridere ma purtroppo questa sensazione nel Bel Paese non c'è più da diversi anni. Il cinema, si sa, è lo specchio dell'identità culturale di un popolo. Intanto le sale chiudono e la gente rimane intrappolata nella solitudine delle loro case. Giuseppe Tornatore, tempo fa, disse che i vecchi capolavori (esempio “Ladri di biciclette” di De Sica) non avrebbero avuto successo senza quel rito collettivo che è la proiezione pubblica al cinema. E ha perfettamente ragione.
Per questo il suo “Cinema Paradiso” è un capolavoro senza tempo.
A me capita raramente di andare al cinema senza informazioni relative a ciò che andrò a vedere. Però devo ammettere che ci sono dei casi dove essere ignari può essere un vantaggio. Frank dell'irlandese Lenny Abrahamson è un esempio calzante.
Fino a qui tutto bene: una storia generazionale destinata a diventare cult
Ricordate un film francese cult del 1995?Si chiamava “L'Odio” (“La haine”) ed era l'opera seconda (ma la prima di successo) di Mathieu Kassovitz. Nel cast c'era anche un certo Vincent Cassel. Un film importante che raccontava la dura realtà delle banlieue (periferie) parigine e dei pittoreschi personaggi che le popolano. Il finale di quest'opera è scandita da una voce narrante che dice: “È la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani... A ogni piano, mentre cade, l'uomo non smette di ripetere: "Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene". Questo per dire che l'importante non è la caduta ma l'atterraggio.”
“Acchiappa la volpe": la terribile metafora dell'America secondo Bennet Miller
Nonostante abbia fatto tre film di grande qualità, Bennett Miller ai più è sconosciuto. Quando dietro la macchina da presa c’è questo regista non c’è mai nulla di banale o scontato nel suo modo di dirigere (non a caso è stato premiato per la regia al Festival di Cannes 2014 per il film che tra poco tratterò). A quasi 40 anni (cosa abbastanza inconsueta nel cinema) dirige il suo primo lungometraggio e fa subito il botto: l'opera in questione è “Truman Capote: a sangue freddo” che dette l'Oscar al compianto Philip Seymour Hoffman. La pellicola successiva è “L'arte di vincere”, storia importante con Seymour Hoffman allenatore e Brad Pitt dirigente di una squadra di baseball che non può competere con i budget stratosferici di altre squadre. Il manager adotta un software di un giovane laureato che gli dimostrerà che si può costruire una squadra vincente utilizzando le statistiche e la matematica. Film veramente interessante, da ogni punto di vista. Naturalmente in pochi l'hanno visto. A Cannes 2014 presenta la terza opera: l'attesissimo “Foxcatcher”, arrivato nelle sale italiane solo a marzo grazie a Bim. Candidato a 5 Oscar ma è rimasto a bocca asciutta.
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