Giovedì, 03 Luglio 2014 00:00

Iraq: la risposta curda al califfato

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Se l'annuncio della proclamazione del califfato di Iraq e Levante da parte dell'ISIS ha puntato i riflettori sulla zona, in pochi paiono essersi accordi che effettivamente c'è una parte del paese che resiste.

Parliamo del Kurdistan iracheno. La zona situata nell'Iraq settentrionale non è stata ancora attaccata seriamente dai militari dell'ISIS (anche se va ricordato che a fine maggio la popolazione curda ha subito il lutto del rapimento di 145 ragazzi tra i 14 e i 16 anni da parte di militari della forza fondamentalista in cerca di “reclute” da addestrare alla jihad) ma niente lascia escludere che i confini verranno rispettati.

Il KRG, il governo regionale della zona, ha difatti dislocato truppe di peshmerga (i guerriglieri curdi iracheni) in difesa del territorio giungendo fino a Kirkuk, una delle città con le maggiori economie dell'Iraq e fondamentale centro petrolifero. L'arrivo dei curdi è stato annunciato dal governatore della città, che ha riconosciuto la creazione di una zona cuscinetto in difesa della città.

E il tutto nonostante i forti attriti che oramai da tanto tempo hanno incrinato i rapporti tra KRG e Baghdad: sono mesi che i dipendenti statali del Kurdistan (nonostante siano iracheni a tutti gli effetti) non ricevono stipendi o sono pagati in modo irregolare. Erbil, la capitale della regione, non riceve più finanziamenti statali ma, nonostante questo, la popolazione curda ha mantenuto un profilo basso.

Ed ora, alla luce dell'evoluzione della situazione, viene da pensare che la lungimiranza curda sia stata quasi provvidenziale: più fonti hanno riportato come nella zona, soprattutto per le forti relazioni con la Siria e per il lavoro fatto coni rifugiati di quel paese, che da tempo si intuiva che la situazione in Iraq sarebbe precipitata. E ovviamente non vengono risparmiate critiche al governo di Baghdad, accusato di non essere stato in grado di prevedere l'escalation fondamentalista e soprattutto non aver saputo mettervi un freno.

Non si sono alzate solo proteste da parte del governo regionale curdo ma anche, ad esempio, da parte dell'organizzazione YJA (Unità delle Donne Libere), che ha evidenziato la gravità della situazione portando l'attenzione su come l'Islam non sia altro che un velo per coprire il terrorismo, profondamente maschilista, praticato dall'ISIS. “Se guardiamo il Medio Oriente vediamo che le forze della modernità capitalista, con l’aiuto del sistema degli stati nazionali provvedono all’estraniazione di popoli, culture, lingue, religioni e di tutte le identità, le dividono e in questo modo le guidano. Tutti gli stati creati nella regione con la loro ideologia nazionalista o con il fondamentalismo religioso non hanno svolto altro ruolo che quello di essere satelliti o agenti della modernità capitalista. Il Medio Oriente con la sua costruzione di stati nazionali e della politica sviluppata su questa base negli ultimi secoli è stato il palcoscenico di molte grandi guerre. Questo clima di guerra pieno di conflitti ha colpito l’intera società ed in particolare donne e bambini“ ha dichiarato Leila Argiri, membro dell'associazione.

E il riferimento alla crisi sociale, non solo politica, che sta vivendo il paese in generale è più che fondato se andiamo a prendere in considerazione le condizioni che hanno permesso ad una forza come l'ISIS di prendere il controllo di uno stato come l'Iraq, che da decenni è controllato dalle potenze di tutto il mondo. Da una parte forti problemi attraversano l'esercito iracheno: soldati mal pagati (se non del tutto dimenticati) sono stati mandati allo sbando a fronteggiare un attacco che, per errori dei vertici, non era stato previsto. Come prevedibile, si sono verificati episodi di diserzione e di abbandono di armi ed equipaggiamenti, lasciando così scoperto gran parte del territorio in una fuga rocambolesca in difesa della capitale.
Dall'altra parte sono un segnale preoccupante anche le simpatie che, per quanto esili e sporadiche, le forze dell'ISIS sono riuscite a conquistare in giro per il paese. Anche nelle regioni del Kurdistan iracheno ragazzi che appartenevano in passato a scuole e gruppi islamici hanno scelto di arruaolarsi tra le file dell'ISIS. È evidente che in una situazione di completa anarchia, nella quale uno stato fantoccio continua a non preoccuparsi delle questioni interne che da decenni spaccano una società che han vissuto invasioni e guerre, anche il fondamentalismo islamico può attecchire, portatore di false risposte e punti di riferimento.

E probabilmente anche e soprattutto nell'ottica di arginare questa deriva va letta la serrata della fila dei pashmerga, e la loro organizzazione, non solo in senso militare (recentissima la notizia della firma di un accordo commerciale per la vendita di petrolio alla Turchia che non vede coinvolta Baghdad ma il KRG): arginare e combattere il fondamentalismo islamico e dimostrare che si possono dare altre risposte è la priorità dei curdi iracheni al momento. Risposta molto più efficace ed articolata di qualunque cosa lo stato centrale sia riuscita a fare fino a questo momento.

Immagine tratta da: www.vice.com

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Luglio 2014 15:00
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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