Ed il Primo Ministro turco sta agendo su più fronti per raggiungere il suo scopo.
Sul piano della politica interna, la lotta al dissenso è diventata fortissima. Se l'unico avvenimento che ha avuto risalto internazionale è stato l'arresto di una ventunenne francese arrestata per avere preso parte ad una manifestazione per l'istruzione, è bene sapere che le carceri turche sono piene di giornalisti non accondiscendenti nei confronti del governo, di studenti ed attivisti che protestano e di persone ritenute vicine al PKK. Considerando invece i vertici delle istituzioni, l'atteggiamento di Erdogan non cambia: nel corso dei suoi mandati è riuscito a sostituire (con il tacito consenso statunitense, dal momento che l Turchia è una pedina fondamentale della NATO) i vertici dell'esercito che più fermamente di opponevano al processo di de-laicizzazione messo in campo dal Primo Ministro. Così facendo ha fatto dell'istituzione che alla morte di Ataturk aveva raccolto l'eredità della Turchia laica ed “occidentale”, l'esercito, l'ennesimo bacino di consenso alla sua politica. Resta oramai un consistente movimento di intellettuali che si oppongono alla trasformazione dello Stato: qualche giorno fa è stato lanciato un appello che chiede che i partiti che si stanno occupando della stesura delle riforme costituzionali non cancellino l'esplicito riferimento all'identità turca contenuto nella Carta Costituzionale. Se tale rimozione sarebbe ben vista dagli attivisti curdi, gli intellettuali laici vi si oppongono non tanto per motivi nazionalistici piuttosto per evitare che la laicità dello stato turco rimanga un mero ricordo (Erdogan ha fatto della Sharia, la legge islamica, la fonte d'ispirazione per il diritto turco).
Passando alla politica estera, il Primo Ministro turco si è posto come interlocutore dei paesi arabi guidati da governi filo islamici avendo alle spalle gli Stati Uniti. Dalla visita ufficiale del Presidente americano Barack Obama in Turchia avvenuta nel 2009, i rapporti tra i due paesi si sono intensificati. Ingenti investimenti economici hanno fatto sì che un piccolo miracolo economico avesse luogo in Turchia. La creazione di consenso favorevole al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (proprio in questo senso vanno considerate l'apertura del confronto con il leader curdo Ocalan e le concessioni, come quella dell'utilizzo della lingua curda all'interno dei tribunali, fatte alla minoranza) è stata fondamentale per far sì che in un paese come la Turchia, in cui l'esercito è sempre riuscito a salvaguardare l'eredità della guerra di indipendenza si accettasse un allontanamento, per quanto dolce, dall'ataturkismo. E questo allontanamento dai principi su cui si è fondata la Turchia moderna presuppongono, soprattutto, un abbandono della laicità dello stato e quindi un avvicinamento all'islam democratico.
In questo momento storico per gli Stati Uniti è fondamentale la sicurezza di un alleato in Medio Oriente che sia affidabile ma anche ben visto agli occhi di quei paesi arabi che, in seguito a guerre civili o cambi di governo più o meno accidentali, si ritrovano guidate da leadership filo islamiste. In questo senso, esemplare il caso siriano: il riavvicinamento tra Israele e Turchia è stato fortemente voluto dal presidente statunitense in funzione della creazione di un fronte anti siriano nella regione mediorientale (leggi qui).
Infine, ma non per importanza, è bene tenere a mente che se la Turchia riuscisse a gestire bene le partite che ha aperto sul piano energetico, potrebbe accrescere la propria influenza e centralità nella regione. L'evoluzione della crisi cipriota potrebbe avere infatti risvolti favorevoli alla Turchia. Se la piccola isola mediterranea è storicamente collegata ad Ankara, gli interessi relativi allo sfruttamento dell'enorme giacimento di gas metano scoperto al largo delle coste cipriote (ed al quale è molto interessato anche Isreale), il famoso Leviatano, non fanno che accrescere i legami esistenti. A questo vanno aggiunti i vari progetti di costruzione di gasdotti, il più importante dei quali è quello transanatolico, che farebbero della Turchia la via obbligata per il commercio di energia tra Medio Oriente ed Europa.
E' quindi evidente che il Primo Ministro Erdogan si ritrovi alla guida di uno stato che, nel caso riuscisse a giocare bene le proprie carte, potrebbe diventare il centro nevralgico del Medio Oriente influenzando pesantemente gli interessi nella regione.