Trent'anni dopo la figura di Margaret Thatcher resta scolpita nella memoria di tutti, anche di chi, come il sottoscritto, non ha vissuto direttamente sulla propria pelle quell'epoca.
Quell'epoca sono i lunghissimi anni '80, la cui tragica onda lunga stiamo vivendo ancora oggi. Infatti, la leader del partito conservatore inglese ricoprì la carica di primo ministro dal '79 al '90 e furono anni di straordinaria regressione dei diritti.
Laureata in chimica - come un'altra “lady di ferro” ultra-conservatrice responsabile di aver lanciato l'ultraliberismo in nuove battaglie sanguinarie contro la classe operaia e i popoli di mezza Europa - si rese subito protagonista di riforme tragicamente impopolari come i duri tagli all'istruzione pubblica che portarono all'abolizione della fornitura del latte gratuito ai bambini di età compresa tra i 7 e gli 11 anni. “The milk snatcher” venne subito soprannominata. Erano gli anni settanta del conflitto operaio e lei aveva appena avviato la sua offensiva che negli anni successivi con Reagan acquisì portata globale. Tuttavia, l'appellativo di iron lady (suo soprannome più famoso ricavato dal paragone con la figura di Bismarck) se lo guadagnò con una politica ferocemente anti-sovietica che non risparmiava attacchi gonfi di retorica, ma più della retorica poté l'azione. La Thatcher amava definirsi una “decisionista” e su quella linea rispose all'Unione Sovietica, sgonfiando letteralmente il ruolo dei parlamenti rappresentativi in occidente e chiudendo ogni prospettiva di dialogo con l'altra parte del muro: il comunismo sovietico non poteva essere conciliato, andava rovesciato. E assieme all'attore di Hollywood lo rovesciò, con politiche economiche di cui oggi percepiamo bene l'effetto disastroso e strategie militari più consone all'Impero britannico che ad una democrazia matura.
Una figura forte di cui “c'era bisogno per portare una boccata di aria libera” e di “rivoluzione liberale” (M.Giordano dixit). Tuttavia, questa “boccata d'aria libera” non aveva contraddizioni, e allora Maggie poteva tenere incontri conviviali con dittatori spietati del calibro di Augusto Pinochet e allo stesso tempo richiamare la figura di S. Francesco. Insomma, confondere rivoluzione con restaurazione e autoritarietà con autorità va ancora di moda oggi, nulla di nuovo.
La Thatcher non aveva remore alcune a mascherare dietro al suo abile realismo politico ogni politica conservatrice; fu così quando votò a favore della depenalizzazione dell'omosessualità maschile e dell'aborto per poi approvare senza alcun ripensamento la pena di morte. L'ambiguità divenne ancora più lampante quando, dopo aver rimproverato il governo sudafricano per l'apartheid, si rifiutò di imporre le sanzioni e definì l'Anc guidata da Mandela “una tipica organizzazione terroristica”. Aveva interiorizzato il principio machiavelliano della “golpe” e del “lione”. Le poche concessioni progressiste fatte erano condotte abilmente all'interno di un disegno di regressione che non lasciava spazio.
È col suo secondo mandato che troviamo la vera essenza del “tatcherismo”: un mix fatale per i popoli, composto da ultraliberismo economico e conservatorismo politico.
L'obiettivo di fondo delle sue politiche? Distruggere l'unità del popolo attaccando il cuore dello Stato ed estendere quel modello di “libertà” ai paesi dell'Est Europa allo scopo di affossare il colosso sovietico. L'individualismo più sfrontato venne giocato come asso nella manica, lo statalismo andava semplicemente abolito: lo Stato avrebbe dovuto cessare di assistere tutti “dalla culla alla tomba”. Le privatizzazioni, le liberalizzazioni, la svendita del patrimonio pubblico, tutte pratiche politiche oggi tanto di moda soprattutto grazie a milady Thatcher (insignita a fine “carriera” del titolo nobiliare proprio per aver ridato la proprietà a chi l'ha sempre avuta).
Tuttavia, lo Stato non spariva completamente come lei vantava, ma assumeva un aspetto fortemente anti-proletario: le storiche Trade Unions vennero propinate come caste corporative chiuse e privilegiate. Paradossalmente, la sua famosa battaglia contro il sindacato dei minatori le permise di sfoggiare il baluardo di crociata per i diritti, da rivendicare rigorosamente individualmente. La solidarietà veniva stroncata in ogni sua forma e l'egualitarismo semplicemente messo alla gogna in favore della meritocrazia. In un paese che vedeva (e vede) spegnersi qualsivoglia sogno liberale in tassi di mobilità sociale da ancien regime (rif. a “Libro bianco” di G. Brown), la meritocrazia diventava una semplice pratica selettiva delle élite.
La sua ferocia contro il “parassitismo pubblico” trova un corrispettivo solo in alcune nostre grottesche figure, eppure allora venne presa seriamente. Si iniziò a pensare che laddove esisteva un sindacato, dei diritti sociali, un assistenza pubblica vi fosse la totale mancanza di incentivi a lavorare sodo, dunque per aumentare la produttività occorreva applicare politiche duramente anti-operaie. Ancora una volta, l'azione si dimostrò l'arma migliore per la Thatcher: aumento del management, terziarizzazione, finanziarizzazione dell'economia e deregulation totale dei mercati finanziari inglesi che ancora oggi mantengono un cospicuo vantaggio sull'Europa di kaiser Merkel. Certo, più dell'Europa, a pagarne il prezzo restano gli europei: il “thatcherismo” ha fatto proseliti.
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