Per l’ennesima volta quando parliamo di diritti e di autodeterminazione, il “Paese che sembra una scarpa” decide di distinguersi e di rendere le cose più complicate. Nonostante il via libera dall’Unione, in Italia per poter assumere la pillola sarà necessario non solo presentare una ricetta firmata da un medico ma anche un test di gravidanza negativo.
Dal momento che è stata appurato che l’assunzione della pillola non comporta alcun rischio né per la donna né per il feto, Emilio Arisi, Presidente dell’Associazione Italiana per la contraccezione sottolinea come il via libera europeo potesse rappresentare “un’opportunità per l’Italia e per le sue autorità regolatorie per rimuovere un altro ostacolo che ci rendeva unici nel mondo, ossia quello per il medico di dover di prendere visione di un test di gravidanza negativo prima di poter scrivere la ricetta”.
Opportunità che si è scelto di mancare. In un paese in cui l’utilizzo di questo farmaco è fortemente condizionato dall’obbligo di ricetta e del test (se ne somministrano 20.000 l’anno, mentre le pillole del giorno dopo sono 320.000), l’Aifa si tira indietro davanti ad una richiesta di semplificazione che non comporterebbe alcun rischio richiamando in ballo le semper aeternae questioni etiche e rigirando tutto alla commissione tecnica. Nel frattempo, anche il Ministero potrebbe metterci del suo con un approfondimento in seno al Consiglio Superiore della Sanità.
Una storia che si ripete. Mentre le associazioni di medici cattolici e annessi starnazzano sull’abominio che si commette nel definire questo farmaco contraccettivo e non abortivo, le istituzioni prendono tempo evitando così che anche da noi si possano fare passi avanti nel campo della civiltà.
D’altro canto, non è un caso che queste comiche abbiano sempre ambientazione in un paese nel quale l’obiezione di coscienza raggiunge una media del 70% con punte del 90% (allucinante il caso dell’ospedale di Jesi dove tutti i ginecologi sono obiettori), in cui gruppi che normalmente sarebbero considerati fanatici riescono invece a bloccare ogni possibilità di sviluppo e diffusione di diritti. Nel paese del quale il Pontefice, a pochi giorni dalla strage di Parigi, pensa bene di rilasciare un’intervista in cui afferma che “non si può insultare la religione di un altro. Perché se un mio amico dice una parola brutta su mia mamma si deve aspettare un pugno”.
Ecco, le religioni per carità non si insultano, ma invece sfogatevi pure con le sofferenze delle donne e con gli sforzi di chi lavora per provare a tenere l’Italia al passo con gli altri paesi.