Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
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“Chi pecora si fa il lupo se la mangia”, e per troppo tempo Luciana (Paola Cortellesi) si è fatta pecora, a lavoro e con il marito, l'immaturo Stefano (Alessandro Gassmann). Le troppe delusioni familiari e la precaria condizione lavorativa fanno scattare però una reazione inaspettata, improvvisa e drammatica.
Gli ultimi saranno ultimi, del regista Massimiliano Bruno (per i fan di Boris, Nando Martellone), ci porta dentro una storia realistica, fatta di disoccupazione, di ansie, di insoddisfazioni, private e collettive.
Il Pensiero di Althusser IV: materialismo aleatorio e teoria generale della società
La concezione althusseriana del cambiamento sociale e politico come esito di un complesso reticolo di influenze fra le varie sfere della società, secondo il principio della surderminazione (come abbiamo visto nel precedente contributo), è coerente con la lettura antistoricista che il filosofo francese dà del capitale: non ci sono meccanismi automatici che determinano il passaggio da un sistema di produzione all'altro, bensì solo delle concrete situazioni storiche, in cui, in maniera casuale, o quantomeno non del tutto deliberata da alcun soggetto, si può verificare la simultanea presenza di una grande quantità di contraddizioni nei rapporti sociali, economici, culturali tali da portare a una rottura dirompente col passato.
Inaugurata nel 1845 e ripresa fino al 1865 la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi mancava al Teatro alla Scala da ben 150 anni. Ci se n’era dimenticati senza troppo sforzo, giudicandola senza entusiasmo e con molte critiche, ed ora torna alla ribalta con un allestimento eccezionale: sul podio il maestro Riccardo Chailly e sul palco niente meno che Anna Netrebko, Francesco Meli e Carlos Alvarez.
A volere una ripresa tanto coraggiosa è stato proprio Chailly, che inaugura ufficialmente la sua prima stagione da Direttore principale del Teatro. Il maestro milanese aveva già diretto Giovanna d’Arco al Comunale di Bologna, nel 1989, nella storica produzione di Werner Herzog, e oggi vi ritorna con l’ausilio dei registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, in debutto alla Scala.
La vera storia di Moby Dick
Prendete il capolavoro letterario di Melville sulla celebre balena bianca, unitelo allo “Squalo” di Spielberg, a “Cast away” e “la tempesta perfetta”, con sprazzi di “Master & Commander” e “King Kong”. A tutto ciò unite l'esistenzialismo di “All is lost” e “La vita di Pi”. Il risultato è il nuovo film di Ron Howard: “Heart of the sea: Le origini di Moby Dick”.
La decisione di portare sullo schermo questa storia è stata di Chris Hemsworth che, dopo “Rush”, ha chiamato Ron Howard convincendolo a dirigere il film. Cosa avrà convinto queste due star? Senza ombra di dubbio, il punto di partenza. Ovvero il romanzo “Nel Cuore dell'Oceano - Il Naufragio della Baleniera Essex “di Nathaniel Philbrick che ha raccontato le origini dell'opera di Melville. Sì perchè Moby Dick è stato ormai saccheggiato a più riprese e non aveva senso rifare un'altra versione cinematografica. Tuttavia l'opera di Melville è stata rivoluzionaria per la letteratura epica americana. E allora il cinema a stelle e strisce non poteva esimersi nel raccontare una cosa inedita nel modo che sa fare meglio. Ufficialmente di questa storia non si sa niente, anche perchè venne “bollata” in modo diverso da come i fatti sono stati descritti (la verità viene raccontata nel finale). Aveva ragione Melville: “ogni verità è un abisso”. Come spesso capita nel cinema, anche qui il tutto è un pretesto per parlare del tema fondamentale della filmografia di Ron Howard: l'incontro-scontro fra esseri umani.
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Terminato il suggestivo e appassionato intervento (o testimonianza) di Organisti, è Sandro Palazzo a prender la parola. Il suo, afferma, sarà un Deleuze “un po’più autunnale”. Palazzo parte infatti da un testo deleuziano del ’92, “L’épuisé”, ovvero “L’esausto”, uno scritto su Beckett. Vi è una differenza, sostiene Deleuze, tra lo stanco e l’esausto. Lo stanco è colui che
“non dispone più di nessuna possibilità (soggettiva): e non può quindi mettere in atto la minima possibilità (oggettiva). Ma questa possibilità permane, perché non si attua mai tutto il possibile, anzi lo produce man mano che si va attuando. Lo stanco ha esaurito solo la messa in atto, mentre l’esausto esaurisce tutto il possibile. Lo stanco non può più realizzare, ma l’esausto non può più possibilizzare” (G. Deleuze).
“Un po’di possibile, sennò soffoco”
Gilles Deleuze
Continua il ciclo di appuntamenti filosofici al Gabinetto Viessieux, organizzata dall’Associazione Quinto Alto. Stavolta il protagonista della conferenza è stato Gilles Deleuze, a vent’anni dalla sua morte. Non a caso il titolo dell’incontro del 30 novembre era proprio “Ripensare Deleuze. A vent’anni dalla morte”.
Katia Rossi, moderatrice del dibattito, introduce la figura di questo affascinante ed eccentrico filosofo ricordando in particolare il volume di opere postume pubblicato a distanza di dieci anni dalla sua morte, curato da David Lapoujade, col titolo di “Les mouvements aberrants” (éditions de Minuit) e che raccoglie soprattutto una serie di lettere e interviste lasciate dal filosofo francese.
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