Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
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Prima ancora che la scena musicale alternativa di Montreal emergesse in tutta la sua dirompenza, Toronto aveva già il suo punto di riferimento nei Broken Social Scene, collettivo di 19 membri dedito a un rock orchestrale avanguardistico e suggestivo.
A volte delicati e aggraziati, a volte dirompenti e caotici, i Broken Social Scene rappresentano una delle band che meglio riassume la peculiarità del rock canadese: lontani dagli atteggiamenti da poser dei loro colleghi a stelle e strisce, amanti di un musica che proprio nella sua complessità, vuole restituire la naturalezza di una fare arte prima di tutto per passione e fra amici, risultano, come e forse ancor di più degli Arcade Fire, i principali fautori di un approccio orientato alla ricerca della melodia percorrendo la strada più difficile, quella dell’esperimento e della contaminazione continua. You forgot it all people (2002), con le sue strutture insolite e stravaganti, sebbene meno celebre, ha la stessa importanza di Funeral, imponendosi fra i principali album alternativi dello scorso decennio.
Ho letto con attenzione gli articoli di Pascale sull’Urss di Stalin [rintracciabili facilmente cliccando qui], diciamo con l’attenzione di uno che una trentina di anni fa era abbastanza aggiornato con la storiografia diciamo di tendenza “eurocomunista” (Boffa, Elleinstein, Spriano, Procacci, soprattutto Roy Antonovic Medvedev). La “terza puntata” e soprattutto la quarta dello scritto di Pascale mi hanno convinto molto meno delle precedenti. Poiché non sono uno specialista dell’argomento (a suo tempo ho cercato di studiare la problematica delle riforme economiche nel “socialismo reale”, poi mi sono occupato di altro), le mie argomentazioni saranno senz’altro parziali e superate, ma lo stesso avanzo alcune osservazioni.
Un altro bel film apparso alla mostra del Cinema di Venezia, seppur non in concorso, è “Siddharth”, di Richie Mehta e interpretato dal bravo Rajesh Tailang – anche autore dei dialoghi – e dalla bella e altrettanto intensa Tannishtha Chatterjee. Siamo a New Delhi. Mahendra lavora come riparatore di cerniere – di qualsiasi oggetto, dai vestiti alle borse.. – e ha una moglie e due figli, una bimba piccola e il dodicenne Siddharth (detto Siddhu). Proprio su quest’ultimo ruota tutta la vicenda del film. O meglio sull’assenza, sulla scomparsa del bambino. Mehendra lo aveva infatti mandato a lavorare a Ludhiana, in una fabbrica di un conoscente del cognato, il quale aveva saputo che il proprietario cercava un ragazzino per muoversi e utilizzare i macchinari con più destrezza
Una perla da non perdere tra i film della sezione “Autori” della 70° Mostra del Cinema di Venezia, è “La reconstruccion”, quarta opera dell’argentino Juan Taratuto. Film intimistico, doloroso e commovente ma raccontato con delicatezza e pudore, senza la volontà di far abbandonare lo spettatore a troppo facili lacrime.
"Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento".
Sono state queste le ultime parole pronunciate da Salvador Allende esattamente quaranta anni fa, prima di morire. Sono state le parole di un uomo che ha dato tutto per il suo paese e che per quel paese ha scelto di morire, non tirandosi indietro davanti a chi con la forza ha distrutto il lavoro del suo governo trascinando il Cile in una delle peggiori dittature della storia.
b) L'industrializzazione pianificata e la collettivizzazione forzata dell'agricoltura
“Per eliminare i kulak come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulak. Per eliminare i kulak come classe, è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo (libera utilizzazione della terra, mezzi di produzione, affitto, diritto di ingaggiare mano d'opera salariata, ecc.). In questo appunto consiste la svolta verso la politica di liquidazione dei kulak come classe. […] Senza di questo, non è concepibile nessuna collettivizzazione seria, e tanto meno una collettivizzazione integrale della campagna.”
(Stalin, Sul problema della politica di liquidazione dei kulak come classe, 21 gennaio 1930)
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