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Ricordando Lester Bangs
33 anni esatti dalla scomparsa del grande critico musicale californiano
Non mi chiedete perché guardi a gruppi rock come possibili modelli per una società migliore. Penso che sia solo per il fatto di aver intravisto qualcosa di bello in un momento di illuminazione e probabilmente l’ho confuso per una profezia che ha da sempre cercato la sua realizzazione.
1973. Lester Bangs, reo di mostrarsi “irrispettoso nei confronti dei musicisti”, viene licenziato dalla rivista Rolling Stone, dopo una recensione particolarmente negativa nei confronti dei Canned Heat. Inizia un periodo particolarmente complesso per il giovane critico musicale californiano. Il suo giornalismo militante, volto a promuovere la musica come strumento di lotta e cambiamento del sistema entra in contrasto con la realtà sociale e artistica dell’epoca: la grande stagione psichedelica è al collasso, la cultura hippie in declino, i grandi gruppi venerati da Bangs come Velvet Underground, Van Morrison, Captain Beefheart sembrano aver già espresso il meglio di loro stessi mentre all’orizzonte una nuova generazione di musicisti si crogiola nella restaurazione fatta di fronzoli e barocchismi progressive.
Immaginate la settecentesca sala del Teatro alla Scala affollata dalla buona società milanese in abito scuro e cravattino nero, le soffuse luci gialle dei lampadari, la seria compostezza delle maschere, il chiacchiericcio e le conversazioni galanti tra un atto e l’altro e il rigoroso e solenne silenzio durante lo spettacolo.
Cancellate tutto. Perché alla “Cenerentola per bambini” a colmare la Scala sono spettatori giovanissimi, piccoli e rumorosi, vivaci, giocosi e perfettamente ingenui. Il progetto “Grandi opere per piccoli” è rivolto a un pubblico di ogni età, purché minorenne, e l’esperimento sembrerebbe del tutto riuscito.
Sono ormai diverse decadi che alla Scala si aggirano le Villi, leggendari spiriti danzanti, vestiti di bianco e tremendamente vendicativi: sono le anime immortali delle giovani tradite o abbandonate, che danzano sulle note di “Giselle”, intramontabile balletto di Adolphe-Charles Adam.
Recensione dell’ottimo “Carrie & Lowell” del cantautore di Detroit
Pochi cantautori sono riusciti a coniugare in maniera così elegante complessità e leggerezza come il menestrello statunitense Sufjan Stevens.
L’immortale libertà di Carmen, alla Scala
Fu l’ultimo lavoro musicale di Georges Bizet, la Carmen che è oggi tra le opere più rappresentate al mondo e di cui lui, morto dopo soli pochi mesi dalla fallimentare prima parigina del marzo 1875, non potette assaporare il seguente clamoroso successo.
Un genio di cui si devono ancora indagare i molteplici risvolti, dalla produzione poliedrica ed eclettica, rimasto nella memoria popolare per i tre capolavori Les pêcheurs de perles, L’Arlésienne e la celebre Carmen, appunto.
Si potrebbe fare il paio con altri compositori precoci spentisi in giovane età nel pieno della produzione artistica, eppure Bizet resterebbe a buon diritto un unicum della storia della musica occidentale. Carmen, il suo lavoro sommo, è capace ancora oggi di stupire, commuovere e incuriosire ad ogni rappresentazione, ad ogni esecuzione, ad ogni ascolto: la trama e la musicalità di quest’opera non cessano di porci interrogativi e di darci risposte sempre nuove, come se fosse sempre la prima volta.
Il soggetto è tratto dal romanzo omonimo di Mérimée, ma nel libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy viene radicalmente stravolto, arricchendo i personaggi e ricostruendo ex novo la vicenda d’amore tra Carmen e Don José. Da novella di costume Carmen diventa un dramma quasi verista (e quasi politico, nella Parigi in piena lotta di classe che aveva appena combatto per la Comune), in cui però solo alla fine è permesso mettere in scena la morte, pure continuamente evocata.
Sleepdrunk Seasons #2: i protagonisti della nuova scena islandese
La nuova centralità assunta dalla musica Islandese nel panorama internazionale ha permesso negli ultimi dieci anni un proliferare di formazioni e progetti volti alla sperimentazione nei territori più variegati della galassia rock. Se nel precedente articolo (vedi qua) abbiamo provato a mettere in evidenza gli elementi generali che compongono e costituiscono la nuova generazione islandese, è ora il momento di passare in rassegna i protagonisti di questo movimento.
Una delle tante vie islandesi alla musica alternativa è quella di un pop sofisticato, classicista e fastoso. Protagonisti assoluti di questo genere sono una delle prime band a emergere dal sommovimento culturale avvenuto a metà del decennio scorso: gli Hjaltalín.
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