Sicuramente a partire dal X secolo d.C. grazie alla rinascita culturale dei due secoli precedenti, favorita dal miglioramento delle condizioni sociali e demografiche, il continente si animò di una rinascita culturale e religiosa figlia dell’epoca carolingia. In questo grande laboratorio continentale politico, sociale e religioso si vennero a consolidare due grandi strutture: la Chiesa e l’Impero. Inizialmente questi due soggetti risultavano complementari, richiamando la tradizione tardo-romana di Giustiniano e Teodosio che vedevano una finalità religiosa legata alla salvezza terrena tramite l’esercizio delle leggi dell’impero accompagnata da una salvezza delle anime portata avanti dalla Chiesa. Tradizione efficacemente portata avanti da Carlo Magno, nella costruzione del suo dominio sul continente come approfonditamente visto nell’articolo precedente di questa rubrica. Il pontificato di papa Gregorio VII e le sue riforme gettarono i semi per una lunga e conflittuale discordia tra i due poteri universali che dominavano gran parte dell’immaginario collettivo europeo.
Gregorio VII affermò la superiorità papale rispetto al ruolo regale, quindi rivendicando un predominio del pontefice basato su motivazioni di ordine morale e spirituale. Questa concezione era figlia di un rafforzamento e accentramento del papato negli anni precedenti, concentrando le principali attività ecclesiastiche nella curia romana e ricercando una continuità tra la centralità della Roma antica e quella della Roma cristiana. Un processo di “translatio imperii” accompagnato dalla famosa Donazione di Costantino, un documento rivelato come falso storico solo nel XV secolo, che affermò il riconoscimento dell’imperatore romano al pontefice del suo primato sulla Chiesa universale e soprattutto della sua sovranità assoluta su Roma e l’Italia. Le fondamenta di un dominio non solo spirituale ma anche territoriale della Chiesa.
L’inevitabile scontro che scaturì tra Chiesa e Impero riguardò la disputa riguardo a chi dovesse dare il titolo di vescovo ad un membro della società ecclesiastica, la cosiddetta "investitura episcopale". Una vicenda conosciuta come lotta per le investiture, che vide addirittura l’uso della scomunica nei confronti dell’imperatore Enrico IV, l’umiliazione di Canossa per la revoca di quest’ultima e la ripresa del conflitto con il coinvolgimento dei normanni da parte di Gregorio VII, che occupavano la parte meridionale della penisola italica. Il Concordato di Worms del 1122, concluso tra Papa Callisto II ed Enrico V, rappresentò un modello per gli sviluppi successivi delle relazioni tra la Chiesa e l'Impero. Secondo il concordato, la Chiesa aveva il diritto di nominare i vescovi, quindi l'investitura con anello e pastorale doveva essere ecclesiastica. Le nomine, tuttavia, dovevano avvenire alla presenza dell'imperatore, o di un suo rappresentante, che attribuiva incarichi di ordine temporale ai nuovi vescovi mediante l'investitura con lo scettro, un simbolo privo di connotazione spirituale. Non fu il termine del conflitto, ma l’inizio di un lungo scontro che proseguì sul terreno giuridico, politico e territoriale.
Federico Barbarossa, imperatore dal 1155, riprese la tesi della scuola giurista di Bologna a favore del suo predecessore Enrico IV che affermava una concezione secolarizzata dell’Impero fondata sull’eredità e il diritto romano. Proclamatosi discendente degli antichi Cesari, Federico si svincolò dalla tutela della Chiesa e inseguì una concezione laica dell’impero sul segno della continuità con l’antico impero romano. Proprio alla dieta di Roncaglia affermò la sua volontà di ristabilire il diritto romano tramite la collaborazione dei giuristi bolognesi, suoi collaboratori nella giustificazione del suo dominio sul territorio italico. Pur andato in soccorso del papa Anastasio durante la proclamazione della repubblica romana di Arnaldo da Brescia, un riformatore patarino contestatore del potere temporale dei papi, che aveva costretto il papa ritirarsi a Orvieto, i rapporti tra imperatore e pontefice non furono idilliaci.
Proprio durante le sue campagne in Italia contro i comuni, il papa oscillava tra l’alleanza con Federico e l’appoggio dei normanni dal Sud Italia. Un ribaltamento continuo di alleanze che non fu privo di scontri feroci, nonostante la proclamazione della Terza Crociata da parte di Federico nel quale trovò la morte. Contrasti che ereditò Federico II. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Federico stesso fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell'Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con una amministrazione efficiente. Ma i contrasti con il papato, dovuti alla mancata cessione della Sardegna al pontefice e al favorire dell’instaurazione di governi filo imperiali nell’Italia settentrionale, oltre alla pericolosità del suo prestigio dopo le vittorie sulla Lega comunale, portarono a uno scontro feroce che si esaurì solo con la sua scomunica e la sua deposizione da imperatore a Lione. Nonostante la successiva vittoria del figlio Corrado IV, Federico non si riprese mai dalla sconfitta e si ritirò sino alla morte.
Questi contrasti feroci tra Chiesa e Impero non scalfirono però l’ideale universale rappresentato da questi due organi nell’immaginario collettivo medievale, due pilastri a reggere i destini della cristianità. La realtà però era ben diversa: con la spartizione dell’Impero alla morte di Carlo Magno la Francia e i suoi territori avevano intrapreso un destino diverso, diventando lentamente uno stato regio forte embrione di una futura potenza nazionale, allo stesso modo l’Inghilterra. La Spagna era sotto dominazione araba e l’Italia settentrionale e centrale erano una eccezionalità nel continente europeo, con tante città autonome e potenti inserite in una profonda rete politica, commerciale e culturale, capaci di resistere al tallone imperiale. L’Impero e il suo confine erano rappresentati dalla dinastia sassone e dalla Germania, in uno orizzonte orientale e più continentale rispetto alla antica centralità mediterranea. L’aquila ghibellina che ancora oggi troviamo in molte città italiane, non sempre fu sintomo di sincera lealtà ma quanto di opportunismo politico verso uno scomodo vicino e un dominio religioso diventato territoriale. Ciò non scalfisce il grande mito del Sacro Romano Impero, mito nell’immaginario collettivo medievale cantato dallo stesso Dante nella necessità dell’Impero come istituzione universale e sovranazionale e l’autonomia del potere imperiale dal potere ecclesiastico.