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Ogni settore del mondo del lavoro è ammorbato dal precariato. Gli argomenti che tentano di spiegarne l'esigenza chiamano in causa l'inevitabilità del capitalismo e il primato del profitto. Superati per il settore dell'economia privata, essi appaiono del tutto inconsistenti quando si parla di servizi pubblici. E se si parla di scuola, essi riassumono errori politici e sintesi antistoriche che, soprattutto negli ultimi venti anni – quelli del rampantismo neoliberista – hanno ridicolizzato la vita, lo studio, la socializzazione di migliaia di persone.
Una partecipatissima assemblea pubblica quella che ha riempito gli spazi dell'ex Colorificio Liberato di Via Montelungo, per la costruzione collettiva e il lancio della manifestazione del 16 Febbraio, che vedrà riversarsi per le strade di Pisa tutta quella cittadinanza attiva che in questi tre mesi di liberazione dell'ex Colorificio si è aggregata attorno al percorso politico del Municipio dei Beni Comuni, tutte quelle esperienze che all'interno di United Colors of Commons si sono incontrate da diverse parti d'Italia per dare il via a percorsi di riflessione e campagne territoriali, la cui prosecuzione è messa in crisi dalla minaccia di sgombero inviata dalla multinazionale proprietaria dell'immobile, la J-Colors di Milano.
Al centro della discussione dell'assemblea pubblica sono stati messi i temi della riqualificazione e del riutilizzo a scopo sociale degli spazi del Colorificio, un vero e proprio crossing point di competenze, saperi, obbiettivi, aperto e plurale nell'offrire alla città uno rinnovato spazio di partecipazione e democrazia dal basso, che non ha alcuna intenzione di segnare una battuta d'arresto a seguito della richiesta di sequestro preventivo.
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L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, universalmente conosciuta come UNESCO, conduce fin dalla sua fondazione il meritorio compito di censire, catalogare, studiare, tutte le lingue che si parlano nel mondo, che sono stimate fra 6000 e 7000. L’Unesco svolge un'opera, simile a quella che altre organizzazioni svolgono per la salvaguardia della biodiversità delle specie animali e vegetali, perseguendo l’obiettivo di preservare le lingue minoritarie o quantomeno di tramandarne la memoria. Questa iniziativa è necessaria in quanto nel mondo ogni due settimane una lingua scompare, 2500 sono a rischio e 199 sono parlate al più da una decina di persone, questo lavoro si svolge tra notevoli difficoltà: alcune lingue non hanno forma scritta, né conseguentemente possiedono un alfabeto che ne renda i suoni, esse hanno solo la forma parlata, da pochi individui e in gran parte anziani. Senza l’Unesco di lingue come il taushiro (1 parlante), il kaixana (1 parlante), il lemerig (2 parlanti), il chemehuevi (3 parlanti), il njerep (4 parlanti), il liki (5 parlanti), si perderebbe perfino il ricordo.
Il 2 febbraio 1945 finisce la lunga attesa delle donne per l'esercizio del diritto di voto. Un percorso iniziato all'indomani dell'unificazione, nel 1861. I primi movimenti di emancipazione si collocano nei primi anni del 1900 ma è solo con l'abbattimento della dittatura fascista e la conquista della democrazia che il consiglio dei ministri estende il voto alle donne al compimento della maggiore età (all'epoca 21 anni). Le donne votano per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo e aprile 1946 e, successivamente, per il referendum monarchia/repubblica, il 2 giugno 1946. Non voglio fare una retorica celebrazione, ma ricordare che il voto è il risultato della lotta di tante generazioni di donne e uomini, capace di cancellare un’ingiustizia. Un piccolo tassello nella lotta per l’emancipazione che ancora ci vede in trincea.
Ma torniamo al presente, a questi giorni duri di campagna elettorale di bombardamento mediatico, di overdose di talk, di colpi bassi senza esclusione, di promesse al vento, di facce di leader che si propongono e sovrappongono, di poteri forti che dispiegano tutti i mezzi a disposizione per mantenere l’egemonia sul sistema.
Qualche giorno fa, e più precisamente il 27 gennaio, abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. Questa viene istituita con la legge 211 del 2000, al fine di “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Spesso però ci fermiamo solamente sul primo aspetto e quindi sullo sterminio degli ebrei, ma, a volte, è giusto ricordare anche il resto. Perché nei campi di concentramento ci venivano deportati anche gli zingari, i disabili, gli oppositori politici e gli omosessuali; tutti coloro, cioè, che non rientravano nella normalità, nel puro progetto della razza ariana. È importante ricordarsi di tutte le vittime senza particolari distinzioni, soprattutto oggi, che si sta sempre più tornando al concetto di normalità. Ma cos’è la normalità? È un preconcetto che ci viene imposto dal mondo esterno senza reali dimostrazioni e prove concrete, non esiste la perfezione ma tante peculiarità.
Come mai abbiamo tanto paura del diverso? Cosa ci spaventa? Vorrei per una volta concentrarmi sull’omocausto e dimostrare che è forse un tema più attuale che mai. Contraddistinti da un triangolo rosa cucito sulla divisa a righe, gli omosessuali affollavano i campi di concentramento sparsi in tutta Europa; il loro dramma fu duplice: da un lato le torture naziste, dall’altro l’isolamento degli altri prigionieri; i gay erano ultimi tra gli ultimi. Molti di loro venivano castrati, a volte anche su propria richiesta, per dimostrare che volevano guarire dalla loro “malattia”, altri venivano usati per sperimenti scientifici.
L’ossessione nazista per i gay si era palesata già con la notte dei lunghi coltelli. Per Hitler esisteva “una congiura omosessuale che minava la concezione normale di sana nazione.” Deliri che non stupiscono, purtroppo, nemmeno oggi, visto che in alcuni Paesi l’omosessualità è un reato, non ultima la Russia di Putin. Notizia di pochi giorni fa l’emanazione di una legge nazionale che vieta la propaganda omosessuale. Da oggi sarà, quindi, reato parlare in pubblico di diritti, amori e qualunque altra cosa inerente al mondo gay. Ovviamente il termine propaganda è volutamente vago, così da poter essere utilizzato dal giudice a suo piacimento, decidendo di punire i “colpevoli” con multe fino a quindici mila euro. Nel mirino ovviamente artisti, attori, cittadini e contestatori, e di conseguenza stop a concerti, eventi, manifestazioni, ma anche a semplici baci scambiati per la via. La Russia non è un paese per gay e neanche per chi protesta. Oggi, come allora, i gay sono vittime senza voce e senza giustizia.
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Pubblichiamo di seguito la lettera aperta che gli otto lavoratori del Maggio Musicale Fiorentino licenziati hanno scritto in seguito al ritiro del provvedimento
Il contenzioso che ha visto 8 lavoratori del Maggio impegnati nella difesa del proprio posto di lavoro è stata una lezione di onestà, dignità e creatività per tutta la politica fiorentina. Con la semplicità dei nostri slogans e la tenacia della nostra volontà, abbiamo saputo difendere il diritto inalienabile al proprio posto di lavoro calpestato dall’arroganza interpretativa e dalla ottusità manageriale di chi, incapace di gestire una istituzione come il Maggio, ha finito per scaricare le responsabilità di una crisi sui lavoratori.
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