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Permettetemi di soffermarmi un attimo su questo punto che noi stessi troppo spesso trascuriamo: e invece si tratta di riuscire a fare oggi una battaglia ideale e politica fra le masse simile, per ampiezza a profondità, a quella che i comunisti (e qualcuno di loro è oggi qui presente) seppero condurre vittoriosamente nel 1953 contro la “Legge truffa” tentata dalla DC. Diciamocelo subito: la “Legge truffa” è rose e fiori rispetto alle leggi elettorali che sono in vigore oggi: e si tratta di un punto davvero cruciale per la democrazia, cioè di decidere se il parlamento è “specchio del paese” – come diceva Togliatti –, cioè è il luogo in cui si può manifestare politicamente il conflitto fra le classi, oppure al contrario se il parlamento è un luogo in cui, a causa di leggi elettorali costruite apposta, le masse popolari non possono mai accedere nella loro autonomia politica, e debbono solo limitarsi a scegliere il meno peggio fra i loro padroni e nemici.
Pareva proprio che «la campagna elettorale più noiosa di tutti i tempi» dovesse noiosamente partorire il terzo governo di destra di Benjamin Netanyahu, il nazionalreligioso “regno di Re Bibi” come l'abbiamo sempre conosciuto, magari con gli ormai ingombranti barbogi di UTJ e Shas nuovamente relegati nel campo del messianesimo e sostituiti con l'ultradestra 2.0 di Naftali Bennett. Proprio per questo resta difficile non rimanere stupiti di fronte ai risultati di queste elezioni per la diciannovesima Knesset: il centro che sfonda, Likud (che nel frattempo ha assorbito Lieberman) duramente colpito, Bennett frustrato, il Labor che nonostante tutto non affonda, la sinistra-sinistra stabile o in crescita. In percentuali: Likud-Yisrael Beiteinu 23.32%, Yesh Atid 14.32%, Labor 11.39%, HaBayit HaYehudi 9.12%, Shas 8.75%, UTJ 5.17%, Hatnuah 4.99%, Meretz 4.54%, le due liste arabe complessivamente 6.21%, Hadash 3%, Kadima 2.1%.
Utile ricordare che lo sbarramento per la legge elettorale israeliana è fissato al 2%.
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Tutti coloro che lo scorso mercoledì mattina si sono affacciati all’auditorium dell’hotel prenotato dalla CGIL in occasione della presentazione del Piano del Lavoro in Toscana si sono visti consegnare un rapporto sulla situazione del lavoro nella provincia fiorentina. Un rapporto in cui è descritta una situazione drammatica: calano gli avviamenti di impresa e nel caso nuove aziende nascano, queste privilegiano sempre più la stipulazione di rapporti di lavoro precari ed incerti. Contemporaneamente, sono aumentati gli iscritti alle liste di mobilità (del 16,4% rispetto al prima trimestre del 2011) ed il sostegno del sistema creditizio alle imprese si è rivelato insufficiente. E sono proprio queste condizioni in cui imperversano l’economia e il lavoro in Italia, insieme alla consapevolezza del fatto che quella vissuta in questi mesi è una crisi strutturale, che hanno spinto il maggiore sindacato italiano ad elaborare un Piano per il lavoro. Si è scelto di parlare di Piano del lavoro, termine che rimanda direttamente a Giuseppe Di Vittorio, poiché un “patto” non è più sufficiente, data la situazione, e l’esperienza dell’Agenda Monti ancora deve finire di rilevare i suoi effetti nefasti. Un Piano per il lavoro che veda la partecipazione di tutti coloro che credono fermamente nella necessità di un cambiamento radile e del ripudio della strada tracciata dalle politiche di Monti.
Ehilà, le cose di cui stiamo trattando da qualche tempo, sulla scia della strage di Parigi, costata la vita a tre compagne del PKK, il Partito dei lavoratori della Turchia, stanno evolvendo nel senso di portare alla luce ciò che avevamo ipotizzato, e ben più velocemente di quanto si potesse presumere.
Primo fatto: il “curdo” Ömer Güney che ha, cosa ormai acclarata dall’indagine francese, commesso la strage, individuato in Turchia come appartenente a una famiglia legata all’MHP, il partito razzista e criminale dei Lupi Grigi, legato alle componenti eversive dell’apparato militare turco, in realtà, hanno appena scoperto gli inquirenti turchi, è invece un turco doc. Nella zona di origine della sua famiglia non c’è ombra di curdi, sono tutti turchi da generazioni. Sicché una parte della stampa turca ha cominciato la campagna, sostitutiva di quella iniziale a proposito della faida interna ai curdi del PKK, che definisce Güney epilettico, affetto da un tumore alla testa, ecc., insomma un poveraccio malato; guai quindi a pensare che lavori alle dipendenze di componenti militari.
Novità sul versante delle indagini a Parigi sull’assassinio, il 9 gennaio, delle tre compagne curde del PKK, il partito dei lavoratori curdi, Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Söylemez. Venerdì 17 gennaio sono stati fermati due curdi. Ciò ha consentito al governo turco di rincarare la propria versione dei fatti, presa subito dopo la strage, quella di una faida interna al movimento curdo. Uno dei due arrestati è stato però rilasciato il giorno successivo, perché risultato impossibilitato a partecipare alla strage. Dell’altro uomo, un trentenne, Ömer Güney, che svolgeva il ruolo di assistente e autista di Sakine Cansız, il fermo è stato invece prolungato, per essere trasformato in arresto lunedì scorso (21 gennaio). L’annuncio alla stampa dell’arresto è stato dato dal magistrato che segue l’indagine, François Molins, figura legata agli ambienti negazionisti e lepenisti, che ha insistito egli pure sulla faida interna. Le prove a carico di Güney sembrano significative: le telecamere nell’edificio dove è stata compiuta la strage indicano che l’arrestato era al suo interno al momento in cui è avvenuta. Insomma tutto tornerebbe.
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A Firenze è uno dei periodi più freddi di questo inverno. Non a caso appena arrivati i lavoratori di Careggi in presidio ci offrono del Vin brulè. Sono davanti al nuovo ingresso dell’azienda ospedaliero-universitaria fiorentina per tre giorni, accompagnati da un camper che ricorda quello usato da Renzi per le primarie del Partito Democratico di pochi mesi fa. L’idea era già stata utilizzata dai lavoratori del Maggio Musicale, in vertenza con il primo cittadino del capoluogo toscano. La visibilità delle lotte richiama una politica istituzionale quasi sempre assente dalle manifestazioni, salvo rare eccezioni.
Sulla sanità la partita è aperta in realtà da molto tempo, ma solo ultimamente questo tema è entrato a far parte della percezione comune, probabilmente a seguito delle dichiarazioni di Monti sul sistema sanitario nazionale.
A dicembre una manifestazione (del sempre più attivo Coordinamento in difesa della sanità pubblica) aveva denunciato le peculiarità dei tagli a livello regionale (leggi qui). In Toscana il presidente della Regione viene dall’assessorato alla sanità e questo settore è spesso citato come un esempio di eccellenza dallo stesso Rossi. Pochi giorni fa dichiarazioni simili le aveva ribadite anche Formingoni ad Otto e Mezzo.
A Careggi si sono mossi Cobas, Uil, Usi e Fials, quattro sigle sindacali abitualmente molto distanti tra loro (con l’assenza di Cisl, Cgil e USB quindi), per organizzare tre giornate pubbliche, fatte di momenti di sensibilizzazione, incontri e denunce. Si confrontano lavoratori e studenti sulla riorganizzazione che è stata proposta ai lavoratori, che denunciano come la logica che ha guidato le scelte aziendali sia “più lavoro a minore salario”. L’opposto di quanto si è letto sulle pagine di la Repubblica e altre testate di informazione: “dicono che siamo qui per ottenere il privilegio di 33 ore settimanali. Noi infermieri turnisti siamo in debito con l’azienda di 65mila ore di straordinario. Se i servizi sono garantiti è grazie al senso di responsabilità e al sacrificio di tutti i lavoratori”.
La scelta di riorganizzare i turni a Careggi non è un problema limitato alla realtà fiorentina. In molti parlano di “banco di prova”, per creare un servizio sanitario con un privato sempre più presente (fate caso alla frequenza con cui ci si può imbattere in pubblicità sui servizi sanitari integrativi).
Anche in questa piazza la politica istituzionale è percepita come un elemento distante. Da una tasca si intravedere il simbolo elettorale della lista Rivoluzione Civile di Ingroia. Il gruppo consiliare di Rifondazione è l’unico che in Regione sta provando a dare sponda alle proteste di lavoratori ed utenti, non senza evidenti difficoltà, dato che fa parte della maggioranza di Rossi. Si tentano di creare strumenti di contrasto: la presenza all’interno delle singole lotte e la creazione di una commissione che, come una task force, giri ospedali e presidi sanitari per verificare i disservizi causati fino ad oggi dai tagli già attuati (senza aspettare il servizio televisivo scandalistico di turno).
Gli occhi sono puntati sulla Regione: i lavoratori di Careggi hanno appena inviato richieste di incontro alla quarta commissione e all’assessore alla sanità. Il prossimo appuntamento è per il 16 febbraio, giorno in cui un corteo a Firenze proverà a riunire le varie istanze toscane. Qualche piccolo successo c’è già stato, ma nessuno si illude. In campagna elettorale è più facile ottenere risultati. Il gelo di questi giorni è significativo, l’Europa ha ancora molte richieste da fare, in nome della responsabilità nazionale.
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