Relazioni internazionali, notizie da altri paesi, ingiustizie sparse per il globo.
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35 chilometri di nuovo canale, allargamento ed approfondimento di altri 37 chilometri, meno di 12 mesi per la sua realizzazione, oltre 43.000 lavoratori impiegati, 250 milioni di metri cubi di terre da scavo, 258 milioni di metri cubi di materiale dragato, più di 8 miliardi di dollari di costo di realizzazione, raccolti interamente - ed in pochissimo tempo - tra la popolazione egiziana, mediante speciali, ed estremamente convenienti, buoni del tesoro.
Atene e il mediterraneo, sei mesi dopo
Tornare ad Atene. Tornare dopo circa sei mesi dalle elezioni politiche e dopo un referendum che chiedeva alle persone se avessero voluto continuare ad accettare le politiche d’austerità. Gli esiti di questo intenso percorso sono ormai noti a tutti. Rimarcarne le contraddizioni, probabilmente, non serve. La sinistra greca dovrà, di certo, fare i conti con le delusioni che si sono inevitabilmente diffuse all’interno di Syriza e all’interno della popolazione, dopo l’accordo tra l’Unione Europea e il governo greco. Non è un caso che già si sia annunciato un congresso straordinario del partito, in autunno. Ma il punto è: quale effetto reale le vicissitudini greche stanno già producendo di fronte ai molteplici tentativi di costruzione di una sinistra europea, alternativa all’esistente? È questo il tema che sembra essere sostanziale. Sostanziale rispetto a quella che oggi è la realtà dei fatti.
I crimini degli ortodossi ebrei che ancora combattono, e non per finta, per allontanare i palestinesi dalla terra che Dio ha predestinato a loro solitamente passano senza che il mondo se ne accorga.
Alle volte succede però che quello che succede sia così terribile che non sia possibile ignorarlo. E in questi ultimi giorni il governo israeliano è stato costretto a fare i conti con diversi episodi che hanno, giocoforza, scalfito il quasi unanime appoggio internazionale di cui gode il paese.
Le comunità protestanti del Sol Levante, preoccupate dalle politiche militariste del governo Abe, chiedono il ritiro dei disegni di legge volti a regolamentare l'impiego all'estero delle Forze di Autodifesa.
La Chiesa Unita in Cristo, lo scorso 14 luglio, ha rilasciato un durissimo comunicato nel quale si afferma che “non è il volere di Dio che giovani prendano le armi per uccidere”.
Il giorno seguente ha espresso la propria posizione il reverendo Kano Yoshitaka della Convenzione Battista del Giappone: “non pensiamo che la nostra fede ci limiti unicamente sulla questione della salvezza. Noi dobbiamo anche prendere posizione sui temi politici. Basandoci sull'interpretazione della Bibbia, non consentiamo né l'uso della violenza né che alcuno venga ucciso”.
Posizioni di netta contrarietà sono stati espressi anche dalla Chiesa Luterana, da quella Anglicana e da varie altre chiese evangeliche. Storicamente contraria al militarismo è anche la Conferenza Episcopale nipponica.
Di Marco Fantechi
Si muovono i contrari
Non è ancora asciugato l'inchiostro delle firme sul testo dell'accordo tra Iran e Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che introduce possibilità diplomatiche, all'interno di uno scacchiere mediorientale sconvolto da conflitti che durano da oltre mezzo secolo, che si stanno muovendo tutti i poteri contrari.
- Negli USA i parlamentari stanno vagliando l'accordo e i settori repubblicani, maggioranza nel Congresso, si muovono per respingerlo, sensibili alle pressioni delle lobby israeliane (già nel marzo 2015 hanno invitato a il premier reazionario israeliano Benjamin Netanyahu a parlare nel Parlamento, contro il parere di Obama) e a quelle degli stati del Golfo. L'area più oltranzista punta a farlo respingere, per costringere Obama a mettere il veto presidenziale sul voto parlamentare e loro incassare un dividendo elettorale nelle prossime elezioni presidenziali.
Di Marco Fantechi
La Repubblica Islamica iraniana ci guadagna politicamente, non è più lo "Stato canaglia", rientra nello scenario internazionale e diventa un possibile partner per contrastare Daesh (il Califfato Islamico) in espansione pericolosa in Iraq, potrebbe anche agevolare contatti diplomatici in Siria tra governo di Al Assad e occidente. Inoltre in Yemen lo stallo dei combattimenti potrebbe significare che la coalizione a guida saudita non riesce a sconfiggere le milizie sciite Houti e i loro alleati e con possibilità di aiuti dall'Iran, non più reietto internazionale, sarebbe costretta a aprire trattative.
Ci guadagna economicamente, con la ripresa dei commerci e degli investimenti internazionali, garantendosi fondi per l'ammodernamento strutturale e per attenuare l'emergenza occupazionale, con particolare riferimento al mondo giovanile, molto esteso e acculturato, che vede attualmente poche possibilità all'interno del paese e sceglie l'emigrazione, infine una maggiore apertura internazionale agevola l'emancipazione femminile, che ha visto durante l'ultimo decennio una forte attenuazione delle misure restrittive, lavorative, culturali e di costume.
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