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La tragedia del Medio Oriente a una svolta?
L’editoriale di martedì 6 ottobre sul Corriere della Sera a firma di Paolo Mieli svolge un ragionamento condivisibile salvo però tacere su un punto fondamentale. È inoltre un ragionamento simile, a volte in modo determinato a volte on cautela, a quello di una buona parte delle forze di governo e dei mass-media occidentali (altrimenti Mieli se ne starebbe stato tranquillo a scrivere d’altro). Si tratta di una critica molto netta alle posizioni di Obama verso la crisi mediorientale e in particolare verso il versante siriano di questa crisi. Se l’ISIS (Daesh, l’ISIL, lo Stato Islamico) merita, per ciò che è, ciò che fa e ciò che vuole realizzare, di essere paragonato al nazismo, allora, argomenta Mieli, gli Stati Uniti dovrebbero orientarsi a praticare la medesima linea che praticarono facendo guerra al nazismo: l’alleanza con la totalità delle forze antinaziste.
L'approvazione dei disegni di legge “di guerra” da parte della maggioranza conservatrice della Dieta ha rimescolato le carte nella frastagliata opposizione favorendo l'avvicinamento dei vari partiti: uniti, sia pure tra mille distinguo, sulla non opportunità dell'affermarsi di politiche militariste.
Lo scorso 25 settembre hanno discusso sulla necessità di formare una coalizione volta a ristabilire la tradizionale politica pacifista del Sol Levante il Presidente del Partito Comunista Shii ed il suo omologo democratico Okada.
Incontri sono stati tenuti da Shii anche con il leader del Partito della Vita del Popolo Ichiro Ozawa (“Ho molto apprezzato la proposta del PCG. Lavoreremo sodo per realizzarla”) e con quello del Partito Socialdemocratico Tadatomo Yoshida, il quale vorrebbe spingere l'accordo anche su altre materie: “abbiamo bisogno di promuovere la cooperazione elettorale tra noi se concordiamo sugli obiettivi politici di fare del Giappone un Paese libero dall'energia nucleare, ridurre il divario tra ricchi e poveri ed impedire l'aumento della tassa sui consumi”
È tempo di discorsi altisonanti all'Assemblea Generale dell'Onu garante suprema dei diritti umani in tutto il globo terracqueo. Durante la sfilata di capi di Stato da Obama a Putin a Renzi troviamo anche il suo omologo, ossia il Presidente degli Stati Uniti messicani Enrique Peña Nieto intento a lanciare attacchi nientemeno che a Donald Trump e a chi utilizza il populismo speculando politicamente sulla pelle dei migranti. Tutto molto bello e commovente, peccato qualcosa non torni. La visione del mondo di Trump è chiaramente criminale, altrettanto lo è la sua retorica politica e non solo sui migranti, sia chiaro, ma vediamo chi si lancia in una critica al magnate americano e in nome di che cosa.
Nell'ambito dell'International Days of Peace, abbiamo intervistato Valerio Nicolosi, militante della sinistra romana, fotografo e video maker in occasione della presentazione, assieme a Eleonora Forenza, del suo libro Be Filmaker a Gaza organizzata dal gruppo Antifascisti Bruxelles.
1) Valerio è innanzitutto un attivista della sinistra romana. Ed è anche un fotoreporter. Lo scorso anno è stato a Gaza per tenere un corso, presso l’Università di Al Aqsa, per insegnare tecniche di videomaking e fotografia. Ci racconti qualcosa del tuo progetto?
Da tempo il Centro Vik e alcune realtà italiane stavano organizzando una carovana di solidarietà che lasciasse qualcosa di tangibile nella Striscia di Gaza e avevano pensato ad un festival di scambio e formazione che compredeva parkour, arte e intrattenimento per bambini, writing e arte, videomaking e fotografia. Io sono anche un docente proprio delle ultime due materie e come responsabile formazione dell'assocazione nazionale filmaker e videomaker italiani ho deciso di partecipare coinvolngendo tutta l'associazione.
Risultato elettorale ampiamente previsto, quello che arriva dalla Catalogna, meno prevedibili saranno gli scenari che interesseranno la regione nell'immediato futuro.
A scrutinio quasi concluso la coalizione attualmente alla guida della Generalitat Junts pel sì (composta dai moderati di Convergenza Democratica - orfani dei meno separatisti di Unione Democratica - e dalla sinistra di Esquerra Republicana de Catalunya, uniti in funzione indipendentista al di là delle divergenze ideologiche) ha ottenuto 62 seggi (sui 135 del locale parlamento), che sommati ai 10 (dai 3 uscenti) della lista Candidatura d'Unitat Popular (movimento senza leader che raggruppa molte sensibilità della sinistra indipendentista), assicurano al fronte indipendentista la maggioranza nel Parlament. In crescita l'affluenza (oltre sei punti in più rispetto alle scorse consultazioni), in quello che la propaganda indipendentista ha definito “il voto della tua vita”.
Seconda lista (si vota con il proporzionale e le liste bloccate) quella dei Ciudadanos, formazione di centro-destra recentemente cresciuta nella propaganda anti-corruzione, e sulla quale si è concentrato buona parte del voto anti-indipendentista. Alla formazione guidata da Albert Rivera vanno 25 seggi (9 i consiglieri uscenti).
Al terzo posto il PSOE (16 seggi), formazione politica che si è già liberata, negli scorsi anni, di quei socialisti favorevoli all'indipendenza, e che localmente propone, in sostanza, una autonomia ancora maggiore ai catalani. Dietro la formazione guidata da Iceta, si piazza la composita lista unitaria della sinistra Catalunya, sì que es pot. La lista, composta dalla locale federazione di Izquierda Unida (comprendente a sua volta i comunisti catalani del PSUC-viu), Podemos e ICV (i verdi catalani), con 11 seggi presidia uno spazio politico a sinistra ma non cresce, contrariamente a quanto era avvenuto pochi mesi con le vittoriose comunali di Barcellona. Al contrario la sinistra perde due seggi rispetto alle precedenti consultazioni, nelle quali era presente unicamente Izquierda Unida (appare dunque scarso il contributo del partito di Iglesias in queste elezioni).
Estremamente probabile che il mancato decollo del listone della sinistra sia attribuibile alla sofferenza che la sinistra nazionale spagnola ha sempre avuto rispetto alle varie spinte indipendentistiche che attraversano il Regno dei Borbone (non soltanto nel caso catalano, ma anche, ad esempio, in quello basco). L'appiattirsi di tutta la discussione politica catalana sul tema dell'indipendenza ha, con ogni evidenza, polarizzato il voto, penalizzando chi come Podemos ed IU non ha preso una posizione definita sul tema (limitandosi ad affermare il diritto ai catalani ad un referendum).
11 seggi il Partito Popolare, che ne lascia per strada otto rispetto al 2012. Non sono infatti bastati gli appelli anti-indipendensti di Obama e Merkel, nonché la chiusura della campagna elettorale con la presenza dell'ex presidente francese Sarkozy per compattare il voto “spagnolista” sull'ex sindaco di Badalona Xavier Garcia Albiol.
Acquisito il risultato si proporranno, fatalmente, le incognite sul destino prossimo della Catalogna. Scontato che altre spinte indipendentiste (baschi, galiziani) otterranno maggiore legittimità dai risultati usciti dalle urne di Barcellona, sarà inevitabile un irrigidimento del governo centrale rispetto ai passi, già indicati dal capo della Generalitat Artur Mas, verso l'indipendenza.
Già in passato, la corte costituzionale di Madrid aveva tolto ogni legittimità alla consultazione indipendentista (che ebbe largo sostegno popolare, in primo luogo dai sindaci) ed alle altre prove di forza verbali rispetto allo statuto catalano (come l'inserimento del concetto di nazione catalana). Altre tensioni potrebbero interessare il complesso dei “paesi catalani” - definizione politica dentro la quale stanno insieme anche Valencia ed un pezzo (La Franja) di Aragona - stretti tra spinte di unione con la Generalitat (impossibili per l'attuale Costituzione spagnola) e sofferenze per la supremazia di Barcellona (recenti, in tal senso, le polemiche suscitate tra Valencia e Barcellona per le parole del Consigliere alla Giustizia della Generalitat Germà Gordó, per il quale "la costruzione di uno stato non deve far scordare la nazione intera").
Rimane inoltre da capire, e gli ultimi comunicati della Commissione non aiutano a capirlo, i rapporti tra una Catalogna indipendente e l'Unione Europea.
Quel che è certo è che dentro l'attuale Europa sono sempre più le insofferenze (di destra, di sinistra e di centro, come nel caso di Mas) verso diversi stati nazionali (i casi più clamorosi riguardano Scozia e Belgio) e che non sarebbe più così sorprendente trovare tra qualche anno una Spagna priva del 16% della sua popolazione e del 25% del proprio PIL.
La riconferma, tutt'altro che scontata, di Alexis Tsipras alle ultime elezioni fa tirare, alla sinistra europea, un sospiro di sollievo, ancorché non a pieni polmoni. Il risultato elettorale di Syriza, pur non discostandosi molto, in termini percentuali, da quello di gennaio, registra un preoccupante calo in termini assoluti: segno, mi sembra analisi fin troppo semplice, di una certa sfiducia dei cittadini ellenici, nel loro complesso, verso il processo democratico.
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